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Diana Tura
I Pepoli in età medievale
Verso la fine dell’Ottocento, Gioacchino Napoleone Pepoli, oltre a ciò che era rimasto dell’antico patrimonio familiare, ereditava il prestigio di una casata che aveva inciso profondamente non solo nella vita cittadina bolognese ma anche in varie zone della regione, nei luoghi dove per secoli la famiglia Pepoli aveva posseduto tenute, terre e ville. A Bologna e in provincia sono tanti gli edifici o i luoghi che ci richiamano il nome dei Pepoli: i due palazzi di famiglia in via Castiglione, la tomba monumentale di Taddeo in San Domenico, le ville di campagna, la famosa località appenninica di Castiglione de’ Pepoli, in cui la famiglia esercitò prerogative sovrane dal XIV secolo fino al 1796. Le testimonianze documentarie del ruolo dei Pepoli nella vita politica, sociale ed economica sono conservate oltre che nell’archivio di famiglia, tuttora in deposito presso l’Archivio di Stato di Bologna, anche negli archivi dei vari uffici pubblici attivi a Bologna dal XII secolo in avanti, con cui alcuni membri della famiglia Pepoli vennero a contatto come cittadini (Estimi, Demaniale) o ne fecero parte come componenti (Anziani Consoli, Senato, etc.).
Ed è proprio grazie all’intreccio della documentazione pubblica con quella familiare che è possibile ricostruire la storia della famiglia e di alcuni suoi componenti che furono personaggi di spicco in città. Fra le famiglie patrizie italiane del tardo Medioevo è stata sicuramente fra le più importanti, tuttavia sulle sue origini e provenienza, ci sono ancora alcuni aspetti da chiarire e approfondire. A questo proposito ringrazio l’amica Paola Foschi per le anticipazioni che mi ha fornito relativamente alla sua ricerca, in corso di pubblicazione, sulle origini della famiglia.
I Pepoli, com’è noto, non appartenevano all’antica aristocrazia cittadina, formata da famiglie come gli Asinelli, i Galluzzi, i Prendiparte e altre il cui prestigio era simboleggiato dalle torri cittadine, ma erano di origine popolare, fedeli alla Chiesa, e raggiunsero la nobiltà successivamente, inserendosi nel gruppo delle famiglie aristocratiche senatorie, il cui prestigio era rappresentato dai palazzi di residenza.
Le fonti storiografiche danno notizie diverse e discordanti sull’origine della famiglia; prima dell’avvento sulla scena politica di Romeo, la storia dei Pepoli era per lo più ricostruita in base alle cronache degli storici cinquecenteschi, come l’Alberti e il Ghirardacci, che ritenendo i Pepoli fra i maggiori responsabili delle guerre civili cittadine che all’inizio del Duecento distrussero il glorioso regime comunale, non ne esaltavano sicuramente le origini. L’Alberti, infatti, tralasciando qualsiasi discendenza mitologica della famiglia, narrava la sua origine facendola risalire all’inizio del XII secolo, con l’arrivo dal contado di Imola di un certo Zagnuolo di Pepolo con il figlio Ugolino, da cui nacquero in seguito due figli, Zone e Zerra: quest’ultimo si sposò con «una bastarda figliola» ed ebbe un figlio di nome Romeo de’ Pepoli.
Su questa discendenza, peraltro non del tutto infondata, non era d’accordo il Dolfi, che ritenendola frutto di un atteggiamento decisamente contrario alla politica dei Pepoli, come altri storici seicenteschi quali Salvetti e Crescenzi, aveva tentato di nobilitare l’origine della famiglia facendola derivare da due ascendenze prestigiose: quella da Pepone «glossatore antichissimo», e quella da Pepolo, figlio del re d’Inghilterra Alverdo VI, risalenti al secolo XI la prima, addirittura al secolo IX la seconda. Entrambe le discendenze, non testimoniate da fonti documentarie, furono tuttavia, per gli storici encomiastici del Seicento il punto di partenza per enumerare le glorie della famiglia, con particolare attenzione alle vicende culturali e religiose e per sottolinearne la storica fedeltà alla pars ecclesiae.
Addirittura il Salvetti, storico ufficiale dei Pepoli, che ebbe modo di lavorare nell’archivio di famiglia lasciando tracce del suo operare fra le carte dello stesso archivio, per celebrare il più possibile la casata, azzardò un ipotetico legame fra Matilde di Canossa e antenati di Taddeo. Parentela non del tutto inverosimile se però la si riferisce non al ramo principale della famiglia, estintosi con la contessa Matilde, ma ad un ramo secondario.
In realtà lo studio dell’origine della famiglia Pepoli, prima del Seicento non era stato affrontato in maniera sistematica dagli storici come Alberti, Sigonio, Ghirardacci, che si erano limitati a registrare l’apparizione dei Pepoli in ambito cittadino proprio in coincidenza dei primi scontri di fazione, quando nel 1202 Guido Pepoli fu ucciso da Giovanni Tettalasini, originando un odio fra le due famiglie, una guelfa, l’altra ghibellina. Le due famiglie si sarebbero riconciliate, come riportano erroneamente le cronache, nel 1244, con il matrimonio di Romeo Pepoli e Biagia Tettalasini, fra i cui numerosi figli ci fu Taddeo, poi signore di Bologna. In realtà Romeo sposò una Tettalasini, e forse proprio per sancire una riconciliazione fra le due famiglie avverse, ma più tardi, dopo i tumulti del 1278-79, culminati nella seconda cacciata dei Lambertazzi, nel 1280.
La poca chiarezza sulle origini della famiglia, costrinse Giuseppe Guidicini, alle prese nel XIX secolo con le genealogie delle famiglie bolognesi più importanti, a tracciare per la famiglia Pepoli più alberi genealogici: alcuni elaborati in base alla letteratura encomiastica seicentesca, quindi partendo dalle ipotesi di Crescenzi, Salvetti e Dolfi, uno ricavato dai documenti conservati nell’allora Archivio Pubblico, un altro da documenti conservati nell’archivio stesso della famiglia. Recentemente Paola Foschi ha ripreso lo studio delle origini dei Pepoli, impostando la sua ricerca non solo su nuovi presupposti genealogici, ma anche sulla formazione del cognome di famiglia nel Medioevo, partendo quindi dalla diffusione del nome Pepo, Pepolo, Peppolus, Peppus, Pepus abbastanza usato in Romagna, e soprattutto a Imola, come ci attesta Leardo Mascalzoni nei suoi ultimi studi di antroponimia romagnola nel Duecento, ma meno diffuso a Bologna. La Foschi ipotizza che forse da ciò derivi il mito dell’origine imolese della famiglia, anche se in realtà i numerosi personaggi presenti con tal nome a Imola non sembrano aver legami con Bologna e sono attestati nel XII secolo, mentre a Bologna i Pepo o Pepolo sono già attestati alla fine dell’XI secolo, anche se non sembrano aver legami con gli antenati di Romeo. Sempre secondo Paola Foschi, i primi esponenti della famiglia potrebbero essere tal Ugolino di Guido de Pepulo e Azo di Giovanni de Pepolo, che compaiono in atti del monastero di Santo Stefano, e che non indicano un patronimico o il nome di un nonno, ma «una qualificazione che definisce un gruppo di persone legate da una comune ascendenza da un Pepolo eponimo, che potrebbe essere vissuto all’inizio del secolo, almeno tre generazioni prima di questi primi esponenti». Le attestazioni su de Pepolo continuano nel XII secolo e sono per lo più legate ad ambienti ecclesiastici (atti di San Giovanni in Monte, di San Vittore, di Santo Stefano), poi ve ne sono altre della metà del XII secolo, che con relativa certezza sembrano riferirsi alla famiglia Pepoli; e infine tutti i Pepoli che compaiono negli istrumenti dell’archivio di famiglia. Personaggi che, appartenenti a una corporazione di mestiere e già di spicco in città, spesso troviamo ai vertici dell’organizzazione politica del Comune popolare, in lotta con la fazione ghibellina e impegnati in atti di politica estera.
Ma la forza della famiglia, oltre che nell’attività di banchieri e cambiatori, gestita come affermava Gaudenzi «da tutta la famiglia», si consolidava anche attraverso legami matrimoniali con famiglie illustri, spesso non documentati: con famiglie nobili e con famiglie di banchieri, cambiatori e commercianti; politica matrimoniale finalizzata a rafforzare legami di affari con famiglie ghibelline e legami politici con famiglie guelfe, soprattutto fra il 1274 e la fine del XIII secolo, anni in cui la linea del governo comunale era non solo guelfa, ma anche antimagnatizia e popolare. Parte popolare, formata principalmente da famiglie di mercanti e di banchieri, poi da tutte le altre categorie di artigiani, parte vincente di cui i Pepoli facevano parte, assumendo nel XIII secolo incarichi politici di rilievo: Ugolino, nonno di Romeo, e il fratello Zoene rappresentarono la parte guelfa al parlamento di Ravenna, nel 1254, e nel 1271 nei trattati con il marchese d’Este e la Repubblica di Venezia. E da allora i nomi di membri della famiglia cominciano a comparire sempre più di frequente nella documentazione pubblica: Ugolino compare negli statuti comunali della seconda metà del XIII secolo, Zerra fra gli anziani della Società del cambio; Giovanni è fra i sapienti che modificano gli statuti della Società dei cambiatori, mentre Ugolino e Filippo, consoli del Cambio, partecipano a importanti ambascerie a Ravenna e Ferrara; altri Pepoli infine finanziano insieme ad altre famiglie cittadine la guerra contro Venezia per il controllo del Po di Primaro. Fino a questi anni membri della famiglia partecipavano dunque attivamente alla vita politica ed economica della città, grazie all’arte del cambio, esercitata sin dalle prime generazioni, ma il culmine del prestigio familiare arriverà con Romeo, figlio di Zerra, fra la fine del XIII secolo e il 1321 e successivamente con il figlio Taddeo.
Romeo, banchiere, dai primi anni del Trecento ebbe l’autorità, se non il titolo, di signore di Bologna; facendo prestiti garantiti al Comune e ai privati si era assicurato, pur nel rispetto delle istituzioni, un forte potere politico ed economico nella città, tanto da essere ritenuto uno degli uomini più ricchi dell’Italia di quell’epoca. Nell’arco di un ventennio, fra il 1296-1297 e il 1315, aveva incrementato, così come ci documentano gli estimi, il patrimonio di più del 20%, fra attività creditizia, immobiliare e fondiaria. Ma se da un lato tale ricchezza garantiva benessere e prestigio alla sua famiglia, dall’altro l’eccessivo potere raggiunto da Romeo, gli attirò contro la rivalità politica e professionale di altre famiglie bolognesi, come i Beccadelli, i Gozzadini e altri che si coalizzarono per provocare tumulti cittadini nel corso dei quali Romeo dovette precipitosamente fuggire nel 1321 da Bologna.
Seppur così importante per la città, in quanto «ha posto le basi del potere signorile o comunque ha accompagnato il tramonto del regime comunale bolognese» la figura professionale e politica di Romeo, nonostante i documenti rimasti sulla sua attività politica e professionale, per lungo tempo non fu studiata da nessuno storico fino al saggio di Ferruccio Papi nel 1907, di cui è appena uscita una ristampa, e di Massimo Giansante del 1991, a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti. Forse come afferma Giansante, questo scarso interesse storiografico, quasi una damnatio memoriae, si spiega come effetto del culto cittadino di cui invece fu oggetto il figlio Taddeo, signore di Bologna dal 1337 al 1347, acclamato in vita, mitizzato dopo la morte. Forse l’oblio di Romeo iniziò proprio nel Seicento, quando storici come Salvetti, Crescenzi e Dolfi, nel tentativo di dare origini illustri alla casata e alla signoria di Taddeo, che aveva governato la città con liberalità e saggezza, donandole un periodo di tranquillità e splendore culturale, non potevano mettere in luce l’attività creditizia del padre che pure aveva tanto giovato alla famiglia, permettendo poi così a Taddeo di trasformare la domus magna in via Castiglione, cioè la casa, prima dei Cazitti, assegnata a Romeo nel 1276 a seguito di una sentenza, in quella che poi diventerà la residenza di famiglia e il simbolo del prestigio raggiunto. Taddeo, rientrato a Bologna insieme ai fratelli nel marzo del 1328, grazie a un provvedimento del legato che aveva concesso il rientro in patria dei cittadini espulsi fra il 1306 e il 1321, fu proclamato «conservator pacis et iustitiae» con poteri tali da renderlo signore della città e ricevendo in seguito dalla Chiesa il titolo di vicario pontificio. Riprese possesso dei beni di famiglia e continuò a svolgere, ma con modalità diverse da quelle del padre Romeo, morto in esilio ad Avignone nel 1323, la professione di banchiere, recuperando il patrimonio accumulato dal padre e dal nonno ed incrementandolo ulteriormente. Oltre che signore di Bologna, Taddeo fu un personaggio unico nella storia italiana del Trecento: dottore in diritto canonico e civile, alieno dalla violenza, seppe svolgere il ruolo di moderatore delle tensioni cittadine; governò senza modificare le antiche istituzioni comunali, allontanò i nemici della città e condusse una prudente politica estera, favorendo lo sviluppo artistico e letterario. Sulla sua figura e sulla sua signoria, oltre alla letteratura encomiastica seicentesca, vanno ricordati il volume di Rodolico della fine del XIX secolo, il recentissimo saggio di Guido Antonioli e il contributo di Anna Laura Trombetti nel secondo volume della Storia di Bologna.
Alla morte di Taddeo, avvenuta il 28 settembre 1347, subentrarono i figli Giacomo e Giovanni, che dopo tre anni, cedettero il potere all’arcivescovo Giovanni Visconti di Milano, segnando così il passaggio dalla signoria cittadina dei Pepoli alla signoria forestiera dei Visconti e lasciando la città oggetto di contesa tra gli stati italiani più forti, in particolare fra Milano e lo Stato pontificio. Da quel momento, i Pepoli, pur continuando a essere presenti in vari modi, come vedremo, nella vita cittadina; non domineranno più la scena politica bolognese in modo quasi esclusivo fino a Gioacchino Napoleone Pepoli.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
N. Rodolico, Dal Comune alla Signoria. Saggio sul governo di Taddeo Pepoli in Bologna, Zanichelli, Bologna 1898, ristampa anastatica Forni, Bologna 1974;
F. Papi, Romeo Pepoli e il comune di Bologna dal 1310 al 1323, Marsili, Orte 1907, ristampa anastatica Forni, Bologna 2011;
M. Giansante, Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli banchiere bolognese, 1250 c. - 1322, La fotocromo emiliana, Bologna 1991;
G. Antonioli, Conservator pacis et iustitie. La Signoria di Taddeo Pepoli a Bologna (1337-1347), Clueb, Bologna 2004.
Questo saggio si cita: D. Tura, I Pepoli in età medievale, in «Percorsi Storici», Serie Atti Numero 1 (2012)[http://www.percorsistorici.it/numeri/serie-atti-numero-1/titolo-e-indice/13-numeri-rivista/serie-atti-numero-1/47-diana-tura-i-pepoli-in-eta-medievale]