Alberto Mandreoli, Vangelo e coscienza: antifascismo e resistenza dei cattolici bolognesi (Mauro Maggiorani)
Alberto Mandreoli, Vangelo e coscienza: antifascismo e resistenza dei cattolici bolognesi, prefazione di Giancarla Codrignani, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2015, pp. 232
(Mauro Maggiorani)
Il volume svolge una riflessione storica di carattere generale sulla partecipazione dei cattolici bolognesi alla Resistenza, ottenuta però attraverso la scrupolosa ricomposizione di un mosaico di vicende individuali. Si tratta di una pagina di storia trascurata, quando non addirittura volutamente dimenticata, sia in ragione di considerazioni dettate dalla situazione post-bellica del nostro Paese (con la rapida divisione tra le forze politiche che avevano costituito il cosiddetto arco costituzionale), sia in conseguenza del clima internazionale impostosi a partire dal 1947, caratterizzato dalla guerra fredda tra le superpotenze americana e sovietica e i rispettivi campi. Una duplice rottura che, per molti anni, sconsigliò ai cattolici di richiamare alla memoria quegli eventi; una damnatio memoriae che ha fatto cadere per decenni nell’oblio le vite di uomini e donne straordinari. “Martiri cristiani”, utilizzando la terminologia del saggio, messi in disparte per calcolo, per non correre il rischio – nei primi anni dell’Italia repubblicana – di essere additati come “collaboratori” del nemico; un nemico che, nella realtà oggetto dello studio, corrispondeva esattamente con le amministrazioni di sinistra dell’Emilia-Romagna. Come noto, infatti, della lotta di liberazione e del movimento partigiano i partiti comunista e socialista erano andati facendo un caposaldo della propria cultura identitaria, trasformando quel campo in un territorio proprio ed esclusivo. Dunque, all’ipertrofia partigiana ed eroica della sinistra era andata contrapponendosi una sorta di atrofia di parte cattolica. È a partire da queste tematiche che si sviluppa il volume, che pare essere stato concepito con il preciso obiettivo di recuperare nomi e circostanze, ma facendo emergere nel contempo, oltre alla dimensione locale, i più ampi temi di quel tragico momento: le responsabilità individuali, i crimini impuniti delle guerre degli italiani, l’ombra del nazismo sul massacro di Monte Sole, il dramma dell’8 settembre 1943 per i cattolici italiani.
Ciò detto, è evidente come il filone di ricerche storiografiche su questo specifico aspetto del fronte italiano della seconda guerra mondiale non sia al grado zero; negli anni, soprattutto a partire dall’ultimo ventennio del Novecento, sono apparse pubblicazioni e contributi che, sia su scala nazionale sia per le situazioni locali, hanno iniziato a fare luce su eventi e situazioni. Per quanto attiene agli studi sul bolognese, dopo il famoso lavoro di Ardigò (Società civile e insorgenzapartigiana nella provincia di Bologna) del 1979, venne dato alle stampe l’altrettanto noto volume di mons. Gherardi (Le querce di Monte Sole, 1986) che innescò una discussione capace, per una volta, di andare al di là della ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Di ambito locale ma non per questo meno interessanti, se non altro perché spia della crescita di attenzione che li avevano originati, furono i volumi di M. Andreucci (Memorie di guerra dei parroci del Reno, 1994) e di don Zanini, (Marzabotto e dintorni: 1944, 1996). Successivamente – dopo un decennio in verità parco di studi – uscirono i lavori di A. Deoriti e N. Apano, (Chiesa e Resistenza: il caso Monte Sole, in «Il Regno» Chiesa in Italia 2011) e di G. Bersani (Resistenza in val d’Idice: 1943-1945, 2009). Questa breve rassegna non tiene conto dei numerosi saggi di (e su) Giuseppe Dossetti che, pur focalizzati sulla personalità umana, politica, intellettuale e religiosa dell’uomo, si pongono in un naturale e frequente dialogo con la questione oggetto dello studio di Mandreoli. Da ricordare, inoltre, il saggio di P. Trionfini Cattolici e comunisti in Emilia Romagna. Aspetti e problemi di un tormentato rapporto (1943-1963), in «Rassegna di storia contemporanea», n. 1/1996.
Su scala nazionale la tematica è stata, infine, fatta oggetto di studi, tra l’altro, da B. Gariglio (Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, 1997), M. Franzinelli (Il clero del duce, il duce del clero, 1998) e nel volume curato da W. E. Crivellin (Cattolici, Chiesa, Resistenza: i testimoni, 2000). Per una bibliografia, anche se un poco datata, si rimanda al saggio di P. Trionfini Cattolici, guerra, Resistenza. Una bibliografia, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», n. 1/1996.
In questo quadro complessivo si colloca il lavoro in oggetto, che si compone di tre parti, in verità non facilmente assimilabili l’una all’altra. Si direbbero, piuttosto, tre lunghi saggi autonomi e per certi versi distinti, avvicinati tra loro in un’unica pubblicazione solamente poiché riferiti al secondo conflitto bellico. Delle tre sezioni un interesse storiografico minore si ritiene presenti la prima (“Per una memoria sovversiva”) poiché, pur aggiungendo alcuni elementi di novità alla letteratura esistente, si sviluppa sostanzialmente nel solco di snodi storici molto battuti (come la conquista del potere da parte del fascismo o il mito del “buon italiano”). Fondamentale e vero cuore del volume è, invece, la seconda sezione (“La Resistenza cattolica”), studio attento e meticoloso che – a nostro avviso – giustifica l’edizione del volume. La terza parte, infine, pur proseguendo nello stesso solco (“L’alleato tedesco e la sacralizzazione della politica”), propone un approfondimento sul caso del maggiore Walter Reder di indubbio interesse ma che appare, nel complesso, più marginale anche per la sua brevità.
In ragione di queste valutazioni ci si soffermerà, in queste note, esclusivamente sulla seconda sezione del volume; il lungo saggio “La Resistenza cattolica” prende, giustamente, avvio ricordando il legame stretto tra l’altare e la patria che si era realizzato nei primi anni di affermazione del fascismo; a Bologna un momento significativo, a giudizio dell’autore, si ebbe nel settembre del 1927 durante il IX congresso eucaristico nazionale. Nell’occasione il «Bollettino della diocesi di Bologna» parlò, con evidente retorica, di una folla esultante e di un incontro curioso avvenuto sul palco delle autorità tra la famiglia del podestà Arpinati e due porporati, l’arcivescovo di Bologna e il card. legato. Così si può leggere nel periodico diocesano:
E mentre la folla plaudiva senza fine […] Leandro Arpinati presentava all’uno e all’altro la vecchia mamma, una semplice modesta donna della gente nostra, una di quelle donne che, raccogliendo nel cuore interno la forte e pura tradizione di fede e di morale cristiana del popolo italiano, possono dare alla Patria nostra le sue ed autentiche generazioni. I due porporati si effusero in ogni buona parola e la mamma del Podestà si inchinò a loro e dalle sue umili parole traspariva tutta la gioia che il suo cuore provava nel vedere quel suo caro e forte figliuolo vicino alle più alte autorità della Chiesa, partecipe di un rito così solenne, associato a così alto trionfo della fede cattolica in Bologna e in tutta Italia (p. 68).
Ma è solo un accenno poiché oggetto del saggio non è la storia delle trasformazioni ed evoluzioni politiche assunte dalla curia bolognese durante il ventennio fascista, quanto piuttosto gli anni 1943-1945 che, come detto, consentono all’autore di restituire alla memoria i profili biografici di alcuni religiosi e laici; trovano posto, in questa sorta di altare di martiri cristiani, il cardinale Nasalli Rocca, don Giuseppe Elli, mons. Emilio Faggioli, mons. Giulio Salmi, padre Olinto Marella, mons. Alfonso Melloni, mons. Luigi Dardani, il diacono Mauro Fornasari, don Carlo Marzocchi, don Giulio Malaguti, don Eolo Cattani, don Giacomo Ricci, don Lino Pelati, don Gabriele Mario Bonani, don Ildebrando Mezzetti, don Medardo Barbieri, il suddiacono Giuseppe Lodi, don Sergio Vivarelli, don Ilario Lazzeroni, don Andrea Biavati, padre Innocenzo Casati, padre Domenico Acerbi, don Antonio Gavinelli, padre Vittorio Terzi, padre Antonio Maria Beati, padre Francesco Samoggia, poi Guerrino Fantinato, Angelo Salizzoni, Fulvio Milani, Rosalia Roveda, Angelo Senin.
Un mondo di storie e percorsi non sempre tra loro assimilabili ma unificati dall’elaborazione personale di una scelta che, pur controcorrente, era possibile fare; diversi, comprensibilmente, sono l’atteggiamento e le posizioni assunte nell’ultimo biennio di guerra da Nasalli Rocca, pastore di anime ma anche attento diplomatico nei rapporti sia con gli occupanti tedeschi, sia con il montante Cln e infine con gli Alleati. A lungo contraria alla partecipazione dei cattolici alla Resistenza la curia bolognese cercò di mantenersi super partes rispetto ai belligeranti, una “non scelta” (che può, certo, anche essere letta nel segno di un sostegno passivo alle forze nazi-fasciste) che risultò difficile da sostenere per il basso clero durante i venti mesi di occupazione germanica. Accanto alla forte personalità di Nasalli Rocca vengono, quindi, raccontate le storie dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici che operarono instancabilmente nel difficile contesto bellico, a cominciare da coloro che rimasero vittima dell’eccidio di Monte Sole: don Ubaldo Marchioni, don Elia Comini, don Ferdinando Casagrande, don Giovanni Fornasini, padre Martino Cappelli e suor Maria Fiori, che scelsero di non scendere in città, come avevano suggerito loro i superiori, preferendo restare accanto ai propri parrocchiani (da segnalare, peraltro, che nel 1998 si è aperto il processo di beatificazione per i tre preti diocesani).
Va ricordato come si tratti di religiosi che, in taluni casi, avevano ricevuto – come scrive l’autore richiamando il citato libro di mons. Gherardi – nel seminario di Borgo Capanne un «imprinting fondamentale per la formazione di personalità energiche e coraggiose». In queste pagine (pp. 87 e ss.) viene ricordato il forte impegno di Gherardi affinché si facesse luce su tali figure, restituendo la giusta verità storica all’impegno nella resistenza della Chiesa. Sul tema l’autore raccolse, nel 2013, anche una testimonianza di mons. Luigi Bettazzi:
Penso […] come per decenni non s’era parlato della strage di Marzabotto; la nostra chiesa bolognese (quella del card. Lercaro e – aggiunge – di me, suo Ausiliare) aveva dimenticato le ottocento vittime innocenti ed i cinque sacerdoti assassinati, per non associarsi alle sinistre socialcomuniste che ne avevano fatto la loro bandiera. È stata l’iniziativa di don Luciano Gherardi – compagno di scuola di due di quei sacerdoti – con il suo “Le querce di Monte Sole – e con la lunga e profetica prefazione di don Giuseppe Dossetti a portare alla luce quel martirio e a fare di Monte Sole – contro la Marzabotto della società civile – il luogo della riflessione e dell’impegno della Chiesa.
In conclusione, il lavoro di Mandreoli ha il pregio di tenere vivo un filone di ricerca che, se ulteriormente indagato e arricchito, potrà restituire alla storia la giusta dimensione di un fenomeno che fu tutt’altro che marginale.
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