Serena Vantin, I «segreti di Blackstone» rivelati. Abolizionismo, riforma dell'educazione e suffragio femminile in Sarah Moore Grimké (1792-1873)

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Serena Vantin

I «segreti di Blackstone» rivelati. Abolizionismo, riforma dell'educazione e suffragio femminile in Sarah Moore Grimké (1792-1873)

Premessa

L’opera di Sarah Moore Grimké (1792-1873), a lungo ingiustamente ignorata, si colloca a cavallo tra militanza abolizionista e militanza femminista. Insieme alla sorella Angelina Emily (1805-1879), ella fu una straordinaria agente della fazione più radicale del movimento anti-schiavista, nonché l’autrice di uno tra i primissimi testi americani sui diritti delle donne, in grado di influenzare la Convenzione di Seneca Falls (1848) (Nota 1). Si dovrà, tuttavia, attendere il 1967 perché una studiosa americana di origini austriache, Gerda Lerner, ne riscopra la biografia e ne metta in luce la rilevanza nell’ambito della storia dei movimenti emancipazionisti del Nuovo Continente (Nota 2): si aprirà così la strada a una serie di ulteriori studi, sviluppatisi per lo più in ambito anglosassone fino ad anni recenti, vòlti prevalentemente a evidenziare l’impianto femminista dell’opera dell’autrice (Nota 3).
L’intento del presente saggio è quello di fornire una ricostruzione del profilo personale e intellettuale della militante americana (Nota 4), evidenziando il rilievo che l’opera sull’eguaglianza dei sessi ebbe come spartiacque nella vita dell’autrice e ipotizzando anche nuove frontiere di ricerca utilizzabili come chiavi di lettura per una più completa comprensione del pensiero di Grimké, quali il tema della riforma educativa e il rapporto con il suffragismo.

 

1. Da Charleston a Philadelphia

Sarah Grimké nacque a Charleston, South Carolina, il 26 novembre 1792, sesta di quattordici figli. Il padre, John Faucheraud Grimké, era un alto magistrato proprietario di piantagioni; la madre, Mary Smith, discendeva in linea diretta dal primo governatore del South Carolina Thomas Smith e apparteneva a una nobile famiglia di eminenti politici.
Secondo il costume dell’aristocrazia di Charleston, Sarah trascorse la propria infanzia tra le piantagioni e la residenza cittadina in Church Street. Come ebbe a osservare Lerner (Nota 5), la famiglia Grimké rappresentava un mondo di gerarchie consolidate che rispecchiava perfettamente la statica società sudista degli anni che precedettero il progetto Jefferson e la “rivoluzione dei trasporti”: il padre, master della casa, deteneva un potere domestico indiscusso, la cui autorità si confondeva, agli occhi di Sarah, a quella della legge che impersonava nella sua veste di giudice. La madre, arbitro supremo di buone maniere ed eleganza, rappresentava il nesso di collegamento con la società mondana e con la cerchia allargata di familiari e amici. Di seguito nella linea gerarchica funzionale all’ordine familiare, stava “Mauma”, la domestica nera cui i bambini si rivolgevano per le questioni di quotidiana importanza.
Prima figlia femmina dopo cinque fratelli maschi, Sarah iniziò presto a sperimentare, con crescente frustrazione, come l’educazione delle ragazze differisse da quella dei fanciulli: per quanto si dimostrasse un’allieva appassionata e attenta, a lei era riservato «quel curriculum che offre un poco di tutto, non troppo di ogni cosa, in modo da non affaticare eccessivamente il delicato intelletto femminile» (Nota 6). Nonostante i suoi sforzi (Nota 7), apprese, divenuta adolescente, che il suo sogno di studiare il diritto non avrebbe mai potuto coronarsi. Fu la sorella minore Angelina a riportare, diversi anni più tardi, in un famoso discorso pubblicato sul «Liberator» (Nota 8), che il giudice Grimké era solito osservare che «se solo fosse stata un ragazzo, sarebbe probabilmente diventata il migliore giurista d’America».
La giovane Sarah si sentiva vittima di un sistema di ingiustizie più ampio e generalizzato: nell’anno 1827 (Nota 9) racconta tra le pagine del suo diario che volle insegnare a leggere la Bibbia alla “sua” schiava personale, dandole lezioni a lume di candela, la notte. Le lezioni notturne furono tuttavia scoperte: la schiava (di cui non si riporta il nome) venne frustata e Sarah fu ripresa duramente dal padre. Come quest’ultima ebbe modo di imparare in quell’occasione, insegnare a leggere e scrivere agli schiavi era, infatti, considerato un atto gravissimo, illegale ai sensi dell’articolo 45 dell’Act for Better Ordening and Governing of Negros and Slaves (1740).
Ultima figlia di John e Mary Grimké, Angelina nacque il 20 febbraio 1805. Sarah ne divenne una premurosa madrina e, negli anni che seguirono, rifiutò di sposarsi per occuparsi delle cure familiari.
Dopo la morte del padre, Sarah si trasferì a Philadelphia: nel nord, com’è noto, era in corso una trasformazione economica e sociale di proporzioni inaudite, seguìta da un’esplosione di risveglio religioso, di filantropismo, di riforma militante e di utopismo (Nota 10). Fu qui che, nel 1821, Sarah si convertì alla religione quacchera. La semplicità nell’abbigliamento, nei discorsi e nello stile di vita, l’impegno sociale e l’approccio diretto e personale alle Scritture, che gli “Amici” praticavano, aderivano perfettamente alle sue convinzioni personali, ma almeno altre due motivazioni incentivarono la conversione.
La prima, di ordine personale, fu l’incontro con Israel Morris, ministro del prestigioso Fourth and Arch Street Meeting, di cui Sarah si innamorò appassionatamente. Nonostante i suoi sentimenti fossero ricambiati, ella tuttavia non si concesse mai una vera relazione d’amore e quando Morris, divenuto vedovo, le chiese di sposarla, la sua risposta fu un deciso rifiuto (Nota 11).
La seconda motivazione, di natura ideologica, fu l’emergere della vocazione di diventare ministra del culto – carriera ammessa, presso gli “Amici”, anche alle donne. Motivata dall’esempio di Lucretia Mott (1793-1880) di cui divenne intima amica, Sarah si dedicò a studiare la Bibbia e fu ammessa al “Fourth and Arch Street Meeting”; la sua carica tuttavia venne ostacolata e, infine, negata. I componenti del Meetingerano infatti ortodossi seguaci della leadership più tradizionale, e avevano conosciuto un deciso ripiegamento conservatore in reazione alla lotta interna che, nel 1827, diede luogo alla scissione del gruppo degli hicksiti, dovuta in parte proprio alle divergenti opinioni su quale fosse il ruolo appropriato per le donne all’interno della Società.
Nel novembre 1829 Angelina raggiunse Sarah a Philadelphia: da quel momento in poi le due sorelle vissero sotto lo stesso tetto per il resto delle loro vite.
Angelina, più energica e disinvolta, si schierò da subito con i quaccheri hicksiti, e fu la prima a iscriversi alla American Anti-Slavery Society (AASS), l’associazione nata, nel 1833, dalla fusione delle ali più radicali del movimento abolizionista: la Massachusetts Anti-Slavery Society (guidata da William Garrison [1805-1879]), la New York Anti-Slavery Society e il Western Anti-Slavery Movement.
L’AASS sosteneva con vigore l’approccio “immediatista”, perseguendo l’«emancipazione immediata e totale senza alcun compenso per i proprietari» (Nota 12), e si proponeva di assumere il punto di vista dei neri, promuovendone il coinvolgimento attivo. Dichiarava, inoltre, che i neri nati in territorio americano dovessero essere considerati “cittadini” a tutti gli effetti, sfidando diffuse percezioni – che trovarono una legittimazione giuridica con il Dredd Scott case (1857) – in base alle quali, come sostenne il Chief Justice Roger B. Taney, essi non potevano, in nessun caso, essere considerati cittadini americani, in nome di una concezione “ascrittiva” della cittadinanza, che traeva le sue origini dall’atto di fondazione della nazione, a cui i neri non avevano partecipato (Nota 13).
Il dibattito tra “immediatisti” e “gradualisti” (questi ultimi, rappresentati in particolare dalla Kentucky Society for the Gradual Relief of the State from Slavery) era assai acceso e fu in quel contesto che Angelina conobbe l’attivista garrisoniano Theodore Weld (1803-1895), che diventerà poi suo marito, e George Thompson (1804-1878). Di lì ad associarsi alla Philadelphia Female Anti-Slavery Society (FASS), il passo fu breve: il nome di Angelina compare già nel verbale della riunione della FASS del 14 maggio 1835.
Nell’ottobre dello stesso anno, una sua lettera indirizzata a Garrison fu pubblicata sul «Liberator» (Nota 14); venne ripubblicata sul giornale newyorkese «The Evangelist» e in numerose altre riviste religiose e politiche (Nota 15).
Spinta dalla sorella, anche Sarah si affiliò alla FASS, schierandosi con Weld e con l’ala non-violenta del movimento; le due parteciparono poi a diverse forme pacifiche di militanza, quali il boicottaggio dei prodotti realizzati da schiavi, sponsorizzato dal Free Produce Movement.
Nel 1836 Angelina scrisse l’Appeal to the Christian Women of the South, una schietta condanna contro la schiavitù, considerata contraria alle leggi degli uomini, agli insegnamenti di Gesù Cristo e alla Dichiarazione d’Indipendenza, fonti concordi nel prevedere un diritto naturale alla libertà per tutti gli esseri umani, in forza di un universalismo “esterno”, ovvero indipendente dall’appartenenza ad una specifica comunità politica (Nota 16).
L’eccezionalità dell’appello risiede nel fatto che esso è indirizzato alle donne degli Stati del sud: ad esse, l’autrice chiede di liberare immediatamente gli schiavi che possiedono, pagarne gli stipendi per i servizi resi e provvedere alla loro educazione. Alle donne, è richiesto, inoltre, un impegno attivo nell’esercizio dell’unico diritto politico loro concesso all’epoca: il diritto di presentare e firmare petizioni.
L’ottima ricezione dell’opera di Angelina la proiettò in uno spazio di visibilità scarsamente confacente a una donna per i primi dell’Ottocento. Decise a cavalcare l’onda in nome dell’impegno politico per la giusta causa dell’abolizionismo, le due sorelle giunsero, nell’ottobre 1836, a New York, dove frequentarono un corso intensivo per diventare “agenti” (Nota 17) della FASS. Fu Angelina la prima a lanciarsi nelle orazioni pubbliche; Sarah, più timida, la seguiva e le preparava i discorsi, fino al dicembre 1836, quando diede alle stampe l’Epistle to the Clergy of the Southern State (1836), un pamphlet rivolto al clero degli Stati del sud, in cui venivano messe in evidenza le contraddizioni sussistenti tra le leggi degli Stati, i precetti biblici e la pratica della schiavitù. Per quanto lo stile sia meno efficace di quello della sorella, la logica argomentativa del testo sorprende e risulta stringente, anche grazie alle numerose citazioni dai codici delle leggi e dai dibattiti parlamentari della Virginia House of Delegates.
Ben accolte da un pubblico in esponenziale crescita (Nota 18), all’inizio del 1837 le due sorelle decisero di intraprendere un vero e proprio “tour oratorio” in tutto il paese: per ventitré settimane tennero più di ottantotto incontri dinnanzi a circa 40.000 ascoltatori. Lerner, a questo proposito, ha messo in luce l’effetto a lungo raggio delle conferenze delle sorelle Grimké e della loro efficacia persuasiva: delle settantasette città e villaggi in cui esse tennero discorsi pubblici, trentaquattro inviarono petizioni abolizioniste al Congresso nel giro dei successivi sei mesi, e in otto città si formarono nuove società femminili anti-schiaviste (Nota 19).
Nel maggio, le due sorelle parteciparono ai lavori della Anti-Slavery Convention of American Women (1837) a New York. Furono poi inviate dalla FASS a Boston, New York e Philadelphia, per lanciare la campagna di raccolta di un milione di firme a sostegno della petizione anti-schiavista redatta dal movimento. A tal fine, Angelina contribuì alla stesura dell’Appeal to the Women of the Nominally Free States (1837) e Sarah all’Address to Free Colored Americans (1837).
Nel luglio, Angelina giunse a sfidare, in un dibattito pubblico ad Amesbury, il militante pro-schiavitù John Page. Dalle lettere private delle sorelle pare che lo scambio, considerato «troppo indecoroso per essere pubblicato» dal giornale locale «Morning Courier» (Nota 20), vide Angelina in netto vantaggio: ella sfidò le tradizionali argomentazioni di Page, che affermava che la schiavitù era tollerata all’interno della Bibbia stessa, con argomenti che erano altresì fondati nelle Scritture. In particolare, denunciò gli aspetti non cristiani della pratica schiavile, quali la separazione delle famiglie, la distruzione dei matrimoni, la negazione del diritto di proprietà, il rifiuto dell’educazione per gli schiavi.
Il massimo risultato raggiunto dal tour fu tuttavia conseguito il 21 febbraio 1838, quando alle Grimké fu concessa una audizione presso la Commissione dell’Assemblea Legislativa dello Stato del Massachusetts. Era la prima volta nella storia che due donne venivano ricevute presso un organo legislativo, e che un discorso femminile ingenerava un dibattito parlamentare. Se è vero che per i costumi del tempo, e per molto tempo ancora, «una donna non è niente; […] mentre una madre è tutto» (Nota 21), certo le due sorelle, attraverso l’orazione politica, «capovolsero il mondo» (Nota 22) assumendo atteggiamenti e ruoli che, per quanto fino a questo punto non fossero mai dichiaratamente femministi, di fatto produssero una prima profondissima crepa nel sistema patriarcale consolidato che da millenni escludeva le donne dalla soggettività giuridica e politica.
Gli straordinari successi delle donne di Charleston, tuttavia, furono interpretati in molti ambienti dell’epoca come “immodesti” e “inappropriati”: già dagli inizi, molti giornali, di ispirazione politica o religiosa, avevano denigrato le donne oratrici, soprattutto perché pretendevano di parlare ad un pubblico misto, composto da donne e uomini.
Gli avversari più feroci furono l’Associazione Generale dei Ministri Congregazionisti del Massachusetts (AGMCM) e una donna: Catherine Beecher (1800-1878).
Quest’ultima dava voce, da un lato, alle istanze “gradualiste” del movimento abolizionista; dall’altro lato, ad una posizione alquanto diffusa tra le protofemministe del tempo, l’approccio poi denominato del “femminismo domestico”. La subordinazione politica delle donne promanava, secondo la Beecher, «da un comando benevolo e immutabile di Dio» (Nota 23) e per lei lottare per il miglioramento della condizione femminile era possibile solo all’interno della “sfera appropriata”, quella domestica, a partire dalla riforma dell’educazione.
La risposta all’invettiva di Beecher fu scritta da Angelina, in Letters to Catherine Beecher, in Reply to an Essay on Slavery and Abolitionism, addressed to A.E. Grimké, Revised by the Author (1838), un testo che raffigura una strenua difesa delle strategie abolizioniste radicali vòlte all’emancipazione immediata. Le divergenze in punto di “sfere femminili” furono affrontate da Angelina solo nelle ultime due lettere: si tratta degli unici due passi da lei scritti rivolti apertamente alla difesa dei diritti delle donne. In particolare, Angelina invoca il loro diritto ad avere voce nelle leggi e regolamenti che le governano, sia nella Chiesa sia nello Stato. La negazione di un tale diritto di parola rappresenta una «violazione dei diritti umani, una gretta usurpazione di potere […] che sarà ricompensata solo quando le donne potranno sedere sul trono di Inghilterra, o sullo scranno della Presidenza degli Stati Uniti» (Nota 24).
L’altra grande critica pervenne dall’AGMCM, la quale emise, per mezzo della penna del reverendo Nehemiah Adams di Boston, la Pastoral Letter: the General Association of Massachusetts to the Churches Under Their Care (1837), con lo scopo di denunciare «le donne che assumevano il posto e il tono dell’uomo come riformatrici pubbliche» (Nota 25). Sebbene i loro nomi non comparissero apertamente, la lettera puntava chiaramente il dito contro Sarah e Angelina: il risultato fu che le congregazioni aderenti, i municipi e il Meeting degli Amici del New England iniziarono a respingere le conferenze delle due sorelle. La stampa diede molta visibilità a tali avvenimenti, ed ebbe il merito di sollevare la prima vera discussione mediatica sul ruolo delle donne nello spazio pubblico e nelle predicazioni religiose, generando una querelle che, tuttavia, si risolse, nel 1840, con la sola spaccatura del movimento abolizionista.
Alla Pastoral Letter rispose Sarah: il testo che ne risultò, pubblicato nel 1838 con il titolo Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of the Woman. Addressed to Mary Parker, President of the Boston Female Anti-Slavery Society, che segnò un passaggio sia nella produzione femminista americana (Nota 26) sia nell’impegno di Sarah, che, pur non abbandonando mai la causa abolizionista, da questo momento si interessò prevalentemente alla lotta per i diritti delle donne.

 

2. Le Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of the Woman e il progetto educativo di Raritan Bay

Le quindici Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of Woman furono dapprima pubblicate sul «New England Spectator» (1837), e poi apparvero sul «Liberator» nel 1838. In seguito furono ristampate da Isaac Knapp (Boston 1838) (Nota 27). È noto che, nei primi mesi dopo la pubblicazione, ebbero una notevole circolazione: Lucretia Mott, in una lettera indirizzata a Elizabeth Cady Stanton (1815-1902), le definì come «la migliore opera dopo “I diritti delle donne” di Mary Wollstonecraft» (Nota 28). Tuttavia, furono poi pressoché dimenticate e, salvo una menzione nel 1898 nella Woman’s Bible di Cady Stanton (1895-1898), sarà solo Gerda Lerner a riscoprirle, come si è anticipato, nell’epoca di un già maturo “femminismo della seconda ondata” (Nota 29).
Il riferimento argomentativo primario delle Lettere sono i testi sacri: come già aveva dimostrato – insieme ad Angelina – per quanto concerne l’abolizione della schiavitù, anche in questo caso Sarah inaugura una innovativa esegesi biblica che sconfessa le interpretazioni tradizionali. Il punto di partenza delle Lettere è infatti la Genesi, e in particolare il passo in cui Dio creò l’uomo e disse «Non è buono che l’uomo sia solo, gli farò un aiuto adatto a lui» (Genesi 2,18). Dal momento che Dio aveva già creato tutti gli animali, «capaci di dare affetto all’uomo, di obbedirlo e di servirlo», la necessità di creare un “aiuto a lui adatto” esprime, secondo l’autrice, un’esigenza diversa: quella di dotarlo di una «compagna in tutt’i sensi uguale a lui» (Nota 30), un soggetto libero, egualmente morale e responsabile.
Questa idea è sostenuta dalla narrazione della Caduta, in cui Dio raccomanda sia all’uomo sia alla donna di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, ed entrambi commettono il peccato. «Sarei molto più disposta ad accordare all’uomo la superiorità [morale] che pretende, ma come i fatti sono presentati dallo storico sacro, sembra a me che Adamo abbia dimostrato perlomeno altrettanta debolezza quanto Eva» (Nota 31). La Caduta implica, per Grimké, la perdita dell’innocenza e della felicità, ma non la perdita dell’eguaglianza. L’eguaglianza primigenia, la condivisione dell’immagine di Dio, la comunanza nel peccato si traducono poi, nel Nuovo Testamento, nella “riducibilità” di tutte le anime in Gesù Cristo: «non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28); nel Discorso della Montagna, inoltre, Cristo stesso enuncia i doveri degli esseri umani, senza fare alcuna distinzione tra gli uni e le altre.
L’inferiorità delle donne, dunque, è ben lungi dall’essere un fatto naturale, ordinato da Dio. Si tratta piuttosto di un’imposizione illegittima, alimentata tanto dall’interesse degli uomini quanto dalla “limitatezza” delle donne che si compiacciono di degradarsi in «femmine», di tramutarsi in «animali d’abbigliamento» (Nota 32), rinunciando alle loro qualità morali e razionali per desiderio di piacere e compiacere. A tal riguardo, il richiamo all’opera più nota di Mary Wollstonecraft, che Sarah Grimké aveva letto (Nota 33), è evidente.
Nel prosieguo delle Lettere, la narrazione diviene meno teorico-concettuale e più storico-contestuale. Sarah giunge a descrivere la situazione delle donne nel mondo in generale, e negli Stati Uniti in particolare, e si sofferma specificamente su alcuni aspetti nodali: la condanna di un’educazione incentrata esclusivamente sul matrimonio; l’analisi del sistema di leggi che nega la capacità giuridica femminile, privando di fatto dei diritti di cittadinanza; la rivendicazione per le donne lavoratrici di retribuzioni eguali agli uomini a parità di mansioni; la necessità di una partecipazione femminile piena e attiva ai movimenti di riforma sociale e morale.
Per quanto concerne il tema dell’educazione, emergono diversi riferimenti alla propria esperienza personale: le ragazze americane, sottolinea a più riprese l’autrice, sono “depredate” della cultura «dalle circostanze […] degli svaghi à la mode, […], allevate con l’idea pericolosa e assurda che il matrimonio sia una situazione preferenziale» (Nota 34). Attingendo dall’opera di Lydia Maria Child (1802-1880), Sarah ricorda con rabbia come «“Colei che sa preparare un budino è più desiderabile di colei che compone una poesia”. […] Nel secolo scorso fu affermato con gravità che “abbastanza chimica per tenere la pentola a bollire, e abbastanza geografia per conoscere l’ubicazione delle varie stanze nella sua casa, è un sapere sufficiente per una donna”. Byron […] circoscriverebbe la biblioteca di una donna alla Bibbia e al libro di cucina» (Nota 35). Si tratta, com’è evidente, di una netta cesura rispetto alla logica della domestic sphere: l’ambito casalingo è quasi ridicolizzato e, al contrario, per le donne si rivendica un diritto all’ambizione intellettuale, ai piaceri dello studio e alla conoscenza specialistica. Non si tratta di un progetto organico di riforma del sistema educativo (Nota 36), bensì di uno stimolo individualistico alla ricerca della propria brama intellettuale di cui, nella Lettera sull’incapacità giuridica delle donne, Grimké offre un esempio personale e concreto: citando leggi, codici, giudici e dottrina, ella rivela il frutto della sua “conoscenza proibita”, quel sapere giuridico che le era stato negato e che tuttavia aveva cercato di accumulare con fatica, in segreto.
È proprio in questa stessa lettera, peraltro, che emerge a più riprese la connessione con un’altra tematica assai cara all’autrice: il nesso tra la condizione delle donne e quella degli schiavi. Le leggi che governano le donne, nella cui stesura esse non hanno avuto voce, anziché conferire diritti, di fatto, di diritti le privano. «Con l’unica eccezione di poter presentare una petizione al corpo legislativo, [la donna] è una nullità nella nazione, […] come gli schiavi del sud» (Nota 37). @font-face { font-family: "Arial"; }@font-face { font-family: "Arial"; }@font-face { font-family: "Calibri"; }p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal { margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 14.2pt; line-height: 150%; font-size: 12pt; font-family: "Times New Roman"; }span.MsoEndnoteReference { vertical-align: super; }p.MsoNoSpacing, li.MsoNoSpacing, div.MsoNoSpacing { margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; font-size: 9pt; font-family: "Times New Roman"; }.MsoChpDefault { font-size: 11pt; font-family: Calibri; }.MsoPapDefault { text-align: justify; text-indent: 14.2pt; line-height: 150%; }div.WordSection1 { } Evocando i Commentaries on the Laws of England di William Blackstone (1765-69), Grimké afferma che le donne, specialmente quelle sposate, sono, al pari degli schiavi, «assorbite nel loro padrone» (Nota 38): tutti i negozi giuridici da loro stipulati, sono nulli; ogni proprietà della moglie si trasferisce al marito; ella non può agire in giudizio; egli possiede un controllo illimitato sui suoi beni e sul suo corpo e requisisce i ricavi del suo lavoro; ella non ha consapevolezza della propria oppressione, lui solo è in grado di comprendere «i segreti di Blackstone» (Nota 39).
Anche per le donne è applicabile dunque la legge della Louisiana: «tutto ciò che uno schiavo possiede appartiene al suo padrone; egli non possiede nulla di personale, salvo ciò che il padrone consenta che lui possieda» (Nota 40), una condizione che dovrebbe suscitare scandalo in un paese democratico dove proprio «questa tassazione senza rappresentanza, si ricordi, fu la causa della nostra guerra rivoluzionaria» (Nota 41).
Partendo da una teoria argomentativa fondata nelle Scritture, Grimké giunge dunque a rivendicare diritti “concreti”: si tratta, certo, di estendere alle donne la titolarità dei diritti liberali dell’individuo proprietario – i due Trattati sul governo di John Locke sono citati più volte nelle Lettere – ma vi è anche la formulazione di un nuovo diritto, che oggi definiremmo “sessuato”, che muove dalla specifica condizione dell’individuo-donna: il diritto di scegliere per sé stesse, attingendo ad un ampio ventaglio di opzioni possibili. Emergono i tratti di un habeas corpus riformulato, rivolto non più contro uno Stato potenzialmente tiranno, bensì contro le imposizioni dettate dalle consuetudini.
Le Lettere inaugurarono una nuova stagione politica per le sorelle Grimké: i contenuti espressi da Sarah furono considerati troppo audaci su ogni fronte e non poterono essere condivisi nemmeno dall’ala del movimento che fino a quel momento le aveva supportate; persino Weld le criticò aspramente.
Sarah dovette accettare il compromesso di limitare, in futuro, l’enfasi pubblica sulla questione femminile; in cambio ottenne la possibilità di ripubblicare la sua opera nei circuiti abolizionisti.
Il 14 maggio 1838, Angelina e Theodore si sposarono. Una settimana più tardi, i Weld e Sarah parteciparono alla Anti-Slavery Convention of American Women in Pennsylvania Hall, di cui le sorelle furono elette vice-presidenti. Tuttavia, la fase dello sweet retirement era già iniziata: dopo la pubblicazione delle Lettere e raggiunto l’apice della visibilità pubblica, entrambe, di fatto, si ritirarono a vita privata.
Negli anni che seguirono, Angelina ebbe lunghi periodi di malattia e diverse gravidanze; insieme a Theodore, che pure si ritirò gradualmente dall’impegno militante, Sarah, che conviveva con la coppia, tornò ad occuparsi della vita domestica e delle cure familiari.
Nel 1839 i tre raccolsero una consistente raccolta di articoli di giornale e saggi contro la schiavitù, poi pubblicati con il titolo American Slavery As It Is: Testimony of a Thousand Witnesses; fu il loro ultimo scritto sul tema.
Alla prima World’s Anti-Slavery Convention, tenutasi a Londra nel giugno del 1840, le sorelle Grimké non parteciparono; e fu proprio lì che le loro sostitute, Lucretia Mott e Elizabeth Cady Stanton, si incontrarono: otto anni dopo avrebbero organizzato insieme, a Seneca Falls, la conferenza che è oggi considerata come il vero atto di nascita del movimento femminista – un evento cui anche le Grimké presero parte, anche se in modo alquanto defilato e marginale.
Oltre che al supporto della famiglia Weld, negli anni della maturità, Sarah concentrò le sue energie sulla propria auto-formazione; studiò con cura le leggi dei diversi Stati, alla ricerca delle ingiustizie che esse celavano contro le donne, e si appassionò in particolare alla legislazione dello Stato di Washington in merito allo statuto giuridico dei bambini e delle bambine. Considerando l’idea di ricominciare l’attività oratoria pubblica in nome dei diritti dei bambini, allargò i suoi studi all’anatomia e alla fisiologia per poter comprenderne meglio lo sviluppo fisico (Nota 42).
Nell’estate del 1854, all’età di 62 anni, Sarah si lasciò coinvolgere, insieme ai Weld, nel progetto di direzione di una scuola mista, per bambini e bambine, bianchi e neri, nella comunità cooperativa di Raritan Bay Union (Nota 43). Formalmente diretta da Theodore, la scuola venne organizzata da Sarah e Angelina sulla base di un equo riparto tra lavoro manuale e studio intellettuale. Lavori nei boschi e nei campi, attività domestiche e sportive facevano parte dell’originale curriculum, come pure dibattiti pubblici e esercizi oratori – questi ultimi erano finalizzati, in modo particolare, a sviluppare la sicurezza delle bambine nel prendere la parola in pubblico. Inoltre, venivano impartiti insegnamenti approfonditi, grazie anche a insegnanti qualificati – tra i quali Henry David Thoreau (1817-1862) e Ralph Waldo Emerson (1803-1882) –, nel rispetto del pluralismo delle idee: femministe, unitariani, quaccheri, abolizionisti, seguaci della dieta di Sylvester Graham, frenologi, furono invitati alla scuola, «la prima in assoluto cui si potevano vedere le bambine allenare i propri muscoli in palestra, remare una barca o allenarsi nel nuoto e nelle immersioni» (Nota 44).
Questo periodo rinverdì l’energia delle sorelle; entrambe sottoscrissero infatti i primi giornali femministi, «The Una», diretto da Paulina W. Davis (1813-1876) e «The Lily» di Amelia Bloomer (1818-1894), per un breve periodo addirittura indossarono il Bloomer costume (Nota 45). Sarah lesse e divulgò la Subjection of Women di J.S. Mill (1869) e intraprese una corrispondenza con Harriet Taylor, compagna del filosofo e ispiratrice dell’opera (Nota 46).
Allo scoppio della Guerra Civile (1861-1865), Sarah scrisse nel suo diario parole molto dure contro Lincoln e McClellan, colpevoli di «aver mosso guerra per l’Unione ma non per l’abolizione della schiavitù», tuttavia, nel 1865 applaudì alla seconda elezione di Lincoln (Nota 47), considerata una vittoria per l’“armata dei neri” (Nota 48).
Nel 1867 pubblicò una sua traduzione del testo francese di A. L. M. Lamartine, Joan of Arc. A Biography (Adams & Co., Boston 1867).
Nel 1868, quando le due sorelle avevano ormai 76 e 63 anni, appresero, leggendo l’«Anti-Slavery Standard», dell’esistenza di uno studente nero che si faceva chiamare “Mr. Grimké”: constatato che si trattava del figlio illegittimo e mai riconosciuto che il loro fratello Henry (1849-1930) aveva avuto con una schiava, le due donne accolsero il ragazzo, Archibald Henry, e il fratello di quest’ultimo, Francis James; li riconobbero come nipoti e permisero loro di studiare. “Archie” Grimké fu il vero erede di Sarah e Angelina: divenuto direttore di «The Hub», un giornale espressione del movimento nero, scrisse molti articoli sui diritti degli afroamericani, nonché la biografia di Garrison. Fu console per gli Stati Uniti a Santo Domingo e diresse la American Negro Academy; dalla National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), di cui era stato vice-presidente, ricevette nel 1919 un premio alla carriera «per i migliori riconoscimenti ottenuti da un cittadino americano di origine africana».
Sarah Moore Grimké morì il 23 dicembre 1873; Angelina, che trascorse gli ultimi anni della sua vita gravemente paralizzata, la seguì il 26 ottobre 1879.

 

3. Il suffragio femminile, una «benedizione per la società» (Nota 49)

La partecipazione attiva di Sarah Grimké al movimento suffragista fu relativamente scarsa, dal momento che ella era ormai in età avanzata quando, con la Dichiarazione dei Sentimenti di Seneca Falls (1848), nacque una vera e propria coscienza femminista collettiva in grado di organizzarsi nello spazio sociale. La National American Women Suffrage Association (NAWSA) fu fondata solo nel 1890 e la Congressional Union for Women’s Suffrage nel 1913. Fino alla morte di Sarah, tuttavia, salvo un’unica eccezione negli Stati Uniti (Nota 50), nessun paese al mondo aveva ancora riconosciuto il diritto di voto alle donne ed è possibile individuare negli scritti dell’oratrice di Charleston parole quasi profetiche in merito alla consapevolezza dell’importanza fondamentale del diritto di voto nell’ottica di una più ampia conquista dei diritti soggettivi delle donne.
Come mostra chiaramente la sua biografia, per Grimké la presenza attiva nello spazio sociale rappresentava un aspetto nevralgico della lotta emancipazionista. Formulate in alcuni passaggi in modo esplicito, alcune riflessioni su questo tema sono alquanto lucide: «poiché l’organo legislativo è il mezzo di comunicazione tra il governo e le varie classi della società, mi sembra nient’altro che giusto che le donne, che compongono la metà di ogni classe sociale, possano parteciparvi» (Nota 51). Sarah definisce infatti il suffragio femminile come una «benedizione della società, al pari della libertà per i neri» (Nota 52). Proprio perché l’emancipazione passa attraverso il riconoscimento giuridico e la partecipazione attiva, è nello spazio della cittadinanza che donne e neri devono lottare per la rivendicazione dei propri diritti.
Pur privilegiando l’impegno abolizionista nella prima parte della vita e quello femminista nella seconda, Grimké connetté sempre le istanze dei neri a quelle delle donne, intersecando sforzi e azioni. Per mezzo di giustificazioni teologiche e razionali anche passibili di esame presso le Corti, e attraverso un discorso pubblico e inclusivo, la doppia militanza fu per lei sempre perfettamente conciliabile.
Tale posizione, inizialmente condivisa da molte donne abolizioniste, divenne tuttavia minoritaria con la ratifica del XIV (1868) e del XV (1870) emendamento alla Costituzione Americana, che rappresentarono un vero e proprio punto di rottura. Le riforme costituzionali estesero infatti la cittadinanza ai cittadini afro-americani, ma solo agli afroamericani maschi. Trascurando l’impegno attivo delle molte donne militanti (si pensi alla FASS), il Congresso degli Stati Uniti introdusse la parola male nel dettato costituzionale, escludendo così le donne – bianche e nere – dalla cittadinanza politica: un vuoto colmato solo nel 1920, con la ratifica del XIX emendamento.
È comprensibile pertanto che, dopo il 1870, la lotta delle donne si sia concentrata sulla propria specifica condizione e ribadita esclusione, assumendo una formulazione autonoma (Nota 53). Attraverso un percorso che andrà via via accentuandosi sino alla completa maturazione negli anni settanta del Novecento, le istanze emancipatorie delle donne assumeranno, infatti, a poco a poco una loro connotazione peculiare, una specificazione per usare il lessico delle recenti teorie dei diritti umani, che dovrà poi fare i conti con il pluralismo delle soggettività sia all’esterno del gruppo, sia all’interno di esso.
La posizione espressa da Grimké, invece, radica ancora la sua opera in uno specifico contesto, tipico di quella fase della storia del femminismo in cui la donna può condividere con altri gruppi oppressi la soggezione a comuni catene. Non a caso, anche le due più famose “protofemministe”, Olympe de Gouges (1748-1793) e Mary Wollstonecraft (1759-1797), ricorsero spesso, e sin dai loro esordi, all’analogia donna-schiavo.
In particolare, la drammaturga francese fu autrice, già nel 1785, di un dramma antischiavista, Zamore et Mirza ou l’hereux naufrage (che la Comédie-Française metterà in scena nel 1788 con il titolo L’Esclavages des Nègres), e di alcune brevi ma significative Réflexions sur les hommes nègres, che esortano a rendere i neri, come i bianchi, «padroni della loro sorte» e «delle loro volontà» (Nota 54). Analogamente, nella primissima opera della scrittrice inglese, la novella Mary, a Fiction (1788), le donne sono appellate come «slaves» sin dalle pagine iniziali e la necessità di una liberazione è considerata un’impellenza comune tra le une e gli altri (Nota 55). La schiavitù dei neri è infatti definita, in A Vindication of the Rights of Men (1790), come «un traffico che oltraggia ogni suggerimento della ragione e della religione», un «costume disumano», un «atroce insulto dell’umanità» (Nota 56).
Entrambe propongono la tesi della vicinanza strutturale del soggetto “donna” e del soggetto (o non soggetto) “schiavo”: la deminutio delle loro prerogative deriva dalla medesima, indebita, ipertrofia del soggetto «eccellente», quello maschile, che le comprime, subordinandole alla propria posizione di predominio (Nota 57).
La donna è, per De Gouges in tutto eguale «alla schiava delle coste africane, comprata dall’uomo»; è un tipico atteggiamento femminile, inoltre, quello di immaginarsi «che tutte le altre donne siano fatte unicamente per essere [loro] schiave e per strisciare ai loro piedi» (Nota 58). Secondo Wollstonecraft «la donna […] [vive al] solo scopo di gratificare il desiderio dell’uomo o di essere poco più che una serva che provvede ai suoi pasti e si prende cura della biancheria» (Nota 59). «Educate peggio che nella schiavitù d'Egitto» (Nota 60), «le donne sono schiave […] in senso politico e civile poiché indirettamente ottengono un potere anche eccessivo che peraltro essendo illecito le degrada e le avvilisce come esseri umani» (Nota 61).
Il “potere” cui si fa riferimento è sempre e solo quello della seduzione, quello che, come si è visto, rende le donne «animali da abbigliamento» (Nota 62). Il perno nevralgico della trasformazione da “femmine” a “donne”, da animali (Nota 63) a cittadine, è dunque l’acquisizione della titolarità dei diritti. Ed è proprio con figure “ponte” come Grimké, a cavallo tra istanze rivoluzionarie di fine Settecento e movimenti suffragisti di fine Ottocento, che il riconoscimento della priorità logica e della funzione promozionale del diritto di voto sugli altri diritti politici e civili inizia ad essere messo a fuoco in maniera più consapevole.

 

NOTE:

Nota 1 Edito nel 1838, il testo fondamentale di Grimké precedette la Convenzione di dieci anni; la più nota opera di Margaret Fuller, Woman in the Nineteenth Century fu pubblicata nel 1845. Torna al testo

Nota 2 G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina: Pioneers for Women's Rights and Abolition, Schocken Books, New York 19712. Torna al testo

Nota 3 Si segnalano in particolare: G. Lerner, The Grimké Sisters From South Carolina. Rebels Against Slavery, Houghton Mifflin, Boston 1967; K. E. Melder, Forrunners of Freedom: the Grimké Sisters in Massachussets, 1837-1838, in «Essex Institute. Historical collection», 103, 3, 1967, pp. 223-249; C. H. Birney, The Grimké Sisters: Sarah and Angelina Grimké. The First American Women Advocates of Abolition and Woman's Rights (1885), New York, Haskell House 1970; E. C. Dubois, Struggling into Existence: the Feminism of Sarah and Angelina Grimké, in «Women: a Journal of Liberation», 1, 1970, pp. 4-11; W. H. Willimon, Turning the World Upside Down. The Story of Sarah and Angelina Grimké, Sandlapper Press, New York 1972; E. R. Gold, The Grimké Sisters and the Emergence of the Woman's Rights Movement, in «Southern Speech Communication Journal», 46, 4, 1981, pp. 341-360; G. Lerner, The Grimké and the Struggle against Race Prejudice, in «The Journal of Negro History», 48, 4, 1981, pp. 277-291; E. A. Bartlett, L. Ceplair, The Public Years of Sarah and Angelina Grimké: Selected Writings 1835-1839, New York, Columbia University Press 1989; G. Lerner, The Feminist Thought of Sarah Grimké, New York-Oxford, Oxford University Press 1998; S. S. McPherson, Sisters Against Slavery: A Story about Sarah and Angelina Grimké, Minneapolis, Carolrhoda Books 1999; A. Speicher, The Religious World of Antislavery Women. Spirituality in the Lives of Five Abolitionist Lecturers, Syracuse, Syracuse University Press 2000; P. R. Durso, The Power of Woman: the Life and Writings of Sarah Moore Grimké, Macon, Mercer University Press 2003; nonché la recente pubblicazione: S. M. Grimké, A. E. Grimké, On Slavery and Abolitionism. Essays and Letters, introduction by M. Perry, London, Penguin Classics 2015.
Per un più ampio inquadramento, si vedano, tra gli altri: E. Flexner, Century of Struggle: The Woman’s Rights Movement in the United States, Cambridge (MA), Belknap Press 1959; A. Lutz, Crusade for Freedom: Women of the Antislavery Movement, Boston, Beacon Press 1968; M. Perry, Lift Up Thy Voice: The Grimké Family's Journey from Slaveholders to Civil Rights Leaders, New York, Viking Penguin 2001; J. Wellman, The Road to Seneca Falls. Elizabeth Cady Stanton and the First Woman’s Rights Convention, Urbana-Chicago, University of Illinois Press 2004. Torna al testo

Nota 4 Sul rapporto tra biografia e ricerca storiografica si veda, tra gli altri, il recente lavoro di Cesarina Casanova: Regine per caso. Donne al governo in età moderna, Laterza, Roma-Bari 2014, in part. pp. 195-206, che rimanda a B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Laterza, Roma-Bari 19547. Si vedano anche: C. Casanova, Il revival biografico: tra autori e lettori, in «Movimento operaio e socialista», 1-2, 1989, pp. 119-128; R. J. Knecht, La biographie et l’historien, in «Cahiers de l’Association internationale des études françaises», 52, 2000, pp. 169-181; L. W. Banner, Biography as History, in «American Historical Review», 3, 2009, pp. 579-586; B. Taylor, Separation of Soul: Solitude, Biography and History, in «American Historical Review», 3, 2009, pp. 640-651. Torna al testo

Nota 5 G. Lerner, The Grimké Sisters From South Carolina, cit., p. 16. Torna al testo

Nota 6 L. M. Child, Letters, Houghton, Mifflin & Co., Boston 1883, p. 26. La traduzione è mia. Torna al testo

Nota 7 A titolo di esempio, mostrando un carattere ribelle e ostinato che conservò poi per tutta la vita, imparò il latino, in segreto, sui volumi del fratello prediletto Thomas. Quest’ultimo, il cui nome completo fu Thomas Smith Grimké (1786-1834), studiò a Yale e divenne avvocato e senatore. Membro della American Peace Society e autore di alcune importanti orazioni parlamentari, progettò inoltre un piano di educazione generale e universale che potesse essere rivolto anche alle ragazze «eccezionalmente dotate»; morì prematuramente a 48 anni. Torna al testo

Nota 8 A. E. Grimké, «The Liberator», 2 marzo 1838. La traduzione della citazione riportata di seguito è mia. Torna al testo

Nota 9 S. Grimké, Diary, 1827, Weld MSS; anche citato in G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 23. Torna al testo

Nota 10 A tal proposito si veda la tesi di laurea magistrale di I. Heindorf, Sarah Moore Grimké. Quacchera, abolizionista e femminista. Lettere sull’Eguaglianza tra i Sessi e la Condizione della Donna, 1838 (Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Bologna, a.a. 2010-2011, relatore Prof. P. C. Bori, correlatrice Prof.ssa R. Baritono), pp. 22-26. Torna al testo

Nota 11 La richiesta fu reiterata a distanza di quattro anni, ma Sarah Grimké confermò la sua precedente decisione. Emerge dalla corrispondenza privata un intensissimo coinvolgimento romantico tra i due, le ragioni del rifiuto restano pertanto difficili da spiegare. Certo, soprattutto in questi anni, è percepibile negli atteggiamenti di Sarah un forte senso di auto-rinuncia, forse ispirato da motivi mistici e religiosi, ma è possibile ipotizzare anche motivazioni “femministe”: l’esperienza della propria famiglia non doveva discostarsi molto da quella che Harriet Martineau descriveva in questi termini in Society in America, 2 voll., Saunderns & Otley, New York 1837, vol. 2, pp. 112 e 118: «Every man who resides on his plantation may have his harem […], a planter’s wife was only “the chief slave of the harem”». È probabile dunque che Sarah, come donna, non credesse nell’istituzione del matrimonio, considerato come luogo di degradazione morale nei termini descritti da Martineau. Torna al testo

Nota 12 Si tratta del proposito espresso nello statuto della Massachusetts Anti-Slavery Society. La traduzione è mia. Torna al testo

Nota 13 Il caso è menzionato anche in R. Baritono (a cura di), Il sentimento delle libertà. La Dichiarazione di Seneca Falls e il dibattito sui diritti delle donne negli Stati Uniti di metà Ottocento, La Rosa, Torino 2001, p. XXII. Torna al testo

Nota 14 A. E. Grimké, «The Liberator», 17 ottobre 1835. Torna al testo

Nota 15 Cfr. G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 126. Torna al testo

Nota 16 Di universalismo “interno” ed “esterno” ha parlato Pietro Costa in Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 4 voll., Laterza, Roma-Bari 1999-2001. Torna al testo

Nota 17 L’espressione, riportata anche da Lerner (G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 148), indica gli oratori militanti dell’AASS, che erano soliti tenere letture e discorsi pubblici per sostenere le tesi anti-schiaviste. Torna al testo

Nota 18 Sebbene i primi sermoni di Angelina fossero rivolti a un pubblico di sole donne, presto le due sorelle iniziarono a rivolgersi a un pubblico “misto”. La pretesa di rivolgere le proprie orazioni anche agli uomini sarà, come si vedrà più avanti, una delle ragioni delle più accese critiche rivolte loro. Torna al testo

Nota 19 G. Lerner, The Feminist Tought of Sarah Grimké, Oxford University Press, New York-Oxford 1998, p. 158. Torna al testo

Nota 20 G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 179. Torna al testo

Nota 21 Ivi, p. 3: si tratta di una citazione da un articolo pubblicato su «The Public Ledger», nel 1850. Torna al testo

Nota 22 «We Aboliton Women are turning the world upside down», scrive Angelina nel suo diario, il 25 febbraio 1838. Torna al testo

Nota 23 C. Beecher, An Essay on Slavery and Abolitionism with Reference to the Duty of American Females, Henry Perkins, Philadelphia 1837, p. 101. La traduzione è mia. Sorella di Harriet Beecher, l’autrice della Capanna dello zio Tom (1852), Catherine dedicò la propria vita alla lotta per lo sviluppo dell’istruzione femminile. Nel 1852, fondò la American Woman’s Educational Association esprimendo una contraddizione interessante: agì pubblicamente per avocare il ruolo delle donne solo all’interno della sfera domestica. Torna al testo

Nota 24 A. E. Grimké, Letters to Catherine Beecher, in Reply to an Essay on slavery and Abolitionism, addressed to A.E. Grimké, Revised by the Author, Isaak Knapp, Boston 1838, p. 119. La traduzione è mia. Torna al testo

Nota 25 E. A. Bartlett, L. Ceplair, The Public Years of Sarah and Angelina Grimké: Selected Writings 1835-1839, Columbia University Press, New York 1989, p. 139. Torna al testo

Nota 26 Cfr. R. Baritono (a cura di), Il sentimento delle libertà, cit., p. L. Torna al testo

Nota 27 La prima versione in lingua italiana di una selezione delle lettere è stata recentemente curata da Thomas Casadei: “Poco meno degli angeli”. L’eguaglianza dei sessi, trad. it. di I. Heindorf, con una nota bibliografica di S. Vantin, Castelvecchi, Roma 2016. Lo storico del cristianesimo Michel Grandjean ha curato la versione francese per la casa editrice Labor et Fides (Gèneve 2016). Torna al testo

Nota 28 Cfr. J. Nies, Seven Women: Portraits from the American Radical Tradition, Penguin Books, London 1977, p. 78, e A. Rossi-Doria, La libertà delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg & Sellier, Torino 1990, p. 75. Torna al testo

Nota 29 In un’amplia letteratura, si veda F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe, Mondadori, Milano 2002. Torna al testo

Nota 30 Cfr. T. Casadei, Sarah Moore Grimké, le radici bibliche dell’argomentazione femminista, nota introduttiva a “Poco meno degli angeli”, cit., p. 24. Torna al testo

Nota 31 S. M. Grimké, “Poco meno degli angeli”, cit., p. 6. Torna al testo

Nota 32 Ivi, p. 50. Torna al testo

Nota 33 Come risulta dalle citazioni nella sua opera: si veda S. M. Grimké, “Poco meno degli angeli”, cit., p. 113. Torna al testo

Nota 34 Ivi, p. 36. Torna al testo

Nota 35 Ivi, p. 46. Il volume di L. M. Child citato è History of the Condition of Women, John Allen & Co., Boston 1835, p. 208. Torna al testo

Nota 36 Wollstonecraft, nella sua Vindication of the Rights of Woman (1792), cap. 13, aveva invece descritto molto puntualmente il proprio piano di educazione nazionale, soffermandosi anche sui dettagli logistici e architettonici delle scuole. Torna al testo

Nota 37 S. M. Grimké, “Poco meno degli angeli”, cit., p. 57. Torna al testo

Nota 38 Ivi, p. 59. Torna al testo

Nota 39 Ibidem. Torna al testo

Nota 40 Ivi, p. 63. Torna al testo

Nota 41 Ivi, p. 64. Torna al testo

Nota 42 Ciò avvenne con il supporto e l’aiuto dell’amica Harriot Kezia Hunt, la prima donna medico degli Stati Uniti. Il rapporto di amicizia sincera tra le due è confermato dalla dedica che la Hunt rivolse a Sarah in apertura alla sua biografia: Sarah è definita «la sua maestra, una donna rara e vera»: cfr. G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 322. Torna al testo

Nota 43 La comunità, ispirata all’utopia socialista di Charles Fourier (1772-1837), fu aperta da Rebecca Buffum (1811-1911) e Marcus Spring (1810-1874) – già componenti della North American Phalanx – nel 1853 e durò fino al 1860. Torna al testo

Nota 44 M. D. Conway, Autobiography, Memories and Experiences, 2 voll., Houghton, Mifflin & Co., Boston 1904, vol. I, p. 332. La traduzione è mia. Torna al testo

Nota 45 Noto anche come “abito turco”, “abito americano” o “abito della riforma”, il Bloomer costume (da Amelia Bloomer, che lo pubblicizzò sul giornale da lei diretto, «The Lily», nel 1851) è un abito femminile pensato per promuovere uno stile di abbigliamento che non fosse nocivo per la salute delle donne che lo indossavano. Torna al testo

Nota 46 Come afferma lo stesso Mill in apertura al testo: «Colei alla quale la mia vita è dedicata ha espresso il desiderio che io esponga per iscritto le mie opinioni su un argomento che, tra tutti quelli relativi alle istituzioni umane, è il più vicino alla sua felicità»: si veda J. S. Mill e H. Taylor, Sull’eguaglianza e l’emancipazione femminile, a cura di N. Urbinati, Einaudi, Torino 2001, p. 5. Da come prosegue l’introduzione è chiaro che la Taylor fu molto più che un’ispiratrice del testo: la pubblicazione in lingua italiana è infatti attribuita ad entrambi gli autori. Torna al testo

Nota 47 Avvenuta nel 1864. Torna al testo

Nota 48 Cfr. G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 341-355. Torna al testo

Nota 49 Da appunti di Sarah Grimké, non datati, Condition of Woman, Weld Manuscripts, citati in G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 334. Le traduzioni, anche successive, sono mie. Torna al testo

Nota 50 Più spinto da una mera ricerca di visibilità che non mosso da reali intenzioni emancipazioniste, il Wyoming concesse il suffragio femminile nel 1869. A onor del vero, la storia aveva conosciuto almeno altri due precedenti su questo fronte: durante la cosiddetta “epoca della libertà svedese”, dal 1718 al 1772, quando alle donne della Svezia fu concesso un diritto di voto “ristretto” e tra il 1755 e il 1769, nella Repubblica di Corsica, in virtù della costituzione promulgata da Pasquale Paoli. Torna al testo

Nota 51 G. Lerner, The Grimké Sisters from South Carolina, cit., p. 334. Torna al testo

Nota 52 Ibidem. Torna al testo

Nota 53 Tuttavia, come dimostrano studi recenti, il tema dei diritti era già presente anche in contesti diversi da quelli dell’associazionismo abolizionista: si vedano, a tal proposito, in particolare: A. Theodore, A Right to Speak on the Subject: The US Women’s Antiremoval Petition Campaign, 1829-1831, in «Rethoric and Public Affairs», 5, 2002, pp. 601-624 e L. Ginzberg, Untidy Origins: A Story of Woman’s Rights in Antebellum New York, UNC Press, Chapel Hill, 2005.
La posizione della conciliabilità delle istanze di donne e neri riprese comunque un parziale vigore negli anni sessanta del Novecento, nel contesto del movimento per il pieno riconoscimento dei diritti civili degli afro-americani: lo mostra, tra gli altri, E. Foner, Storia della libertà americana (1998), Donzelli, Roma 2000. Torna al testo

Nota 54 O. de Gouges, Œuvres, a cura di B. Groult, Mercure de France, Paris 1986, p. 85, citato in P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, vol. 2, L’età delle Rivoluzioni (1789-1848), p. 79. Torna al testo

Nota 55 M. Wollstonecraft, The Works of Mary Wollstonecraft, eds. by J. Todd, M. Butler, vol. 1, William Pickerling, London 1989, in part. pp. 12 e 55. Torna al testo

Nota 56 M. Wollstonecraft, I diritti degli uomini. Risposta alle Riflessioni sulla Rivoluzione francese di Edmund Burke (1790), introduzione, traduzione e note di B. Casalini, PLUS, Pisa 2003, p. 15. Torna al testo

Nota 57 P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, vol. 2, L’età delle Rivoluzioni (1789-1848), pp. 79 e ss. Poiché non è possibile, in questa sede, approfondire ulteriormente questo interessante nesso in relazione al pensiero di Grimké, si rimanda a: B. G. Hersh, The Slavery of Sex: Feminist-Abolitionists in America, Urbana, Illinois Press, 1978; R. R. Ruether, The Subordination and Liberation of Women in Christian Theology: St. Paul and Sarah Grimké, in “Soundings”, 61, 2, 1978, pp. 168-181; J. F. Yellin, Women and Sisters. The Antislavery Feminists in American Culture, New Haven; London, Yale University Press, 1989; J. C. Van Horne, The Abolitionist Sisterhood: Women’s Political Culture in Antebellum America, Ithaca-London, Cornell University Press, 1994; M. F. Weiner, Mistress and Slaves: Plantation Women in South Carolina, 1830-1880, Urbana-Chicago, University of Illinois Press, 1998; M. Grandjean, Antiesclavagisme et féminisme. Le combat théologique des soeurs Grimké aux Etats-Units dans les années 1830, in “Etudes théologiques et religiouses”, 3, 2008, pp. 317-331. Torna al testo

Nota 58 O. de Gouges, Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, Il melangolo, Genova 2003, pp. 28 e 46. Torna al testo

Nota 59 M. Wollstonecraft, Il manifesto femminista per la rivendicazione dei diritti della donna scritto e pubblicato per la prima volta nel 1792, con un saggio introduttivo di M. Kramnick, Edizioni Elle, Milano 1977, p. 128. Un’altra importante traduzione in lingua italiana del testo più noto di Wollstonecraft è quella curata lo stesso anno da Franca Ruggieri per Editori Riuniti (Roma). Torna al testo

Nota 60 Ivi, p. 195. Torna al testo

Nota 61 Ivi, p. 252. Torna al testo

Nota 62 Cfr. S. M. Grimké, “Poco meno degli angeli”, cit., p. 54: «Si sostiene spesso che, siccome uccelli e fiori sono gaiamente adornati per mano della natura, non ci può essere nessun peccato nel fatto che la donna orni la sua persona. La mia risposta è: Dio non mi ha creato né uccello né fiore, e aspiro a qualcosa di più che somigliare a loro». Già Wollstonecraft aveva inveito in modo analogo contro la vanità delle donne, che «rinchiuse […] in gabbie come la razza piumata, non hanno altro da fare che pavoneggiarsi e saltellare da un posatoio all’altro con ridicola solennità» (M. Wollstonecraft, Il manifesto femminista per la rivendicazione dei diritti della donna, cit., p. 145). Torna al testo

Nota 63 Non è infrequente riscontrare, nella letteratura tra Sette e Ottocento, passi che accostano le donne ad animali. Già Edmund Burke aveva affermato: «la donna non è che un animale, e non dei più evoluti» (E. Burke, Scritti Politici, a cura di A. Martelloni, UTET, Torino 1963, p. 197). Di analogo tenore sono alcune metafore dell’antropologia positivistica: si pensi alle parole di Cesare Lombroso («Tale [a]l cane, [la donna…] ha sviluppato nel contatto con l’uomo istinti di fedeltà, di sottomissione, di affetto»: C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta, la donna normale, Bocca, Milano-Torino 19153, p. 90) e di Paul Julius Moebius («[la donna è] somigliante alle bestie, sempre dipendente da influenze estrinseche, sicura di sé e gaia»: P. J. Moebius, L’inferiorità mentale della donna (1900), introduzione di F. Ongaro Basaglia, Einaudi, Torino 1978, p. 9). Torna al testo

 

Questo saggio si cita: S. Vantin, I «segreti di Blackstone» rivelatiAbolizionismo, riforma dell'educazione e suffragio femminile in Sarah Moore Grimké (1792-1873), in «Percorsi Storici», 4 (2016) [www.percorsistorici.it]

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