Patrizia Farinelli
La Palazzina Pepoli*
In questo contributo ci soffermiamo su un particolare aspetto della vita e delle imprese di Gioacchino Napoleone Pepoli: la sua abitazione in Bologna, ancora conosciuta oggi come Palazzina Pepoli, già Palazzina delle Vedove o Casa di Sant’Agata, in piazza del Francia, 1, in angolo con via Castiglione. Un edificio importante per la sua storia e per la sua collocazione in una zona della città che conosce grandi trasformazioni negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia con un progetto urbanistico e architettonico che ridisegna strade, piazze, monumenti, edifici pubblici e privati, dove le attuali vie Farini e Garibaldi, le piazze Cavour e Minghetti, i palazzi della Cassa di Risparmio, della Banca d’Italia e delle Poste sorgono per celebrare la nascita del nuovo Stato.
La ricerca ha attinto ad alcuni archivi e a numerose pubblicazioni con una analisi anche iconografica di disegni e fotografie utili per rileggere le vicende dell’edificio, inscindibili da quelle dell’area urbana.
Nell’elogio di Gioacchino Pepoli di Enrico Zironi, Il marchese senatore Gioacchino Napoleone Pepoli, del 1895, si legge: «La famiglia Pepoli è una di quelle la cui storia non si tese in pochi anni […] Il 10 ottobre 1825 colla nascita dell’ultimo rampollo di ramo diretto: Gioacchino Pepoli, in esso si mostrava tutto quanto per sei secoli aveva generato».
L’impegno del Pepoli per le opere di solidarietà sociale è rievocato nel narrare la sua morte:
In questo caso il Pepoli potevasi paragonare al falegname di Nazareth, che preferì la stalla al Palazzo regale. Il Pepoli ai grandi onori, ai regali palazzi, alle suntuose mense, preferì la vita frugale e noi bolognesi, che bene lo conoscemmo, sappiamo ancora che ei preferì morire santamente rassegnato in mezzo agli operai, e nell’appartamento umile a pian terreno della Palazzina, presso il principesco Palazzo degli antenati suoi (Nota 1).
I Palazzi degli antenati erano Palazzo Pepoli e Palazzo Pepoli nuovo. I Pepoli, cambiavalute e mercanti, ebbero un ruolo importante nella vita cittadina fin dagli inizi del XIII secolo, investirono largamente in proprietà immobiliari e divennero anche i banchieri dello stesso Comune di Bologna. Taddeo Pepoli fu signore di Bologna fra il 1337 e il 1348. La famiglia, che ottenne il seggio senatorio nel 1506, aveva le sue antiche case in via Castiglione nei pressi del palazzo dei mercanti. In seguito la proprietà si estese dal vicolo Sampieri fino all’attuale via dei Pepoli, ove fu edificato il primo palazzo, caratterizzato, nella parte centrale, da un’austera architettura merlata, iniziato per volere di Taddeo Pepoli nel 1344 e portato a termine nel 1420. Nel 1723 vi si aggiunsero le parti laterali che furono costruite imitando la facciata merlata centrale e aprendo un nuovo portone ornato da una ghiera in cotto in stile antico. Nei restauri del 1939 furono, tra l’altro, riaperte le antiche finestre e fu ripristinato il fregio a scacchi del fastigio. Oggi il palazzo ospita il Museo della città.
Nella seconda metà del XVII secolo, sul luogo ove sorgevano alcune case acquistate dalla famiglia Pepoli tra il 1577 e il 1648 – di fronte al palazzo vecchio – il conte Odoardo Pepoli diede inizio alla costruzione dell’attuale edificio: Francesco Albertoni realizzò la facciata su via Castiglione, mentre l’architetto Giuseppe Antonio Torri completò l’edificio con quella monumentale su via Clavature. La decorazione delle volte interne e dei saloni coprì gli ultimi trent’anni del Seicento. Il Palazzo nuovo era detto anche Palazzo delle catene perché «di fronte al suo ingresso di via Castiglione stavano diversi pilastri i cui interstizi erano sbarrati da grosse catene, pilastri e catene che furono tolti alla fine dell’Ottocento per l’allargamento del tratto di strada adiacente» (Nota 2).
Se la pianta prospettica di Bologna del 1575, conservata nei Palazzi Vaticani, rappresenta Palazzo Pepoli vecchio e la piazzetta con la Chiesa di Sant’Agata, la Ichnoscenografia di Filippo de Gnudi, del 1702, raffigura anche l’imponente Palazzo Pepoli nuovo e indica la chiesa come «S. Agata de’ Pepoli».
La Palazzina Pepoli prospetta oggi su piazza del Francia, 1, già piazzetta Sant’Agata, in angolo con via Castiglione ed è contigua al Palazzo Pepoli nuovo. Possiamo ricostruire la sua storia a partire dallo schizzo con cui il Guidicini ipotizza lo stato dell’area nel 1652, dove sono indicate, a lato della Chiesa di Sant’Agata, le Case Volta con pertinenze, acquistate dai Pepoli nel 1652 (Nota 3). Sempre il Guidicini, nelle Cose notabili della città di Bologna, narra che «nella piazza di sant’Agata, che nel 1582 dicevasi piazzola dei Volta» si trova la «Chiesa parrocchiale di Sant’Agata di antico impianto […] sussidiaria della Parrocchia di San Bartolomeo, ius patronato della Casa Pepoli e goduto da Landini Priore Pietro Rettore della detta Chiesa» (Nota 4). Si cita la fondazione della chiesa, attribuita al 433, la ricostruzione nel 1196, e l’appartenenza alla famiglia dei conti Volta, che ne cura il rifacimento nel 1653. Achille Volta, nel 1698, dona il giuspatronato al conte Cornelio Pepoli nell’ambito della progressiva acquisizione dell’intero isolato. In questo modo i beni della famiglia nell’area definiscono quasi un «Quartiere Pepoli», come osserva, a metà dell’Ottocento, lo stesso Guidicini, che, descrivendo via Castiglione, giunto all’incrocio con via Ponte di Ferro (oggi via Farini), scrive: «Il tratto di strada dal Ponte di Ferro (sul torrente Aposa) fino alle Chiavature in oggi si dice via dei Pepoli, quantunque faccia parte di Strada Castiglione» (Nota 5). La Palazzina viene citata spesso come Casa Sant’Agata o «delle Vedove»: si tratta infatti dell’edificio voluto da Marina Grimani vedova Pepoli. Marina, nata a Venezia, nel 1733, aveva sposato, nel 1755, il nobile Cornelio Pepoli, che risiedeva a Venezia fin dal 1748, quando era fuggito da Bologna per dissidi con il governo. Alla morte di Cornelio, nel gennaio 1777, il suo corpo tornò a Bologna e, dopo i funerali nella chiesa di Sant’Agata, fu sepolto nella tomba di famiglia in San Domenico. Lasciava la moglie, quarantaquattrenne, e due figli: Ginevra, che sposò, nel 1799, Ferdinando Marescalchi, e Alessandro che morì celibe nel 1796 (Nota 6). La vedova si trasferì con i figli a Bologna, nel palazzo dei Pepoli in via Castiglione e commissionò, a nome del figlio Alessandro, di cui amministrava i beni ereditati, all’architetto Angelo Venturoli molti lavori in case e in ville, secondo i nuovi modelli del neoclassicismo.
Il Catalogo cronologico da lui stesso diligentemente tenuto di tutte le sue Operazioni degli Edifici ideati ed eseguiti, allegato all’Elogio di Angelo Venturoli Architetto Bolognese, scritto dal marchese Antonio Bolognini Amorini, riporta incarichi per il palazzo di campagna a Rigosa, per la chiesa e altri edifici a Boccadirio, per la canonica della chiesa di Sparvo, e per restaurare la cappella maggiore della Chiesa di Sant’Agata, come testimoniano i disegni conservati in Archivio di Stato di Bologna e nell’Archivio della Fondazione Collegio Artistico Angelo Venturoli (Nota 7). Il coevo inventario della chiesa, del 1792, conservato tra i fondi dell’Archiginnasio, fa infatti riferimento a due copatroni: Alessandro (+1796) e Odoardo (+1801) Pepoli. Sempre nel Catalogo si legge dell’incarico al Venturoli per la “nuova Casa”: «n. 26 – li 9 marzo 1782. Pianta, Facciata e Spaccato della nuova Casa, che deve servire per abitazione alle Signore Vedove Pepoli, che si deve costruire annesso al Palazzo Senatorio Pepoli posto in strada Castiglione» (Nota 8). Tra i materiali conservati nell’Archivio della Fondazione Venturoli, si trova una preziosa relazione del giugno 1782, dove l’architetto presenta il progetto e la spesa, evidenziando che si tratta della trasformazione di un edificio preesistente per realizzare una casa a due piani che sarà dotata di due facciate: una a levante ed una a mezzogiorno:
Avendo colla diligenza possibile io sottoscritto architetto adempiuto gli ordini veneratissimi di sua eccellenza la signora donna Marina Grimani Pepoli, di formare cioè una casa di due piani di nuova abitazione parallela ad altra unità alla detta da farsi e al Palazzo Senatorio Pepoli, la qual nuova abitazione, avrà la principale facciata, quale sta al presente a levante sulla strada maestra, e insieme di dare computo della spesa che occorrerà a tale erezione ne presento quindi annesse a questo foglio le due piante delineate in ciascuna delle quali quanto si vede colorato in nero indica quel che di vecchio rimane; il colorito in giallo quel che di vecchi deve atterrarsi e il colorito in rosso quel di nuovo che dee farsi. Per una spesa di lire 14.471.[…] Li materiali che si ricaveranno dalla vecchia fabbrica cioè pietre, legnami e ferramenti, si possono computare circa 4.200 (Nota 9).
Il progetto trova riscontro nella concessione dell’Assunteria d’ornato del 1782:
1782, 13 dicembre. Concessione alla contessa donna Marina Grimani Pepoli di occupare piedi 11 e ½ quadrati di suolo pubblico lateralmente al palazzo del conte senatore Alessandro suo figlio dalla parte della Chiesa di S. Agata per ingrossare un muro e levando poi alcuni modiglioni ridurre un angolo diagonale a linea retta fino alla chiesa predetta di S. Agata, come a tipo e relazione (Nota 10).
I lavori si protrassero verosimilmente fino al 1788, come attesta anche il resoconto dei lavori del Venturoli riguardo ai «materiali e spese sostenute» che cita anche «ornati delle finestre e pietre delle due facciate».
Nel 1788, il perito Francesco Rossi, in un disegno del fondo Pepoli, in Archivio di Stato, raffigura i fronti dei palazzi sulle strade da selciare, per il riparto delle spese, individuandone i proprietari. Contrassegna il Palazzo vecchio e la sua «Aggiunta», il «Palazzo nuovo delle Eccellenze Signori Conti Alessandro Pepoli Senatore ed Odoardo Pepoli» e, a lato della chiesa di Sant’Agata, con il suo portico, la «Casa nuova di Sua Eccellenza Conte Senatore Alessandro Pepoli» (Nota 11). Giovanni Bassani, nel disegno databile al 1796, che rappresenta gli edifici Vizzani che prospettano su strada Castiglione e sulla piazzetta Sant’Agata, indica il bene come «Palazzo della Signora Contessa Marina Grimani Pepoli» (Nota 12).
Nella Veduta della Chiesa di S. Agata e Palazzi Pepoli in Bologna, di Pio Panfili, è rappresentata la situazione al 1810: tra Palazzo Pepoli nuovo e la chiesa di Sant’Agata, raffigurati in forme aderenti al vero, si eleva su due piani fuori terra più granaio o sottotetto la casa di Marina. Il corpo di fabbrica, a pianta rettangolare, presenta il lato più corto su strada Castiglione con tre finestre per piano ornate da mensole e timpani triangolari, con a lato un arco a tutto sesto chiuso dal portone d’accesso al vicolo e sovrastato da un architrave rettangolare che sottolinea il collegamento con il Palazzo Pepoli nuovo (Nota 13). Il fronte verso S.ant’Agata è caratterizzato da un semplice ingresso e da finestre apparentemente prive di decorazioni, la fascia marcapiano che separa piano terra e primo piano sembra porsi in continuità con il sommo del portico della Chiesa che probabilmente si addossava lateralmente alla casa, come attesta anche la mappa del catasto gregoriano.
Marina Grimani è citata, nel 1810, come abitante della Palazzina nel Diario bolognese dall’anno 1796 al 1818, di Giuseppe Guidicini: «1810 – lì 13 dicembre – Si è incendiata la casa della vedova Grimani Pepoli da S. Agata, ed ha dato gran danno alle vicinanze» (Nota 14). Forse anche in seguito allo spavento, Marina muore nel marzo 1811.
L’edificio perviene in eredità al marchese Guido Taddeo Pepoli (Bologna, 1789-1852), che aveva sposato a Bologna, nel 1823, la principessa Letizia Murat, figlia di Gioacchino Murat e quindi nipote di Napoleone Bonaparte. Guido Taddeo e Letizia abitano nella Palazzina, come risulta dal testamento di Guido Taddeo del 1846:
In considerazione di tante spese di restauri ed altre da molti anni sostenute da detta mia moglie con la propria sua particolare sostanza alla parte di Palazzo Pepoli da noi abitata e conosciuta sotto il nome di Palazzina delle vedove e casa di S. Agata, lascio a mia moglie a titolo di legato il pieno usufrutto, vita di lei naturale durante, della intera parte del palazzo Pepoli sunnominato, ora da noi e dalla nostra famiglia abitata, inclusiva delle aderenze di cantine, granai, stalle […] come pure l’usufrutto dei mobili, biancheria, oggetti preziosi, vasellami carrozze e tutt’altro di cui detta parte di palazzo e aderenze si troveranno collocati all’epoca di mia naturale mancanza e che potessero a me appartenere.[…] Dichiaro poi a lode del vero che massima parte degli effetti dei quali trovasi fornita la mia casa in Bologna e così le sue aderenze sono di libera e assoluta proprietà di detta mia moglie (Nota 15).
Guido Taddeo muore, nel 1852, nella Palazzina «in una camera da letto al piano di mezzo la quale ha luce mediante una finestra dalla Piazza S. Agata ed è prossima alla chiesa di tal nome» (Nota 16) Tutto il patrimonio va, secondo il testamento, all’unico figlio maschio Gioacchino, con riserve alla moglie e alle figlie: «Perdono a mio figlio Gioacchino la sua condotta verso di me e lo nomino mio erede universale prelevate che siano dal mio patrimonio le doti delle mie figlie tuttora nubili Elisabetta e Paolina».
Gioacchino Pepoli, di cui ampiamente si narra in altri interventi, è uomo europeo per legami di sangue e per l’impegno e le responsabilità sociali e politiche che lo portano in diversi stati del tempo, collabora attivamente a realizzare l’unità d’Italia e ne diviene uno dei governanti: governatore, deputato, ministro, ambasciatore, ma anche sindaco di Bologna (1866-1868), e poi senatore (1868); all’abilità di diplomatico unisce la passione per lo studio, l’opera di poeta e scrittore, l’impegno per le opere sociali.
Gioacchino e la moglie principessa Federica Guglielmina Hohenzollern Sigmaringen, sposata nel 1844, sono proprietari, nel 1866, di numerosi beni immobili, tra cui la Palazzina e la chiesa di Sant’Agata. Con il marchese Luigi, Gioacchino è proprietario anche del Palazzo Pepoli nuovo che, in quegli anni, è preso in esame come possibile sede della nuova Cassa di Risparmio; e si mostra il più favorevole alla vendita, nell’ambito di progetto che potrebbe comprendere la demolizione anche della Palazzina per uniformare l’intero fronte su via Castiglione (Nota 17). Ma, nel 1868, viene infine scelta l’area tra via Castiglione e Ponte di Ferro dove restavano macerie dell’ex teatro Zagnoni, distrutto da un incendio nel 1802, e case e stalle su piazzetta Sant’Agata.
A seguito della morte, nel 1869, del marchese Guido Luigi, al quale tributa molti onori con affetto di figlio, il Pepoli riceve una «cospicua eredità» e, risolte alcune vertenze legali con il cugino Ferdinando, decide di fare donazione in vita di parte dei suoi beni alle figlie: Letizia Pia, sposa di Antonio Gaddi, Antonietta, sposa di Carlo Taveggi, e Luisa, sposa di Domenico Guarini, con atti del 1872 e del 1878, che comprendono numerose prescrizioni (Nota 18). Tra le cose preziose che conserva a sé e alla moglie «vita natural durante» vi sono la Palazzina e il Palazzo di villeggiatura a San Lazzaro (Villa Cicogna). La sua morte, dopo lunga malattia, avviene nel 1881, nella Palazzina: nella stanza al piano terreno che guarda via Castiglione. L’inventario dei beni mobili ci lascia intuire almeno la distribuzione spaziale del piano terreno che ha ora il fronte principale sulla piazza: l’ingresso introduce a un atrio e a una loggia, sul lato destro si susseguono il salotto, lo studio, il «gabinetto giallo», la camera da letto del proprietario e le stanze dei servitori, mentre sul lato sinistro si trovano altre camere, scale, cucina e dispense (Nota 19).
Nella seconda metà dell’Ottocento Bologna inizia a trasformarsi anche attraverso progetti per un nuovo assetto urbanistico. Dopo i lavori per la nuova via Farini, la realizzazione di piazza Cavour e la costruzione, tra il 1868 e il 1877, della Cassa di Risparmio, si pone il problema di creare nell’area adiacente una ulteriore piazza.
Alla morte di Gioacchino, nel 1881, gli eredi sono le figlie con i generi Gaddi e Guarini, la principessa Guglielmina e i nipoti Taveggi; la principessa risiede a La Favorita, fuori Porta Castiglione, poi a Forlì dove le figlie si sono trasferite. Le vendite dei beni paterni, già iniziate nel 1883 con la vendita di Villa Cicogna a Candida Cremonini vedova Ferretti, proseguono. In quegli anni la Palazzina diviene temporaneamente sede del Club Domino o Casino nuovo, esito della Società del Casino, fondata a Bologna alla fine de Settecento come luogo di ritrovo e di svago.
Nell’ambito della ridefinizione dell’isolato gli immobili situati nell’area sono in parte espropriati in parte alienati: gli eredi Pepoli, che si erano impegnati a restaurare il fronte della Palazzina su piazza del Francia e a costruire un giardino circondato da cancellata, vendono l’immobile, nel 1893, all’avvocato Enrico Pini che vi pone la residenza, come ricorda ancora lo Zironi: «La Palazzina Pepoli che è attigua al Palazzo fu poscia occupata dal Club Domino. La camera in cui [Gioacchino Pepoli] morì è quella d’angolo dalla parte di Via Castiglione per entrare alle scuderie che dividono il Palazzo signorile. Ora serve di studio all’Avv. Enrico Pini» (Nota 20).
Anche la Chiesa di Sant’Agata, soppressa nel 1805-6, che era rimasta officiata e affidata ai Pepoli grazie all’intervento di Ferdinando Marescalchi, marito di Ginevra Pepoli, è ceduta al Comune, nel 1893, dagli eredi di Gioacchino, e sarà demolita, verso il 1907, per la costruzione del palazzo delle Poste, ultimato nel 1911 (Nota 21).
Piazza Minghetti è terminata nel 1892 e in una nota fotografia di Pietro Poppi, risalente al 1894-1895, che mostra la piazza con il giardino, è visibile la Palazzina come appare anche in una cartolina raffigurante il monumento a Marco Minghetti, opera di Giulio Monteverde, inaugurato il 28 giugno 1896, alla presenza del re Umberto I e della regina Margherita (Nota 22). L’edificio, ancora su due piani con sottotetto, è caratterizzato da un imponente ingresso su piazza del Francia sovrastato da un balcone centrale a colonnine; un’altra immagine, attribuita ai primi anni del Novecento, presa da via Castiglione, ripropone il prospetto disegnato dal Panfili, compresa l’architettura che chiude il vicolo (Nota 23).
Il nuovo proprietario della Palazzina, l’avvocato Enrico Pini (1851-1928), proviene da una famiglia borghese e diviene presto un importante imprenditore e politico: consigliere comunale dal 1886 al 1891, deputato dal 1895, senatore nel 1913. Tra le sue numerose attività è socio fondatore e poi presidente de La Reale società cooperativa di assicurazione contro i danni della grandine (1891-1909), poi La Reale Grandine compagnia italiana di assicurazione (1909-1972) (Nota 24). La società, costituita dai maggiorenti del mondo agricolo bolognese, si proponeva di offrire, a tariffe contenute, polizze a tutela dei devastanti danni della grandine alle culture. La sede dell’assicurazione da via Pescherie vecchie si trasferisce in via Rizzoli 8, e, dal 1893, nei locali della Borsa in via Ugo Bassi, fino al 1904, quando la società trova la sua sede definitiva nello stabile di piazza del Francia. La Palazzina si modifica per rispondere alle nuove esigenze che comportano anche la sopraelevazione di un piano, pur conservando le impostazioni architettoniche delle facciate.
La fotografia Palazzina della Real Grandine, databile intorno al 1910, in quanto il palazzo delle Poste sembra ancora oggetto di lavori, mostra il giardino alberato cinto da un muretto con cancellata antistante il prospetto su piazza del Francia, con l’ingresso principale e le finestre al piano terreno, mentre, su via Castiglione, un cancello chiude ora il vicolo di confine; una grande insegna luminosa, che domina l’edificio, ne esplicita la destinazione (Nota 25). Negli stessi anni era stato presentato il progetto per un orologio a doppia mostra «La Reale Grandine», da porsi sullo spigolo in angolo tra via Castiglione e piazza del Francia, montato, nella primavera del 1908, dagli operai dell’officina meccanica Ermete Maccaferri (Nota 26). Un arredo di pubblica utilità e insieme di buon disegno che possiamo ammirare ancora oggi, residua memoria di quella attività economica.
Una ultima immagine storica della Palazzina è conservata nella cartolina pubblicitaria Palazzo della Reale Grandine: vi ritroviamo il giardino, ma le finestre al piano terreno sono divenute negozi e vetrine, forse quelle del negozio di calzature, tuttora esistente, aperto negli anni Trenta, e l’edificio ha assunto un aspetto simile a quello attuale (Nota 27).
La società assicurativa, entrata a far parte del gruppo fiorentino La Fondiaria, mantiene sede a Bologna fino al 1952, quando si trasferisce a Firenze, dove, nel 1972, è incorporata ne La Fondiaria Incendio; modificata la destinazione d’uso, l’immobile bolognese venne frazionato ed alienato negli anni successivi.
La Palazzina Pepoli, insieme ai «palazzi degli antenati», sembra vincere la sfida del tempo, ma, a uno sguardo più attento, le sue vicende attraversano la trasformazione urbana e la sua storia costituisce una preziosa testimonianza di quel passaggio, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dalla supremazia della nobiltà terriera al progressivo prevalere delle nuove famiglie borghesi di professionisti e commercianti e all’affermarsi delle nuove destinazioni d’uso degli immobili storici.
NOTE:
Nota 1. E. Zironi, Il marchese senatore Gioacchino Napoleone Pepoli. Sua vita, apostolato e opere letterarie. 10 ottobre 1825-26 marzo 1881, Stab. tip. Zamorani e Albertazzi, Bologna 1895. Torna al testo.
Nota 2. Archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Emilia per le province di Bologna, Modena e Reggio Emilia, Bologna, Palazzo Pepoli Campogrande, BO M 237 I. Torna al testo.
Nota 3. Gli schizzi topografici originali di Giuseppe Guidicini per le Cose notabili della città di Bologna, a cura di M. Fanti, A. Forni, Bologna 2000, p. 95. Torna al testo.
Nota 4. G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna ossia Storia cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, vol. I, Tipografia delle Scienze di Giuseppe Vitali, Bologna 1868, p. 346. Torna al testo.
Nota 5. Ivi, p. 345. Torna al testo.
Nota 6. Cfr. S. Benati, Marina Grimani, in «Certosa di Bologna, cimitero storico monumentale», sito web consultabile all’indirizzo www.certosa.cineca.it, e T. Costa, A. Rosati Pepoli, Storie dei Pepoli, Costa, Bologna 2011. Torna al testo.
Nota 7. Per l’opera del Venturoli si veda A. M. Matteucci, F. Ceccarelli, Nel segno di Palladio. Angelo Venturoli e l’architettura di villa nel Bolognese tra Sette e Ottocento, Bononia University press, Bologna 2008. Qui si riprende A. Bolognini Amorini, Elogio di Angelo Venturoli Architetto Bolognese, Dai tipi del Nobili e comp., Bologna 1827, con Catalogo cronologico da lui stesso diligentemente tenuto di tutte le sue Operazioni degli Edifici ideati ed eseguiti, nn. 61, 71, 72, 106, 107, 111; in particolare il n. 70 (“Lì 8 aprile 1791 Pianta e Alzato della nuova Cappella Maggiore e così pure il disegno dell’Altare e dell’Ancona della Chiesa Parrocchiale di S. Agata in Bologna”) trova corrispondenza nel disegno di Venturoli “Pianta, prospetto, e spaccato laterale della Cappella maggiore della Chiesa parrocchiale di S. Agata”, conservato in Archivio di Stato di Bologna (d’ora in poi ASBO), Pepoli, Mappe, piante e disegni, cart. 1, n. 29, e in quello della Fondazione Collegio Artistico Angelo Venturoli Bologna (d’ora in poi FCAVBO), Archivio Venturoli, Chiesa di S. Agata, A 20 II. Torna al testo.
Nota 8. A. Bolognini Amorini, Catalogo, cit., n. 26. Torna al testo.
Nota 9. FCAVBO, Archivio Venturoli, Casa Marina Grimani Pepoli, P 02. Torna al testo.
Nota 10. C. De Angelis, G. Roversi (a cura di), Bologna ornata. Le trasformazioni urbane della città tra il Cinquecento e l’Ottocento in un regesto di Filippo Alfonso Fontana, vol. 2, Concessioni di pubblico suolo e di altri oggetti riguardanti pubblico ornato accordate dall’anno 1500 nella città di Bologna estratte dall’archivio del Senato e successivi governi, Istituto per la Storia di Bologna, Bologna 1994, p. 1329. Torna al testo.
Nota 11. ASBO, Pepoli, Mappe, piante e disegni, cart. 1, n. 25, perito Francesco Rossi, Disegno in giusta misura delle fronti de’ Palazzi di tutte l’EE. SSri Conti e Marchesi Pepoli, fatti per riscontrare le misure delle strade da selciare (26 febbraio 1788), riprodotto su autorizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Archivio di Stato di Bologna n. 1001 del 19 marzo 2012. Torna al testo.
Nota 12. FCAVBO, Collezione Salina, cart. 20, Architettura, fasc. 5, disegno 1, Giovanni Bassani, Disegno in cui si vegono delineate la Casa dell’Ill.mo Sig. Camillo Vizzani, li Palazzi dei SS. Conti Fratelli Pepoli, della Nobil Donna Sig.ra Contessa Marina Pepoli, e del Sig. Sen. Casali Bentivogli Paleotti. Torna al testo.
Nota 13. Genus Bononiae - Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fondo Disegni, Pio Panfili, Veduta della Chiesa parrocchiale di S. Agata e Palazzi Pepoli in Bologna, 465 (Rep. 1/126). Torna al testo.
Nota 14. G. Guidicini, Diario bolognese dall’anno 1796 al 1818, con un cenno cronologico dei governi di Bologna dalla sua fondazione in poi, e notizie storiche sulle compagnie religiose e delle arti, ecc. Opera pubblicata dal Figlio Ferdinando, Soc. tip. già Compositori, Bologna 1887. Torna al testo.
Nota 15. ASBO, Notarile, Ambrosi Camillo, 17 ottobre 1846. Torna al testo.
Nota 16. ASBO, Notarile, Ambrosi Camillo, 30 marzo 1852. Torna al testo.
Nota 17. Le vicende della costruzione della Cassa di Risparmio sono puntualmente approfondite in G. Roversi, Documenti inediti sulla costruzione del palazzo della Cassa di Risparmio di Bologna, in «Il Carrobbio», a. II (1976), pp. 343-360; Id., Il palazzo della Cassa di Risparmio in Bologna. 1877-1977, Cassa di Risparmio in Bologna, Bologna 1977. Torna al testo.
Nota 18. ASBO, Notarile, Arnoaldi Veli Giuseppe, 24 febbraio 1872 e 26 giugno 1878. Torna al testo.
Nota 19. ASBO, Notarile, Vecchietti Eugenio, 2 aprile 1881 - 23 giugno 1881. Torna al testo.
Nota 20. E. Zironi, Il marchese senatore Gioacchino Napoleone Pepoli, cit. Torna al testo.
Nota 21. Cfr. E. Gottarelli, Urbanistica e architettura a Bologna. Agli esordi dell’unità d’Italia, Cappelli, Bologna 1978; in particolare per la sistemazione dell’area: M. Benassi Capuano, Il nuovo Palazzo delle Poste a Bologna, in «Strenna Storica Bolognese», XLIX (1999), pp. 9-47. Torna al testo.
Nota 22. P. Poppi, Piazza Minghetti, 1894-1895, riprodotta in M. Benassi Capuano, Il nuovo Palazzo delle Poste a Bologna, cit., p. 21. Torna al testo.
Nota 23. L’immagine è riprodotta in T. Costa, A. Rosati Pepoli, Storie dei Pepoli, cit., p. 14. Torna al testo.
Nota 24. La documentazione è conservata nell’Archivio storico della Fondiaria-Sai s.p.a., La Reale Grandine, e parzialmente pubblicata nel volume celebrativo La Fondiaria nei suoi cento anni. 1879-1979, La Fondiaria incendio-vita, Firenze 1979. Torna al testo.
Nota 25. Bologna Palazzina della “Real Grandine” fra i palazzi Regie Poste e Pepoli, fotografia esposta all’interno del negozio Calzaturificio Nadir (via Castiglione, 9), che si ringrazia per la cortesia. Torna al testo.
Nota 26. Progetto per orologio a doppia mostra (1908) in A. Molinari Pradelli, Bologna in vetrina. Dall’Unità d’Italia alla Belle epoque, Cassa di Risparmio di Bologna, Bologna 1994, p. 138. Torna al testo.
Nota 27. La Fondiaria nei suoi cento anni. 1879-1979, cit. Torna al testo.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Gli schizzi topografici originali di Giuseppe Guidicini per le Cose notabili della città di Bologna, a cura di M. Fanti, A. Forni, Bologna 2000;
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Questo saggio si cita: P. Farinelli, La Palazzina Pepoli, in «Percorsi Storici», Serie Atti Numero 1 (2012)[http://www.percorsistorici.it/numeri/serie-atti-numero-1/titolo-e-indice/13-numeri-rivista/serie-atti-numero-1/51-patrizia-farinelli-la-palazzina-pepoli]