Salvatore Alongi

«In quanto a me non desidero che di scrivere». Le carte di Gioacchino Napoleone Pepoli all’Archivio di Stato di Bologna

1. Introduzione e inquadramento

Faccia Iddio che tanto tesoro di preziosi documenti non vada disperso per qualunque condizione di tempo. L’Italia vedrà allora quale stoffa di uomo di Stato e quale libero e franco cittadino fosse il marchese Gioacchino Pepoli (Nota 1).

È con queste parole che Nicomede Bianchi, direttore dell’Archivio di Stato di Torino e autore di una monumentale storia della diplomazia        (Nota 2), pone l’accento sulla rilevanza che già i contemporanei attribuivano al complesso documentario accumulato dal nobiluomo bolognese Gioacchino Napoleone Pepoli nel corso della sua lunga presenza sulla scena politica, italiana e internazionale.
Bianchi apparteneva d’altronde alla schiera degli oltre 880 corrispondenti che tra il 1839 e il 1881 entrarono a far parte della fitta rete di relazioni intrecciata da Pepoli e rappresentata oggi plasticamente nel carteggio del marchese Gioacchino, carteggio che costituisce la parte più cospicua, se non addirittura predominante, del suo fondo personale.
Questo contributo intende appunto focalizzare l’attenzione sull’origine, il trattamento subito, le potenzialità e le difficoltà interpretative di quello che potremmo definire a pieno titolo un “archivio-immagine” che Pepoli andò predisponendo con somma cura e dedizione perché rimanesse prezioso retaggio di sé alla posterità.
E talmente forte era il desiderio che quelle carte non subissero disgregazioni o smembramenti, da spingere il marchese a inserire nel proprio testamento un legato esplicito che salvaguardasse l’integrità del proprio archivio personale. Il legato era indirizzato alla primogenita Letizia: «Ma siccome desidero che le memorie della mia vita, specialmente della mia vita politica, non vadino disperse, lascio a mia figlia Letizia tutte le mie carte, lettere, manoscritti, autografi» (Nota 3).
La persistenza di un vincolo fisico, ancorché logico tra le carte, non era però evidentemente una garanzia sufficiente per lo smodato desiderio di perdurare nella memoria delle generazioni successive se il marchese così proseguiva: «Lasco poi l’obbligo alla stessa mia figlia Letizia, ove non trovasse già la cosa fatta, di far pubblicare tutte le lettere e corrispondenza» (Nota 4).
Questi due brevi passaggi tratti dalle disposizioni di ultima volontà di Pepoli ci aiutano a determinare quanto fosse elevata la considerazione che il soggetto sempre coltivò di sé stesso.
Non a caso nella sua autobiografia, riguardo alla costituzione del Governo provvisorio delle Romagne, egli aveva già scritto: «È il Pepoli che dirige tutto, che provvede a tutto» (Nota 5). E non a caso è stata scelta l’espressione che da il titolo a questo contributo: rivolgendosi infatti all’amico Marco Minghetti, Pepoli sembra sfogare la propria frustrazione contro chi – a suo dire – avrebbe male interpretato molte delle sue scelte politiche:

In quanto a me non desidero che di scrivere, di parlare. Il silenzio mi soffoca. Vi ha una fatale coincidenza che mi turba il cuore ed è questa. Quindici giorni dopo Villafranca l’amore, la stima del Governo mi si allontanò. Si trasse in campo Cipriani e sospetti contro di me.
Dopo il mutamento ministeriale non più lettere di Cavour, più approvazioni, ma silenzi, sgarbi (Nota 6).

Uomo dalle multiformi inclinazioni e dall’ingegno versatile, appartenente alla più antica e blasonata nobiltà bolognese, celebrato patriota, abile politico, fine diplomatico, colto drammaturgo, apprezzato filantropo, Pepoli incarnò nella Bologna di metà Ottocento la figura del “nume tutelare”, dell’onnipresente animatore della vita pubblica; poco conosciuto oggi quanto potente all’epoca, non mancò di intervenire ai più importanti eventi della storia locale (dai moti del 1848 all’indipendenza del 1859), nazionale (con un’ininterrotta presenza parlamentare e importanti incarichi di governo) ed europea (attraverso l’elaborazione della convenzione di settembre con la Francia e l’avvicinamento dell’Italia all’area germanica), per terminare la sua parabola negli esperimenti del mutualismo e del proto socialismo pre marxiano.
Sfortunatamente una «vanità smisurata guastò tutte le sue buone qualità», secondo l’autorevole opinione di un altro suo contemporaneo      (Nota 7).

 

2. Struttura dell’archivio

Nella sua attuale consistenza, il fondo personale di Gioacchino Napoleone Pepoli – conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna – si compone di due partizioni: la prima e fondamentale è rappresentata dal “Carteggio”, mentre una piccola selezione di documenti costituisce la seconda suddivisione indicata comunemente con l’espressione “Carte politiche”.
Il Carteggio è articolato al suo interno – secondo un personalissimo schema classificatorio elaborato dal marchese stesso – in ventotto serie che individuano altrettante categorie di corrispondenti (ad esempio “Uomini politici”, “Illustri forestieri”, etc.) o particolari tipologie documentarie (“Minute di lettere e manoscritti di discorsi”). Ogni serie, identificata oltre che dalla denominazione anche da un numero romano progressivo, si presenta a sua volta organizzata in fascicoli numerati progressivamente con cifre arabe che raccolgono la corrispondenza indirizzata al Pepoli da un singolo mittente.
Completano il Carteggio un album di autografi d’autore e la rubrica alfabetica dei corrispondenti, un preziosissimo strumento di corredo che – come vedremo – consente di eseguire un raffronto tra lo stato attuale della documentazione e la sua distribuzione originaria.
Le Carte politiche si compongono, invece, di quattro serie concernenti particolari circostanze storiche o incarichi pubblici rivestiti da Pepoli: “1848”, “Governo provvisorio delle Romagne”, “Legazione di San Pietroburgo”, “Legazione di Vienna”.
Integra le Carte politiche, un registro recante l’autobiografia di Pepoli, manoscritta ma non autografa, intitolata “Documenti intorno alla mia vita”.
Alla documentazione strettamente personale finora descritta, si affiancano tre frammenti di archivi pubblici entrati in possesso di Pepoli a seguito dei relativi incarichi rivestiti: si tratta dell’archivio della Sezione, poi Ministero degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne (Nota 8), dell’archivio del Commissariato generale straordinario nelle provincie dell’Umbria (Nota 9) e dell’archivio del Commissariato straordinario per la provincia di Viterbo.
La documentazione ammonta così a un totale di venti buste, distribuite su tre metri lineari di scaffalatura.

 

3. Genesi e trattamento

Ben più ampio e articolato doveva in realtà presentarsi il fondo personale di Gioacchino Pepoli, se si fa riferimento a un elenco stilato immediatamente dopo la scomparsa del marchese nella primavera del 1881: l’“Inventario legale dello stato di eredità”, compilato a cura di Eugenio Vecchietti, il notaio che aveva già raccolto il testamento segreto del nobil uomo (Nota 10). Attraverso l’inventario legale è possibile ricostruire le esatte fattezze e la reale consistenza del complesso archivistico conservato all’epoca presso la casa di villeggiatura di San Lazzaro di Savena, nota ai più come “Villa Cicogna”.
Per l’esattezza il fondo doveva essere costituito da un totale di ben 114 pezzi variamente distribuiti tra la “camera ad uso dell’archivio” e la “camera ad uso di studio”. Residuale era la presenza di documentazione prodotta da Pepoli e conservata nel “quartiere di Città”, a Bologna.
Per quel che riguarda nello specifico la sezione del Carteggio, le serie che ne costituivano il nucleo originario erano quelle che andavano dalla I. “Economisti” alla XXV. “Operai”, ed erano conservate nelle prime tredici “cartelle” rinvenute dal notaio all’interno dello scompartimento intestato “Contabilità” di un armadio nero nella stanza a uso dell’archivio; il Vecchietti annotò inoltre che «i titoli delle sopraccennate tredici cartelle sono stati desunti dalle etichette esteriori rosse delle quali sono fornite» (Nota 11).
Come già accennato, la ricostruzione dell’articolazione interna delle venticinque serie originarie è resa possibile dalla presenza del “Repertorio delle corrispondenze”, ossia della rubrica alfabetica dei mittenti che dovette evidentemente servire da strumento di corredo e consultazione, in base al quale il numero totale delle unità archivistiche doveva attestarsi su di un totale di 538.
Tale ricostruzione è confermata dalla presenza di una segnatura che Pepoli apponeva (sebbene non sistematicamente) sulle minute e sulle lettere ricevute, che recano così in margine la serie di riferimento, e da qualche superstite camicia originaria, che reca di mano del marchese Gioacchino il numero indicante la serie e la sua denominazione, nonché il numero progressivo del fascicolo all’interno della serie seguito dal nome del corrispondente cui il fascicolo era intestato.
Dopo la scomparsa di Pepoli, nell’ambito di un generale progetto di riordinamento avviato per mano del segretario particolare Filippo Manaresi, la documentazione fu in parte scomposta e riorganizzata in nuovi fascicoli (gli attuali), e al Carteggio furono aggiunte nuove articolazioni, la cui cifra non può però essere precisata a causa dei salti nella numerazione delle serie oggi pervenute in Archivio di Stato. Queste sono la XXVI. “Casa reale”, la XXVII. “Comizi della pace”, la XXXIII. “Minute di lettere e discorsi”, e la XXXVII. “Questioni politiche (Memorie)”.
A confermare però l’esistenza effettiva di altre partizioni (oltre alle quattro già in possesso dell’Istituto) è una serie individuata dal numero XXXI e denominata “Nomine varie. Ordini cavallereschi”, presente all’interno delle “Carte Pepoli” conservate alla Biblioteca del Museo del Risorgimento di Bologna.
L’intervento di Manaresi, in generale, non interessò comunque la struttura originaria delle venticinque serie, che rimase fondamentalmente inalterata: per tale motivo è forse più esatto parlare di un’operazione di revisione, se non addirittura di mero assestamento, della costruzione archivistica.
Più intenso si configurò invece il lavoro di assemblaggio dei singoli fascicoli dei corrispondenti: molti furono trasferiti da una serie all’altra, verosimilmente con lo scopo di adeguarne la collocazione alla realtà storica dei primi anni Ottanta del XIX secolo: così ad esempio il fascicolo intestato a Giuseppe Saracco, originariamente repertoriato da Pepoli col numero 27 entro la categoria XI. “Impiegati”, vale a dire quella degli alti funzionari pubblici (Saracco era nel 1870, all’epoca della costituzione del fascicolo, direttore generale del Demanio e delle tasse), venne dal Manaresi promosso nella serie degli “Uomini politici” (Saracco, già creato senatore del Regno, era stato nel 1887 nominato ministro dei Lavori pubblici del nono governo Depretis).
Molte di più furono invece le unità create ex novo per raccogliere la documentazione sparsa e ancora in attesa di essere “classificata”, forse a causa del calo delle attenzioni che ordinariamente il marchese riservava alla cura del suo archivio. Tale flessione va certamente imputata al grave male che afflisse il Pepoli negli ultimi anni della sua esistenza.
Inoltre, come già sopra accennato, Manaresi introdusse nel Carteggio una nuova serie, la XXXIII, nata per accogliere esclusivamente, con chiaro intento celebrativo, i manoscritti dei discorsi e le minute delle missive indirizzare dal marchese ai suoi corrispondenti, documenti questi ultimi destinati in principio a convivere con le lettere ricevute. Tutto ciò determinò la coesistenza di fascicoli, distinti ma complementari, intestati al medesimo soggetto: il carteggio con Marco Minghetti, Urbano Rattazzi e Carlo Luigi Farini, solo per citare tre casi illustri, subì tale separazione.
Le operazioni condotte in tal senso da Manaresi portarono così il numero dei fascicoli dei corrispondenti a salire da poco più di 500 a oltre 880.
Maggiormente articolata si presentava invece la realtà della documentazione direttamente legata all’attività pubblica del marchese Pepoli (le cosiddette Carte politiche), la quale non esibiva la ben composta suddivisione in serie che contraddistingueva il Carteggio, ma si presentava raccolta in base al mandato politico cui faceva riferimento e si trovava distribuita variamente tra cartelle e cartoni.
Da un breve elenco sommario degli affari trattati è possibile restituire il carattere eclettico degli interessi del marchese: era presente, infatti, documentazione inerente ai Magazzini generali di Bologna; al Credito fondiario; al bilancio dell’Emilia e di Sant’Agata; al Governo delle Romagne; al Commissariato dell’Umbria; alla questione romana; all’ambasciata russa e austriaca; al commissariato di Padova; alla Società artigiana; nonché a svariate altre questioni politiche, finanziarie, amministrative, legislative, geografiche, biografiche e familiari non meglio specificate dal notaio nel suo inventario. Infine il notaio Vecchietti riferì dell’esistenza di manoscritti di commedie e di drammi, dei quali il Pepoli era apprezzato autore.
Dalla figlia Letizia, andata in sposa al conte forlivese Antonio Gaddi, il complesso archivistico, conservato dunque presso la villa di San Lazzaro, pervenne al nipote Ercole, il quale ottenne di poter affiancare al cognome del padre anche quello della madre, dando così origine alla nuova discendenza dei Gaddi Pepoli.
Una guida storico-artistica della città di Forlì segnalò nel 1928 la presenza dell’archivio del marchese Gioacchino presso il palazzo forlivese della famiglia Gaddi Pepoli in corso Garibaldi, oggi sede del Museo del Risorgimento. Ecco la citazione per interno: «In una camera si conserva l’interessante archivio di Gioacchino Pepoli, che comprende molti suoi manoscritti, la corrispondenza epistolare politica (consta di parecchie centinaia di lettere) ch’egli ebbe coi più cospicui uomini del suo tempo, i diplomi riccamente miniati e gl’indirizzi offertigli da varie città italiane nel 1860» (Nota 12).
Nel 1933 una biografia di Pepoli registrò invece la presenza dell’archivio del marchese presso la residenza bolognese di Ercole Gaddi Pepoli, in via Castiglione, luogo nel quale le carte sarebbero state conservate «con affetto di religione domestica» (Nota 13).
La frequenza con la quale il fondo vide cambiare la sua sede di conservazione è fondamentale alla comprensione del valore attribuito dalle istituzioni pubbliche alle carte Pepoli. In anni durante i quali si consumava l’acquisizione, con somma soddisfazione delle autorità cittadine, dell’importantissimo fondo di Marco Minghetti alla Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Bologna si vedeva menomata, inconsapevole e indifferente, dell’archivio di un altro suo illustre esponente, certamente dal rilievo non paragonabile a quello dello statista più volte presidente del Consiglio e ministro degli Interni, ma pur sempre artefice delle sue glorie. Ad attendere le carte Pepoli c’era invece il pubblico oblio, interrotto da rapidi e sporadici cenni sulla sua collocazione, sempre in sedi private.
E quando nel 1910 la famiglia Gaddi Pepoli, di concerto col Comune di Bologna, giunse alla risoluzione di depositare presso l’Archivio di Stato il fondo gentilizio, le carte personali del loro più recente e illustre antenato, giuridicamente e materialmente distinte, rimasero nella loro disponibilità, studiate, pubblicate, ma anche variamente disperse a seguito di numerose donazioni elargite nel 1911 in concomitanza col cinquantesimo anniversario dell’unificazione nazionale: principali beneficiari ne furono il Comune di Perugia, destinatario di 14 buste contenenti parte dell’archivio del Commissariato dell’Umbria, e il Museo del Risorgimento di Bologna, omaggiato di alcuni documenti riconducibili all’archivio del Ministero degli affari esteri del Governo provvisorio delle Romagne e, come già accennato, della serie XXXI del fondo personale contenente i titoli onorifici.
Tramandato attraverso la linea primogenita, il fondo fu trasferito definitivamente in Toscana e dichiarato di notevole interesse storico per iniziativa della locale Soprintendenza archivistica nel 1994. Nel 2008 il complesso è stato acquistato dallo Stato, che ne ha disposta la conservazione presso l’Archivio di Stato di Bologna, città natale del marchese, dove si trovava già depositato il grande archivio di famiglia dei Pepoli, e dove nel corso del 2010 è stato sottoposto a un intervento di riordinamento e inventariazione che l’ha reso disponibile alla consultazione degli studiosi.

 

4. Conclusioni: utilizzo e potenzialità

Con l’acquisizione dunque del fondo personale del marchese Gioacchino Napoleone Pepoli un nuovo rilevante tassello si è andato così a inserire nel mosaico delle fonti a disposizione della ricerca sulla storia nazionale ed europea a cavallo della metà del XIX secolo.
Il complesso rappresenta, infatti, uno dei più indicativi esempi di archivio privato di persona fisica oggetto, fin dalla sua origine, di un’accurata e studiata organizzazione da parte del suo stesso soggetto produttore, consapevole della funzione di “archivio-monumento” che andava preparando per i posteri.
L’analisi e l’edizione della documentazione sedimentata o variamente raccolta nel corso della sua pluridecennale presenza sulla scena politica, sociale e culturale, potrebbero valorizzare la conoscenza di un personaggio, e con esso di un intero periodo, per molti aspetti poco compreso dalla storiografia.
Per quel che concerne l’interpretazione e l’edizione del carteggio del marchese Pepoli, esso potrà certamente essere sottoposto ai classici criteri della disciplina filologica, poiché può ragionevolmente essere ricondotto a una logica macro testuale, di forte organicità, quasi a un “canone” spasmodicamente curato nella sua strutturazione dal soggetto produttore.
Anche l’autobiografia manoscritta di Pepoli, rimasta incompiuta a causa della subitanea morte del marchese, richiederà un particolare approccio metodologico che riconosca nell’opera le numerose convenzioni letterarie, le remore epistemologiche, le eco e le suggestioni che potevano provenire a Pepoli d’Oltralpe, al fine di poterne fruire non solo come fonte storica che opera il sicuro bilancio di una vita, inanellandone gli episodi in una salda sequenza unitaria, ma come esempio di scoperta dello spazio interiore e dunque come prodotto letterario, con tutte le conseguenze che il genere autobiografico comporta.
Da un simile approccio sarà possibile attendersi importanti innovazioni, sia sul piano conoscitivo che interpretativo.
Ne gioverà innanzitutto la comprensione degli aspetti più squisitamente teorici del comportamento politico di Pepoli, nonché della sua produzione saggistica e poetica, grazie alle nuove conoscenze apportate dalla lettura del suo carteggio. Quest’ultimo – come anche l’autobiografia manoscritta – potrà essere, infatti, passato al vaglio della ricerca secondo una dimensione non più episodica (che ha in passato estrapolato, spesso in chiave celebrativa, il singolo evento o il singolo corrispondente dal proprio contesto) ma complessiva e organica, che privilegi un approccio alla documentazione teso alla ricostruzione della vasta rete di (inter)relazioni politiche e sociali intessute da Pepoli. Ne gioverà di conseguenza l’interpretazione dell’intero quadro politico, sociale e istituzionale nel quale il marchese si ritrovò a vivere e operare.
Il risultato finale si collocherà tra quegli studi storici che hanno individuato nell’ermeneutica delle fonti (e in particolare degli archivi personali) il loro punto di forza.

 

NOTE:

 

Nota 1. Archivio di Stato di Bologna (d’ora in poi ASBO), Gioacchino Napoleone Pepoli, b. 1, Fondo personale, Carteggio, Letterati italiani, fasc. 43, Bianchi Nicomede, Nicomede Bianchi a Gioacchino Napoleone Pepoli, s.l., 3 luglio 1873. Torna al testo.

 

Nota 2. N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall’anno 1814 all’anno 1861, 8 voll., Dall’Unione Tipografico-Editrice, Torino 1865-1872. Torna al testo.

 

Nota 3. ASBO, Atti dei notai del distretto di Bologna, Archivio del notaio Vecchietti Eugenio, vol. 180/48, Apertura e pubblicazione del testamento segreto del fu nobil uomo marchese Gioacchino Napoleone PepoliTorna al testo.

 

Nota 4. IbidemTorna al testo.

 

Nota 5. ASBO, Gioacchino Napoleone Pepoli, b. 15, Fondo personale, Carte politiche, Documenti intorno alla mia vitaTorna al testo.

 

Nota 6. ASBO, Gioacchino Napoleone Pepoli, b. 11, Fondo personale, Carteggio, Minute di lettere e manoscritti di discorsi, fasc. 1, Minute di lettere a Marco Minghetti, Gioacchino Napoleone Pepoli a Marco Minghetti, s.l., 26 novembre 1860. Torna al testo.

 

Nota 7. M. Minghetti, Miei ricordi, vol. III, 1850-1859, Roux e C., Torino 1890, p. 153. Torna al testo.

 

Nota 8. Il fondo era finora sfuggito alla ricerca e non compare in Gli archivi dei governi provvisori e straordinari, 1859-1961. Inventario, Roma, 1961-1962 (Pubblicazioni degli archivi di Stato, 45-47), pubblicato dall’Amministrazione archivistica in coincidenza con le celebrazioni per il primo centenario dell’unità italiana. Torna al testo.

 

Nota 9. Per una più ampia esposizione delle vicende dell’archivio del Commissariato generale straordinario nelle provincie dell’Umbria si rimanda alle schede predisposte da Salvatore Alongi, per il frammento conservato all’Archivio di Stato di Bologna, e Paolo Franzese, per la parte conservata presso l’Archivio di Stato di Perugia, e pubblicate in L’Umbria nella nuova Italia. Materiali di storia a centocinquantanni dall’Unità, vol. II, Gli archivi umbri e l’Unità. Guida alle fonti documentarie 1859-1865, a cura di E. David, S. Maroni, M. Pitorri, Deputazione di storia patria per l’Umbria, Perugia 2011, pp. 3-7. Torna al testo.

 

Nota 10. ASBO, Atti dei notai del distretto di Bologna, Archivio del notaio Vecchietti Eugenio, vol. 180/49, Inventario legale dello stato d’eredità del fu marchese commendatore Gioacchino Napoleone PepoliTorna al testo.

 

Nota 11. IbidemTorna al testo.

 

Nota 12. E. Casadei, La città di Forlì e i suoi dintorni, Società Tipografica Forlivese, Forlì 1928, pp. 51-52. Torna al testo.

 

Nota 13. G. Degli Azzi Vitelleschi, Pepoli Gioacchino Napoleone, in M. Rosi (a cura di), Dizionario del Risorgimento nazionale. Dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, vol. III, Le persone. E - Q, Vallardi, Milano 1933, p. 841. Torna al testo.

 

Questo saggio si cita: S. Alongi, «In quanto a me non desidero che di scrivere». Le carte di Gioacchino Napoleone Pepoli all’Archivio di Stato di Bologna, in «Percorsi Storici», Serie Atti Numero 1 (2012) [http://www.percorsistorici.it/numeri/serie-atti-numero-1/titolo-e-indice/13-numeri-rivista/serie-atti-numero-1/54-salvatore-alongi-le-carte-di-gioacchino-napoleone-pepoli]

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