Home
Anna Cocci Grifoni
Le periferie di Bologna. Quando il trekking urbano incontra la storia
Qui la storia ancora recente può essere raccontata dall’inizio, ma, pur essendo già in parte fissata, è ancora per molti aspetti debitrice della memoria. I 150 anni che ci separano dall’Unità italiana, tanti quanti sono quelli da cui possiamo datare le origini delle periferie di Bologna, hanno profondamente modificato la morfologia urbana, e, mentre il cosiddetto piccone modernizzatore sottraeva all’antica città murata intere parti del centro storico e le sue stesse mura, in conformità con le moderne teorie urbanistiche europee, la città in espansione inghiottiva progressivamente, a diverse ondate, il territorio circostante, portando strade e mattone dove prima era tutto campagna. L’ultima e più poderosa nella seconda metà del Novecento, quando per effetto dell’ulteriore impulso urbano e industriale non solo sono stati costruiti diversi nuovi quartieri, ma è stato anche necessario ritracciare gli scenari delle attività produttive, e molti luoghi hanno perso la loro funzione originale per trovare nuove destinazioni d’uso.
Il paesaggio delle periferie è complesso e stratificato, per leggerlo e coglierne l’identità bisogna attraversarlo a piedi. Lo sguardo attento del flâneur, impossibile dall’autobus, dall’auto e da qualsiasi mezzo di percorrenza veloce, nota quante tracce significative possono aiutare a ricostruirne la storia, una storia locale strettamente connessa con quella dell’intera città.
Alcune riguardano la cultura materiale: le forme degli edifici, la distribuzione degli spazi, i modi dell’abitare e del lavoro; altre la cultura religiosa e sociale delle comunità che vi affondano o vi hanno ritrovato le proprie radici dopo essere state sradicate da un altrove precedente: i luoghi di culto; i luoghi di ritrovo e di svago; altre ancora rinviano all’antico ambiente rurale che, pur vinto dalla città, vi persiste ostinatamente dentro, quasi come un refuso. Gli edifici hanno forme architettoniche riconoscibili: ne valutiamo l’epoca, distinguiamo l’edilizia pubblica dalla privata, il ceto sociale a cui erano destinati. Targhe identificative e commemorative rimandano a fatti e persone, lapidi e monumenti ricordano martiri ed eventi. Le fonti storiche ci consentono di comprenderli e disporli nella linea del tempo. La toponomastica, diventata a sua volta una pratica istituzionale agli inizi del XIX secolo, mentre da un lato denota la scelta di distinguere le nuove arterie periferiche, intitolandole a gruppi omogenei di luoghi e persone, per celebrarne i meriti o rafforzarne il nome nella memoria collettiva, dall’altro ha lasciato sul campo denominazioni che rimandano ad antichi proprietari, a emergenze del territorio naturale, ai modi di classificarlo frutto della tradizione e di antiche abitudini. Strumento imprescindibile, la toponomastica è lei stessa, nello stesso tempo, fonte di storia e di visione della storia della cultura urbana. A volte perfino il nome di qualche fermata d’autobus può essere un indizio interessante. Ma tutto acquista più spessore quando alle tracce materiali si aggiungono le memorie di chi in quel posto è nato e cresciuto, o abita da tanto tempo. Il dato significativo è che nessuno si fa pregare. I ricordi fluiscono numerosi, carichi di sentimento, riportano in vita fatti e persone, esprimono un legame forte con i luoghi e rendono visibile quello che non c’è più. Alcuni ricordano distintamente che proprio lì scorreva il canale del Savena, e si spiega così perché in un certo punto la strada si solleva in un dosso inatteso, mostrando sul bordo un manufatto simile alla spalla di un ponte; questa strada finiva in un vivaio ed è per questo che gli alberi del parco sono ancora oggi disposti in filari; quel grande frassino era nel parco di una villa ora scomparsa: ecco perché è così evidentemente più antico della via su cui si affaccia; attorno alla chiesa c’erano solo campi di grano, pochissime le case qua e là: ecco perché oggi ci appare così palesemente sottodimensionata rispetto alla comunità circostante.
Conoscerne le realtà, connetterle tra loro, interpretarle in prospettiva storica sottrae le periferie a quella condizione di minorità che rischia di farle percepire come non luoghi e completa il volto dell’intera città. Il progetto escursionistico avviato dalla collaborazione tra la sezione bolognese di Trekking Italia e l’Archivio di Stato di Bologna nasce da questi presupposti.
Si propone, con un intreccio inconsueto e molto stimolante tra documenti storici e trekking urbano, di percorrere le periferie di Bologna guidando i partecipanti a riconoscerle come scenari significanti, ricchi di tracce, indizi e memorie attraverso cui ricostruire storia e microstorie urbane.
Un intreccio virtuoso che, corroborato via via, come già avviene, dalle esperienze associative e dalle ricerche storiche reperibili sul territorio (Nota 1), individua nell’ambiente delle periferie una specie particolare di “museo”, aperto e interattivo, di una parte niente affatto secondaria del patrimonio culturale della città.
NOTE:
Nota 1. Alcuni percorsi finora attuati si sono avvalsi degli studi e della collaborazione dell’Isrebo (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nella Provincia di Bologna); della sezione dell’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) del quartiere Savena di Bologna; della dottoressa Alessia Scenna; della dottoressa Patrizia Farinelli. Torna al testo
Questo contributo si cita: A. C. Grifoni, Le periferie di Bologna. Quando il trekking urbano incontra la storia, in «Percorsi Storici», 0 (2011)[http://www.percorsistorici.it/component/content/article/10-numeri-rivista/numero-0/33-grifoni-le-periferie]