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Anna Tonelli, Falce e tortello. Storia politica e sociale delle Feste dell’Unità, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. 240

(Federico Chiaricati)

 

Il libro, frutto della ricerca di Anna Tonelli, ha il pregio di narrare le vicende delle Feste dell’Unità all’interno dello spazio ampio della storia repubblicana, considerandole cioè come elemento caratterizzante della cultura italiana del secondo dopoguerra, a prescindere dal giornale e dal partito cui le feste facevano (e fanno ancora) riferimento. La prima citazione che si trova nell’introduzione riguarda un’osservazione che fece Alberto Moravia, secondo il quale i festival combinano le tre grandi idee presenti in Italia (Moravia scrive nel 1976), cioè l’idea del mercato, quella del Soviet e della festa cattolica. Anna Tonelli, partendo da questa premessa indispensabile, ricostruisce quindi le Feste alla luce dei cambiamenti italiani. Il libro si suddivide in sei capitoli (a cui si aggiungono l’Epilogo e le Conclusioni), ognuno dei quali abbraccia quasi un decennio di storia italiana. Si parte con la nascita della Festa e la «scampagnata» di Mariano Comense, il difficile periodo della ricostruzione e le forti tensioni politiche dovute alla divisione del mondo in blocchi. Particolarmente importante diventa la Festa a Roma del 1948, dove Togliatti torna dopo l’attentato subito due mesi prima. In questo periodo convivono due anime; da una parte la Festa come momento di svago e relax per i lavoratori, dall’altra un’occasione materiale per dare aiuto e appoggio al giornale e al partito. Per toccare direttamente le casalinghe e i lavoratori, magari ancora politicamente indecisi matura anche la decisione di organizzare, accanto alle grandi feste, dei momenti più piccoli, di quartiere o di strada. Il secondo capitolo analizza invece il modo in cui il cosiddetto boom economico ha cambiato il volto di questi eventi. In particolare la presenza di nuovi oggetti, quasi tutti a buon mercato (dagli elettrodomestici a una qualità e quantità di prodotti alimentari prima impensabile), avrebbe cambiato per sempre la vita degli italiani, modificandone anche i bisogni e cancellando quasi del tutto la distinzione tra utile e futile. Si legge, infatti, che, mentre nel dopoguerra i premi offerti erano solitamente oggetti fuori dalle tasche della maggioranza degli italiani, in un secondo momento i premi rispecchiavano il simbolo dell’esplosione della società del consumo di massa (frigoriferi, lavatrici, televisori ecc.). Il tutto mentre i partiti si interrogavano sul significato da dare a questa nuova società (Pci compreso). Oltre agli oggetti cominciano ad affacciarsi anche nuovi bisogni culturali, in particolare dei più giovani, che danno inizio a un incontro/scontro con le generazioni più adulte per ciò che riguarda i gusti musicali. Incontro/scontro che si protrarrà anche negli anni seguenti. Con l’esplosione della rivolta giovanile e del ’68 (terzo capitolo) si allargano ulteriormente i temi trattati nella festa, come l’imperialismo e la pace (con i conseguenti dibattiti sulla situazione in Vietnam), ma soprattutto comincia anche la rivendicazione femminile. Per usare le parole di Anna Tonelli, «Dopo gli anni in cui la presenza femminile è relegata soprattutto in cucina e negli stand, a partire dagli anni Sessanta la voce delle donne diventa più incisiva anche nelle feste. Pur continuando a presidiare i ristoranti, le donne cominciano ad assumere una visibilità autonoma costruendo villaggi e organizzando dibattiti, per caratterizzarsi come “genere” autonomo e capace di distinguersi anche nelle occasioni politico-ricreative.» (p. 94) Il ventennio seguente vedrà le feste essere sempre di più la cassa di risonanza di un partito che cercava di diventare forza governativa e non più di opposizione (nel 1973 infatti Berlinguer lancia il “compromesso storico”). Accanto a ciò le feste subiscono una specie di esplosione commerciale (viene coniato il termine «gigantismo» per sottolineare come gli spazi occupati da ristoranti, stand e attività commerciali fossero divenuti considerevoli). Anche la questione musicale continua a tenere banco. Mentre negli anni Settanta il Pci cerca di mantenere assieme la canzone popolare e politica con la «nuova canzone», negli anni Ottanta l’opposizione tra vecchio e nuovo diviene dirompente (il paragrafo, non a caso si chiama «Liscio vs disco music», pp.178-183). Il libro si conclude con le feste (dal 2007 diventate “Festa democratica”) senza il Pci, assenza che non ferma però una macchina diventata ormai parte integrante della cultura italiana.  Una menzione particolare finale, inoltre, è dedicata, nell’intervista a Ugo Sposetti, al ruolo dei volontari. Una figura, quella del volontario, indispensabile per l’organizzazione e la riuscita della Festa. Citando la risposta di Sposetti, «Sono loro il punto di forza, coloro che danno il senso alla comunità, anzi meglio il legame che tiene unita una comunità. Sono sereni, sempre sorridenti, mai stanchi anche dopo serate passate a cuocere le salsicce. Servire a tavola, montare uno stand, pulire una libreria danno il significato a una partecipazione attiva, fatta con passione e spirito collettivo.» (pp. 205-206).
In conclusione, un libro che racconta una storia che non appartiene solamente a un partito o a una passione politica ma, al contrario, è parte integrante della società italiana.

 

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