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Beatrice Pisa

La guerra delle donne cattoliche (1908-1919)

 

L'Unione donne cattoliche d'Italia (Udci) (Nota 1) nasce nel 1908 con lo scopo dichiarato di combattere il femminismo, il socialismo e qualsiasi idea liberale, in totale obbedienza alla volontà papale, ma con un progetto di completa autonomia rispetto alla parte cattolica maschile. Il suo successo numerico (Nota 2), sociale, culturale e politico è evidente fin dall'inizio. Nel corso del conflitto si afferma poi come l'associazione femminile più vasta, compatta, organizzata ed ottiene la fiducia della classe dirigente liberale, ponendo un'ipoteca sulle culture sociali del Paese. L'Udci svolge anche il compito assai rilevante di incubatrice della Gioventù femminile cattolica (Gfc) che, nata fra il 1917 e il 1918, diventa la prima associazione femminile giovanile di massa e di lì a poco si pone in diretta concorrenza con le organizzazioni del regime.
Per comprendere la capacità di presa sulla società italiana evidenziata nel corso del conflitto, ed affermatasi ancor più nel lungo periodo, occorre considerare alcuni elementi fondamentali dell'azione e identità dell'Udci.

 

La nascita  

L'avvenimento che ne sollecita la nascita è l'ordine del giorno (inaspettato) contro l'insegnamento religioso nelle scuole primarie votato nel 1908 dal primo Congresso del Consiglio delle donne italiane (Cndi), l'associazione femminile più prestigiosa del panorama italiano, cui molte cattoliche fino a quel momento partecipano. Un ruolo nel suggerire la nascita della Udci probabilmente viene svolto anche dalle esperienze a livello internazionale (Nota 3), ma è l'episodio del 1908, e in particolare la presenza delle cattoliche (fra cui Adelaide Coari) ad una assemblea che si rivela in maggioranza religiosa, ad impressionare Cristina Giustiniani Bandini, la quale trova inaccettabile che si sia sviluppato nel Paese e si dichiari rappresentante di tutte le italiane un movimento di donne aconfessionale. Il suo progetto è quello di bloccare il fiorire di questo movimento di donne colte e attive, capaci di accompagnare efficacemente l'avvio di un processo di secolarizzazione in una società in via di urbanizzazione, ove si sta sviluppando la cultura socialista, sono diffusi i primi nuclei di industrializzazione e la cultura scientifica muove passi significativi, ove il tema femminismo è ormai all’ordine del giorno. 
Costituita in polemica con il movimento progressista cattolico di Adelaide Coari, troppo vicino alla logica del femminismo dei diritti e alla sua politicità (Nota 4), l'Udci prende le distanze anche dalla miriade di opere e organizzazioni femminili cattoliche, frammentate, limitate, chiuse nei più ristretti ambiti d'azione, senza collegamento e coordinamento fra loro: gruppi parrocchiali, dame di carità, gruppi catechistici, confraternite, etc. Un insieme di opere verso cui l'Udci si propone come elemento di collegamento e valorizzazione: «L'Unione non è un'Opera bensì un generale movimento […] qualche cosa di intellettuale, che si produce per mezzo di idee che si fanno penetrare nelle masse, che si impongono alla generalità, che diventano perciò, almeno in parte, opinione pubblica» (Nota 5). Nei progetti della fondatrice Cristina Giustiniani Bandini, il richiamo intenso alla spiritualità religiosa deve essere anche «socialmente responsabile». 
Pio X assegna alla nuova associazione un posto di rilievo all'interno dell'organizzazione del laicato cattolico, ponendola a livello di perfetta parità e totale autonomia accanto alle altre Unioni maschili, assegnandole inoltre funzione direttiva ed organizzativa rispetto a tutti i gruppi e le congregazioni femminili cattoliche. Notevole appoggio offrirà più tardi Benedetto XV, che seguirà benevolmente anche le vicende della Gioventù femminile, convinto che questa avrebbe affrettato «il ritorno del popolo di Dio». La benevolenza papale segnala il desiderio di avviare il laicato verso uno stile di azione e di spiritualità di apostolato attivo, che rappresenta una novità rispetto al tradizionale spirito del «cristianesimo da serra» (Nota 6). La ristrutturazione realizzata dal Papa nell'autunno 1915 (Nota 7), con lo scopo di coordinare le forze e offrire al laicato cattolico nuova responsabilità e vigore, amplia la sua sfera discrezionale, in armonia con il mutamento di orizzonti originati dalla guerra, ma finisce per incidere sulla sua iniziale condizione di totale autonomia. In questo progetto (Nota 8) la presidenza dell’Unione popolare (Up) diventa Giunta direttiva dell'Azione Cattolica (Ac) (a cui partecipano i rappresentanti delle diverse Unioni) e centro comune per dare «unità di pensiero e concordia di propositi» alle organizzazioni dei cattolici (Nota 9). Ma l'Unione delle donne, posta come uno dei settori da coordinare da parte dell'Up, trova nel tempo diversi motivi di attrito con questa e, equiparata alle altre Unioni definite portatrici solo di esigenze e scopi specifici, perde un po' della sua identità. La presidente insiste molto sul tema autonomia, come emerge anche dal suo libro verbali-diario (Nota 10), mentre sulla rivista chiede di adeguarsi allo spirito dei tempi nuovi «in cui la donna avrebbe solennemente affermata la propria personalità» (Nota 11). Il che suscita qualche contrasto e qualche richiamo piuttosto duro (Nota 12).

 

La guerra

Sarà il conflitto a portare una decisa accelerazione  nel processo di accreditamento nazionale di tutto il mondo cattolico, al cui interno l'Udci svolge ruolo centrale (Nota 13). Se è vero che, «nonostante la guerra, anzi proprio per la guerra, il campo d'azione dei cattolici si allarga», per il mondo femminile cattolico è «la prova del fuoco», da superare sul piano organizzativo, culturale, sociale e politico. È anche occasione per contestare la pretesa del femminismo non religioso di rappresentare le donne italiane. Perché, si chiarisce, sono le cattoliche «l'unica e magnifica forza italianamente femminile» (Nota 14).
A partire dall'estate 1914 si moltiplicano le manifestazioni per la pace, «comando divino» per le cattoliche. In seguito si dichiara di poter «accettare la guerra come dovere di cittadine e non mai come convincimento ideale. In caso di guerra dovremo essere soprattutto cristiane, lenitrici, soccorritrici. Per noi non vi sarà il nemico». Ci si preoccupa dunque di preparare le socie a svolgere un lavoro che le avrebbe portate ad un nuovo contatto con il resto della società. È la vicesegretaria Giovanna Canuti a chiedere che le socie, pur impegnandosi e pregando per la pace, siano tuttavia preparate ai «tristissimi e dolorosi eventi» che si delineano. Si procede quindi ad un censimento delle forze e si stabilisce la strategia: innanzitutto agire per la parte spirituale e morale del soccorso verso l'esercito, le famiglie dei combattenti, le future lavoratrici di guerra. Molta preoccupazione si esprime rispetto alle nuove richieste di libertà femminile, che dovranno essere decisamente bloccate (Nota 15).  
Non emergono, come avviene nel caso di Luigi Sturzo, posizioni interventiste, ma come lui queste attiviste colgono la possibilità che la guerra costituisca occasione per sgretolare lo Stato liberale e non religioso uscito dal Risorgimento e riproporre «una presenza cattolica unificatrice della coscienza nazionale» (Nota 16).
A partire dal 1915, quando le dirigenti dell'Udci chiamano a raccolta le proprie attiviste in vista della probabile guerra, sempre più spesso al richiamo religioso si aggiunge quello patriottico, tanto che in quegli anni si realizza per queste un vero a proprio addestramento al patriottismo. Con il passare del tempo si mette a punto una posizione vicina a quella dei «vescovi patriottici» che teorizzano l'amore di patria come preciso dovere del cristiano e come espressione di una sincera fede religiosa (Nota 17).
Il percorso di accreditamento nazionale dell'Udci e di tutte le donne cattoliche passa per l'impegno assistenziale cui tutte le socie si dedicano a livello personale, spesso nei comitati di organizzazione civile che nascono in occasione del conflitto. Il che richiede vincere pregiudizi e contrarietà da parte di questi, ma anche superare le proprie resistenze a lavorare in ambienti non confessionali. Giovanna Canuti osserva che l'esperienza bellica porta le cattoliche ad acquisire un'esperienza negli ambienti più vari e spesso ad incardinarsi in forme civiche e statali (Nota 18). Molto impegno viene dedicato anche alle iniziative varate dalla propria associazione: madrinato di guerra, posti di conforto per soldati e feriti, raccolta di lana per combattenti, organizzazione di una giornata pro-Belgio, adesione alla campagna contro la pornografia, lotta per l'insegnamento religioso nelle scuole, mobilitazione perché i cappellani siano ammessi sulle navi da guerra, ma soprattutto assistenza religiosa all'esercito(Nota 19). Significativa la scelta di commemorare a livello nazionale l'anniversario della morte di Matilde di Canossa, simbolo del trionfo del potere papale su quello civile. Nel 1917 si dà vita all'Ufficio notizie per i profughi delle terre invase e poi si collabora, dietro richiesta della Santa Sede, all'opera in sostegno dei prigionieri.
Queste attiviste considerano l'azione in sostegno della guerra come un dovere sacro, che tuttavia non implica una analisi sulle cause del suo scatenarsi, né una presa di posizione politica in merito alla sua necessità. Centrale rimane la difesa appassionata della parola del Papa dalle numerose contestazioni che accompagnano la sua linea diplomatica e pastorale. Nel 1917 si teorizza che la guerra porta doveri per tutte le donne, specie per le cattoliche, che hanno doveri verso la patria, ma prima di tutto innanzi a Dio: pregare per i combattenti, per gli increduli, per la Patria, per i feriti, soffrire da cristiani, «con rassegnazione e con fiducia in Dio», senza disperazione e rancore, essere perseveranti, oneste, osservanti dei provvedimenti governativi e austere nei costumi (Nota 20). Un programma insomma che coniuga felicemente doveri religiosi e patriottici.  

 

La propaganda

Propaganda per queste attiviste significa anzitutto sforzo di diffusione della fede cattolica e del proprio movimento. Convinte di essere guidate da una ispirazione soprannaturale, fanno proseliti per la loro associazione con lo stesso ardore apostolico con cui difendono la religione e la parola del Papa. Il loro impegno, per il quale la presidente domanda attiviste prive di doveri familiari e professionali (Nota 21), somiglia ad un apostolato sacerdotale. Notevole sforzo viene fatto per avvicinare le operaie e molto si discute e si progetta in merito alle contadine.
L’iniziativa di maggiore eco nazionale su cui l'Udci si impegna è probabilmente quella della consacrazione delle famiglie al Sacro cuore, cui segue quella dell'esercito (Nota 22), in collaborazione con il comitato appositamente sorto, presieduto da Agostino Gemelli, segretaria Armida Barelli.  L'evidente successo di questa iniziativa è il segnale del successo del movimento delle cattoliche. L'impegno a riproporre in un Paese sconvolto da un conflitto di inaudita violenza il culto religioso nelle sue forme più suggestive ed emotivamente coinvolgenti, con una serie di cerimonie dalle più intime a quelle pubbliche e di massa, viene infatti incontro al crescente bisogno di una consolazione di tipo sacrale e confessionale, nonché al manifestarsi di una tensione collettiva verso l'irrazionale. L'iniziativa della consacrazione, per molto tempo unica forma di sostegno psicologico di massa, riconduce in maniera eclatante la religione cattolica nella vita del Paese, abbattendo quelle deboli barriere che una classe dirigente laica, spesso solo per necessità politica, aveva con fatica costruito in un cinquantennio di vita unitaria. Ma la guerra permette anche di realizzare un'azione di penetrazione religiosa in tutti gli strati sociali, meno eclatante, ma non meno efficace: educazione religiosa ai figli dei richiamati e preparazione di questi alla prima comunione, nonostante la contrarietà dei genitori; migliaia di lettere scritte negli uffici di corrispondenza «tutte ispirate a sentimenti religiosi di cristiana rassegnazione e sentimenti patriottici». E poi distribuzione alle popolazioni di pubblicazioni religiose, santini, messaggi morali, celebrazioni di funzioni religiose per i caduti, invio in trincea di giornali cattolici, libretti, immagini, medaglie miracolose (Nota 23).
Insieme a tutto ciò si predica onestà, obbedienza alle disposizioni governative, austerità dei costumi. Con l'entrata in guerra del Paese alle preghiere per la pace si uniscono quelle per la vittoria. Anche l'adesione ai prestiti di guerra viene presentata come "dovere sacro" per tutte, anche per le più povere, privo di ogni connotazione politica (Nota 24). In tutti i comitati si tengono conferenze di propaganda per il prestito nazionale, la limitazione dei consumi, l'astensione dai divertimenti. Dopo Caporetto si lanciano appelli alle donne italiane perché siano incrollabili nella resistenza, attive nell'apostolato, ardenti nella preghiera fervida, mentre si incoraggia con manifesti murali «la resistenza indomabile al disfattismo» (Nota 25). Una volta cessato il conflitto, la vittoria delle armi è salutata come la «realizzazione del sogno italico», si celebrano Trento e Trieste finalmente congiunte alla Madre Patria «nell'inno giubilante del riscatto compiuto» (Nota 26). 

 

Modernità e tradizione

La particolarità dell'Udci è quella di porre insieme elementi altamente conservatori con altri di natura modernizzante. Fra questi ultimi è il richiamo continuo alle esigenze di compattezza, ordine, concordia di intenti. Stesso segno ha il tentativo di trasferire l'impegno delle socie dal tradizionale campo della beneficenza ad una più vasta e ben organizzata attività sociale. Il tentativo non ha facile realizzazione: ancora nell'estate 1919 dalle colonne del «Bollettino» la presidente deplora che molte confondano ancora l'azione sociale con la carità e quindi lavorino con uno «zelo incompetente» che finisce per nuocere (Nota 27).
Particolare impegno si dedica ad addestrare le donne nella gestione e fondazione dei comitati, nel lavoro di proselitismo, nel rapporto con gli altri gruppi, religiosi e non. Preparare attiviste in grado di convincere, coinvolgere, emozionare, viene percepito come vitale. Sulla capacità che ha il richiamo alla dimensione sacrale-religiosa di coinvolgere e valorizzare tante forze latenti, stanando le più timide, incerte, modeste e meno culturalmente preparate, facendone una formidabile legione compatta e attiva dietro la parola del papa, rimane la testimonianza della stessa Barelli, condivisa da tante. Il suo impegno per la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore è così intenso che viene nominata vicepresidente dell'Udci per l'Azione sociale e l'arcivescovo di Milano le chiede di attivarsi per fondare la Gioventù femminile a livello nazionale. Barelli rifiuta decisamente, esprime inquietudine di fronte all'idea di lasciare la famiglia per dormire fuori casa, un senso di inadeguatezza e di indegnità, fino al  timor panico rispetto alla prospettiva di parlare in pubblico. Ma il richiamo ai doveri della credente fatto dal Papa inducono una grande crisi di coscienza, l'accettazione e l'inizio di un'attività propagandistica frenetica, che la porterà in giro per tutta la penisola, con un largo e insperato successo, perfino nel sud più chiuso e arretrato. Alla base la convinzione che «tutto si raggiunge quando si combatte nel nome di Dio» (Nota 28). In seguito Barelli si impegna a formare dirigenti locali ed è incaricata di fondare e seguire l'andamento delle varie sezioni della Gioventù nelle diocesi. Si tratta insomma di una modernizzazione piena di caratteri contraddittori.
Si può concludere che la proposta più intensa di adeguamento ai tempi da parte dell'Udci è quella che  rivolge alle donne cattoliche. Le prime organizzatrici della associazione, che girano in maniera infaticabile per tutto il Paese a fare propaganda, incontrano molte difficoltà: non è facile far accettare l'idea stessa di una associazione femminile di taglio rivendicativo e ancor meno coinvolgere donne formate strettamente alla cultura della casalinghità e della confessionalità. Le partecipanti alle antiche esperienze come confraternite, pii sodalizi, terzi ordini, gruppi di preghiera, sono in maggioranza restie ad avvicinarsi ad un gruppo di religiosità attiva come l'Udci, impegnato "addirittura" nella promozione femminile (Nota 29). Ma la guerra, per molte dirigenti della associazione, costituisce una occasione da non perdere di affermazione dell'attivismo femminile cattolico. Per poter rispondere alle esigenze di un tale periodo di accelerazione sociale e battere il femminismo, alcune non mancano di proporre un mutamento nell'immagine e nell'identità della donna cattolica: non più dimessa, sottomessa e pia, ma attiva intelligente, zelante. Perché i tempi presenti richiedono conferenziere e scrittrici capaci di coinvolgere: «serve un po' di fuoco» (Nota 30). Ma significa fare i conti anche con le proposte femministe, tentando di smorzarne la politicità. 

 

Il sociale e il politico

Nello statuto dell'Udci si specifica che essa prescinde dalla politica, esclude «tutto ciò che è in opposizione con la missione provvidenziale della donna» e coopera con le altre Unioni cattoliche per una comune azione religiosa e sociale (Nota 31). È proprio sul termine sociale che si costruisce un equivoco. L'identità dell'associazione si mantiene in equilibrio fra l'impegno a tenere lontano ogni sospetto di fare politica e quello a marcare la differenza con i tanti gruppi femminili cattolici tradizionali, chiusi, frammentati e dispersi, impegnati solo in una dimensione confessionale priva di riscontri sociali. In quanto associazione e non opera, l'Udci rivendica l'impegno ad occuparsi dei tanti problemi che affliggono la vita del Paese, primi fra tutti: difesa della famiglia, formazione scolastica, educazione sociale e religiosa delle donne, comprese quelle delle classi operaie e contadine. Temi che evidentemente si presentano ricchi di (non riconosciuti) risvolti intensamente politici. «Chi difende la religione e la morale dei propri cari attraverso la difesa della famiglia e della scuola non fà un atto politico, si legge in un volantino nel 1916, ma un atto di fede, anche se questo si esprime con una petizione o una protesta diretta ai pubblici poteri!» (Nota 32).
Rispetto al grande tema del voto, si passa dalla posizione piuttosto difensiva di Canuti che nel discorso del 1915 prospetta il suffragio solo come conseguenza di una «fatale piega degli avvenimenti» da contenere e dirigere rinsaldando l'amore verso la religione e la famiglia, alle posizioni più favorevoli espresse nella rivista dell'Udci nel marzo 1917. A prescindere dalla motivazione "debole" che viene fornita (sarebbe il notevole sviluppo del lavoro salariato femminile ad allontanare le donne da casa, non il suffragio), anche in questo caso il nodo centrale rimane quello di preparare bene le donne rafforzandone i principi cattolici (Nota 33). Nel gennaio 1919 la Pro suffragio domanda l'adesione dell'Udci e questa risponde affermativamente, ma ribadendo identità e progettualità, per non confondersi con quei gruppi che rifiutano «una equilibrata collaborazione con l'uomo nella gestione della cosa pubblica» (Nota 34). Nel primo congresso dell'Unione femminile cattolica italiana (Ufci) del 1919, dopo aver invitato le socie ad occuparsi del funzionamento di tutte le istituzioni statali e amministrative, si approva una deliberazione sul voto femminile amministrativo e politico, che si sostiene in quanto «strumento indispensabile per ritornare cristiana la Nazione» (Nota 35).
Anche il grande tema tipicamente femminista della abolizione della autorizzazione maritale, vede per tutta l'area cattolica una decisa (e faticosa) evoluzione negli anni di guerra, pur rimanendo fermo l'ideale di una famiglia unita e gerarchizzata dietro il marito capo indiscusso. Per la rivista dell'Ac, «La Settimana Sociale», come per l'Udci, si può affrontare tale scelta rivoluzionaria perché comunque rimangono una serie di articoli del codice civile che definiscono la saldezza dei vincoli familiari, lasciando una posizione preminente all'uomo nei rapporti personali e in quelli patrimoniali. Quando nel 1919 l'istituto della autorizzazione maritale viene abolito per legge, la rivista dell'Udci sente nuovamente il bisogno di rassicurare che tale novità non attenta all'unità morale della famiglia, né al principio della soggezione della moglie al marito (Nota 36).
Egualmente difficile diviene sostenere la pretesa apoliticità dell'Udci nel settore del rapporto con le operaie e le loro organizzazioni professionali, riproposto instancabilmente negli scritti di queste attiviste e nei programmi delle giornate sociali. Il progetto è quello di organizzarle per professioni e secondo la dottrina cattolica espressa dalla Rerum novarum. Destinatarie: lavoratrici dell'ago, donne di servizio, risaiole, per le quali si pensa di fondare una società femminile di previdenza e mutuo soccorso. Delle lavoratrici si tenta anche di curare la formazione con interventi che mirano essenzialmente all'istruzione religiosa, quali le scuole estive (una sorta di oratori modernizzati). In queste si raccomanda di insegnare ricamo, rammendo, sartoria, economia domestica, ma anche italiano, francese, contabilità, disegno, dattilografia, stenografia, calligrafia (Nota 37). Soprattutto ci si impegna ad organizzarle in associazioni professionali al fine di sottrarle alla influenza socialista e femminista (Nota 38), di proteggerle da un tipo di lavoro che reputano porti alla immoralità, allo scatenarsi di passioni indebite e sfrenate libertà. Motivazioni cariche di evidenti risvolti politici.
È proprio questo nodo che provoca attriti con la parte cattolica maschile. Quando nel 1915 Benedetto XV riorganizza il laicato cattolico non reputa opportuno prevedere l'obbligo anche per le donne e i giovani dell'iscrizione all'Up, come per tutti gli altri componenti. Perché, spiega padre Chiusano in uno scritto conservato da Cristina Giustiniani (Nota 39), «non sarebbe né opportuno né conveniente, né giusto obbligare i giovani e le donne a partecipare direttamente a battaglie che possono anche assumere carattere spiccatamente politico». Alla donna italiana, che vive «in una sfera morale assai diversa da quella dell'altro sesso», va impedita ogni funzione direttiva nel campo della politica del lavoro, specie in quello delle Unioni professionali femminili. E in effetti questa riforma prevede che queste possano essere costituite, ma poi entrare a far parte delle rispettive federazioni nazionali, le quali aderiscono alla Unione economica sociale (Ues) (Nota 40).
Si sviluppa quindi sulla questione una differenza di vedute fra area femminile e area maschile che riguarda la scelta di fondo: l'Ues desidera avocare a sé la gestione del lavoro operaio femminile inserendola in una strategia complessiva, mentre l'Udci reputa che le lavoratrici abbiano problemi non assimilabili a quelli maschili. Quando nel 1918 si pone il problema di assumere la gestione dell'Opera nazionale giovani operaie (80mila iscritte) al fine di correggerne il taglio di puro patronato, l'Udci dichiara che questa associazione «per la sua indole speciale non può appartenere al movimento cattolico ufficiale» (Nota 41) e anzi mira a farne «organo principale di coordinamento fra tutte le istituzioni femminili di carattere apertamente cattolico» (Nota 42).
Ancora il 29 settembre 1918 Maddalena Patrizi, assunta la presidenza a gennaio, protesta contro la pretesa dell'Ues di gestire la smobilitazione avocando a sé la formazione professionale e lasciando al gruppo femminile l'assistenza. Eppure, almeno per tutti gli anni del conflitto, le cattoliche non ottengono risultati soddisfacenti in questo settore. Nel corso del primo congresso dell'Ufdi (Nota 43) si viene a sapere che per un insieme di motivi, fra cui lo scarso interesse e la scarsa preparazione delle socie, verso la fine del 1917 solo quattro o cinque comitati hanno formato associazioni professionali femminili (Nota 44). 

 

Fra  gestione pubblica e iniziativa privata

Le dirigenti dell'Udci fanno proprie molte aperture, ma sono le sostenitrici più agguerrite della concezione più tradizionale della famiglia e della sua totale autonomia dallo Stato. Il che le porta a fare del tutto per ricacciare le donne nel lavoro a domicilio, ove svolgere quelli che reputano i lavori più adatti alla popolazione femminile, essenzialmente quello dell'ago. In questo modo le donne possono rimanere in casa, gestire l'andamento familiare, crescere i figli e guadagnare. Si tratta di posizioni cui gran parte del movimento laico delle donne, pur dando spazio ad un ventaglio di opinioni piuttosto variegato, non è estraneo, ma le femministe di solito accompagnano alle logiche "familiare" la  battaglia contro il cosiddetto "monacato familiare" esercitato dall'uomo.
Le cattoliche, compatte e altamente motivate, assecondano con passione la lotta senza quartiere di tutto il mondo cattolico contro i tentativi dello Stato di assumere progressivamente maggiori compiti nella dimensione sociale in tutti i settori, da quello delle assicurazioni (Nota 45) e del lavoro (Nota 46) a quello degli istituti di beneficenza e in generale in tutte quelle materie tradizionalmente lasciate alle organizzazioni cattoliche e alle famiglie, come la formazione e l'assistenza dei piccoli e dei giovani. Chiarisce bene la posizione cattolica «La Settimana Sociale», che nel gennaio 1915 pubblica una dura risposta al progetto di riorganizzazione degli istituti di beneficenza, accusandolo di voler togliere alla carità «il profumo della pietà e della preghiera» riducendola «ad un nuovo servizio statale, gestito da un qualsiasi ingranaggio burocratico», con lo scopo di «scristianizzare le masse» (Nota 47).
La costituzione nel 1916 da parte del governo dell'Opera nazionale per orfani dei caduti in guerra desta molto allarme nella giunta dell'Azione Cattolica, che si affretta a fondare una propria Opera per gli orfani, cui chiama anche l'Udci (Nota 48). Il problema di fondo, si legge nella rivista, «è la costituzione istessa di tutta l'opera di assistenza statale» (Nota 49). «Noi cattolici», scrive mons. Bettazzi, «siamo attratti, è un dovere riconoscerlo, dal lavoro della beneficienza individuale e da quel lavoro di indole sociale in cui non c’è che dare ascolto agli impulsi del cuore [..] e siamo invece più torpidi a darci all'azione sociale intesa in senso più vasto» (Nota 50). L'Udci condivide tali idee, come dimostra la battaglia, invero un po' spietata, contro la decisione governativa di utilizzare i fondi delle Opere Pie dotalizie per finanziare l'Opera nazionale orfani, con la motivazione che il sostegno si allargherebbe anche ai figli illegittimi, «i detriti delle famiglie» (Nota 51). O come dimostra la vivace protesta e l'accusa di statalismo che nel 1919 esprime Maddalena Patrizi contro il Cndi (ove era rimasta tanti anni a livello personale nel tentativo di condizionarla) per aver ospitato nella propria rivista l'articolo di una socia che esprimeva l'auspicio di una riorganizzazione comunale delle opere di assistenza nate nel corso della guerra (Nota 52). In realtà la presidente Spalletti a livello personale concorda con la protesta cattolica (Nota 53), ma intanto una opinione contraria alla sua si è potuta esprimere nella rivista ufficiale del Cndi, che in questo modo si mantiene fedele al suo indirizzo di raccogliere e rappresentare identità e culture diverse. È proprio questa scelta che nel dopoguerra induce Patrizi a rinnovare l'accusa al Cndi  di una superficialità che renderebbe impossibile realizzare la funzione di guida e di formazione delle aderenti (Nota 54).
In questo fronteggiarsi fra un possibilismo dialogico di taglio razionalista, erede della tradizione cosmopolita, a volte astratto, a volte confuso e contraddittorio, e la certezza serena, rigida e incrollabile del dogma, si esprime il confronto fra una cultura liberale in via di declino e una cultura come quella cattolica in via di affermazione a tutti i livelli. Questa progressiva acquisizione di egemonia della cultura cattolica non è senza conseguenze rispetto alla nascita e allo sviluppo dello stato sociale. 

 

Il dopoguerra e la smobilitazione

Nella primavera 1917 la Commissione per lo studio del problema della mano d'opera femminile in rapporto alla mobilitazione industriale, nominata dalla Ues, si dichiara decisamente contraria alla possibilità che le giovani operaie continuino, anche in tempo di pace, il lavoro «insano e deprimente» di fabbrica. Il sistema più efficace per ottenere l'espulsione delle donne dal lavoro industriale viene individuato nella richiesta di parità di salario fra i sessi, capace di scoraggiare le assunzioni. Viste le necessità economiche familiari, si consente che una moglie possa lavorare, «per arrotondare la mercede dell'uomo», ma senza lasciare il focolare, quindi solo nelle piccole industrie domestiche (Nota 55). Le attiviste dell'Udci condividono sostanzialmente tale posizione e la ripropongono spesso nelle pagine della rivista, con qualche evoluzione.
Quando nel luglio 1918 il governo chiama l'Udci a partecipare alla ventiseisima Sottocommissione del dopo-guerra, incaricata di occuparsi della smobilitazione femminile, è ormai chiaro che l'area cattolica si è guadagnata la fiducia della classe dirigente. Fanno parte della Sottocommissione anche Antonia Nitti, una delle vicepresidenti del Cndi, e Carla Lavelli Celesia, presidente della Federazione lombarda del Cndi e nello stesso tempo dell'attivo e vivace Fascio nazionale femminile lombardo.
Patrizi contatta le due signore al fine di organizzare un incontro preliminare, ma quando Celesia le propone di cercare una posizione comune, convocando un apposito congresso di donne, la presidente cattolica si rende conto che all'interno di tale consesso femminista le sue tesi si sarebbero trovate in minoranza e quindi non solo rifiuta l'offerta di collaborazione, ma si affretta a presentare ufficialmente le sue proposte. Convinta della necessità di tenere conto delle novità portate dal conflitto, sente che è opportuno cogliere l'occasione offerta dalla partecipazione ad una commissione governativa di tale prestigio, per battere la temuta concorrenza femminista. Elabora quindi un progetto (Nota 56) piuttosto ricco e articolato, che contiene non solo una serie di miglioramenti per le lavoratrici, ma anche un piano per la smobilitazione femminile da fare per gradi, a cominciare dai lavori più pesanti e «meno adatti», nonché un fondo finanziario per accompagnarne la ricollocazione. La cosa che più le sta a cuore è poter realizzare un ampio spostamento di operaie dalle industrie pesanti a quelle dell'ago e a domicilio, lasciando nel mercato misto solo il «rigurgito delle industrie femminili» (Nota 57). Chiede dunque che a questo scopo non solo vengano adibiti gli uffici notizie riorganizzati, ma soprattutto che si giunga ad una legge sui salari minimi per le industrie dell'ago. Aggiunge inoltre la richiesta di protezione e forme di previdenza per le lavoratrici, specie industriali, nonché due proposte che giudica «importantissime»: parità di salario fra i sessi per eguale lavoro e rendimento; che le donne maritate possano disporre del loro salario (in contrasto con l'istituto della autorizzazione maritale). Ma tali richieste implicano un mutamento della legislazione che, avverte il presidente  Pantano, esulano dai poteri della Sottocommissione. Il progetto Patrizi, nella sua iniziale forma dattiloscritta, termina con la richiesta (non riprodotta nell'articolo su il «Corriere d'Italia») che tutta l'operazione giunga ad avviare la smobilitazione femminile "verso una soluzione che non sia reazione".
In una circolare alle diverse presidenti chiarisce che si sono determinate circostanze speciali che hanno creato l'urgenza di prendere una posizione: «quella di avanguardia in tutto ciò che, senza alterare i nostri principi, religiosi e morali assolutamente immutabili, è forma di evoluzione storica della vita civile. O all'avanguardia oppure a rimorchio di correnti diverse, talvolta opposte alla nostra» (Nota 58). Nei verbali di presidenza spiega ancora di essersi risolta ad arrivare nelle sue proposte «ai limiti estremi di ciò che può consentire la dottrina sociale cattolica, per non lasciare a chi si occuperebbe del problema femminile dopo di noi, altro che l'assurdo» (Nota 59). 
È interessante notare che il documento presentato qualche settimana dopo dal Fascio lombardo presieduto da Carla Lavelli (Nota 60) condivide alcune posizioni di Patrizi in merito alla difesa della famiglia e alla valorizzazione della funzione materna, nonché alla necessità di definire nuovi assetti normativi. Ma qui le posizioni sono più avanzate, a tratti rivoluzionarie: si chiede di revisionare tutto il diritto pubblico e privato concernente le donne, si difendono con chiarezza il diritto di voto e l'annullamento dell'istituto della autorizzazione maritale. Nel campo della politica del lavoro si domandano varie provvidenze a favore delle lavoratrici, fra cui l'adozione per tutte di un sistema di assicurazioni completo (invalidità, vecchiaia, malattie, infortuni...), parità di salario a parità di lavoro, pur partendo da una base minima stabilita per legge. Soprattutto si vuole la sicurezza del lavoro per tutte, impiegate e operaie, l'abolizione di ogni limitazione al lavoro sia materiale che professionale, togliendo di mezzo ogni discriminazione fra i sessi. Perché solo il lavoro può dare alle donne «indipendenza e dignità di vita» (Nota 61). Nel commentare questo progetto Patrizi osserva che fra i due esiste una differenza fondamentale «di intonazione [..] noi arriviamo alle nostre conclusioni partendo dal concetto di tutela della famiglia , le altre partono dal concetto individualista del lavoro femminile» (Nota 62). L'anno seguente la sottocommissione per il dopoguerra esplicita le sue posizioni, che  fanno proprie le proposte di Patrizi sulla necessità di rimandare tutte le lavoratrici nel lavoro a domicilio, senza tuttavia coglierne le richieste più progressive (Nota 63).

 

Conclusioni

La guerra ha il ruolo di evidenziare e sviluppare culture e capacità di affermazione delle donne cattoliche. Con una particolare miscela di elementi moderni ed arcaici e con una decisa attenzione alla gestione di una moderna società di massa, le cattoliche riunite nelle loro associazioni riescono ad affermarsi e coinvolgere migliaia di donne, trascinandole fuori casa e anche fuori dalle parrocchie, facendole partecipare alla vita sociale e civile, realizzando un processo di addestramento al patriottismo e alla dimensione civica. Sviluppano entusiasmo, sorellanza, capacità di sacrificio; imparano a lavorare nel sociale, a parlare con persone di culture e classi sociali diverse; si occupano di bambini, poveri, lavoratrici, qualche volta diventano propagandiste e conferenziere. La necessità di affermarsi in un mondo in veloce cambiamento, tagliando la strada al femminismo e quindi alle culture e politiche laiche in via di sviluppo, le spinge a fare propri alcuni elementi significativi della lotta femminista come il voto e l'abolizione della autorizzazione maritale. Domandano anche la parità salariale, seppure con lo scopo dichiarato di eliminare le donne dall'industria, ricacciandole nel lavoro a domicilio. Eppure, insieme a diversi elementi moderni, interpretano e ripropongono il nucleo profondo di un mondo antico, abituato alla deferenza, alla gerarchia, alla devozione, alla sacralizzazione dell'esistente, alla sottomissione all'autorità, ove l'attivismo sociale delle donne ha sempre bisogno di un assistente spirituale e la figura femminile è del tutto oblativa, estranea all'idea dell'esistenza di diritti individuali per sé. Interpreti di uno stretto intreccio fra innovazione dei comportamenti e intransigente tradizione, finiscono per accentuare la coloritura oblativa dell'impegno femminile nel corso del conflitto, accompagnando e nello stesso tempo determinando nel Paese una forma di modernizzazione carica di elementi contraddittori.

  

NOTE 

Nota 1 Si vedano i pioneristici lavori di P. Gaiotti De Biase, La nascita della organizzazione cattolica femminile nelle lettere di Cristina Giustiniani Bandini a Toniolo, Ed. St. e Letteratura, Roma 1978; C. Dau Novelli, Società. Chiesa e associazionismo femminile, 1908-1919, AVE, Roma 1988; Ead, L'associazionismo femminile cattolico (1908-1969), Atti dell'incontro di studio Una memoria mancata. Donne cattoliche nel ‘900 italiano, «Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale e cattolico in Italia», 2 (1998). Interessanti considerazioni anche nel più recente testo di P. Gaiotti De Biase, Vissuto religioso e secolarizzazione, Studium, Roma 2006, p. 70 e segg. Sulla mobilitazione e sulle esperienze lavorative delle donne nel corso del conflitto disponiamo ormai di molti studi, di cui non posso qui dare conto per ragioni di spazio. Torna al testo

Nota 2 Nel 1909 l'Unione può contare su 34 comitati, nel 1918 su 300, nel novembre 1919 su 400, per un totale di 70mila socie, che diventano 60mila dopo l'esodo delle giovani. Si veda Cenni storici di un venticinquennio. L’'nione donne di A.C. dal 1908 al 1933, supplemento al n. 8 di «In alto!», aprile 1933, p. 7; Primo congresso dell'Udci, in «Bollettino dell'Unione fra le Donne cattoliche d'Italia» («Budci»), 15 novembre 1919. Le attiviste del Cndi sono assai di meno, forse solo 5000, anche se, come dice la presidente Spalletti, bisogna considerare anche la capacità di affermazione delle idee propugnate. Torna al testo

Nota 3 Sul percorso associativo delle cattoliche prima in Belgio nel 1905, poi in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Polonia, sostenuto dalla diffusione della svizzera Associazione di protezione della giovane, nonché dalla diffusione delle grandi Leghe cattoliche femminili presto riunite in federazione, si veda E. Da Persico, Nei paesi della strage e del sangue, «L’Azione Muliebre», 4 (aprile 1915). Torna al testo

Nota 4 «Anche le spiccate ed avanzate posizioni sociali prese dal movimento cattolico rendevano incerto il ceto medio ed esitante la donna cattolica», scrive Giovanna Canuti, Cinquant'anni di vita dell'Unione Donne di A.C.I., Sales, Roma 1959, p. 6. Torna al testo

Nota 5 AGOP, FGB, n.7. Torna al testo

Nota 6 D. Veneruso, L'azione cattolica italiana durante i pontificati di Pio X e Benedetto XV, AVE, Roma 1984, p. 154. Torna al testo

Nota 7 Si veda P. Trionfini, L'azione cattolica in Italia, www2.azionecattolica.it/sites/default/files/Trionfini1.doc‎ Torna al testo

Nota 8 U P fra i cattolici d'Italia. Giunta direttiva dell'azione cattolica, volantino Ai cattolici d'Italia, 6 dicembre 1915, Istituto per la storia del movimento cattolico in Italia (Isacem) fondo Unione Popolare cattolica (Up), cart. 24, fasc. 2, n. 24. Si veda anche V. B. C., Il nuovo ordinamento dell'Azione Cattolica in Italia, in «Unione», XLIII s.d. [1915] Torna al testo

Nota 9 Ibidem Torna al testo

Nota 10 Isacem, Up, cart. 21, fasc.4, 1917. Torna al testo

Nota 11 L'organizzazione cattolica in Italia, in «Unione», XLIV (ottobre 1915). Torna al testo

Nota 12 Quando l'Unione domanda alle sue socie di astenersi da azioni collettive in sostegno dell'Opera nazionale orfani di origine confessionale, spiega che prestarsi alle più diverse iniziative, anche se lodevoli, significherebbe rinunciare «ad una azione esclusivamente femminile» (sottolineatura nel testo, come le altre presenti in questo saggio). Circolare n. 9, 1916, Isacem, Up. cart. 21, n. 31. Lettera della  Giunta direttiva dell'Ac del 2 luglio 1916 all'Udci. Isacem, Up, cart. 26, fasc.4, n. 179, nonché lettera della Giunta direttiva dell’Ac del 26 agosto 1916, che termina richiamando l'Udci all'obbligo di seguire l'indirizzo della Giunta direttiva, ivi. Torna al testo

Nota 13 Cristina Giustiniani scrive alle iscritte: «È dunque [la guerra] una propizia occasione per mostrare al paese quello che può fare una associazione cattolica bene organizzata e disciplinata»: 14 novembre 1916, Una lettera della Presidente generale, in «Unione», LVI (gennaio 1917). Torna al testo

Nota 14 V. B. C., L'organizzazione cattolica in Italia, in «Unione», XLIV (ottobre 1915). Torna al testo

Nota 15 Il nostro programma, in «Unione», XL, s.d. [gennaio 1915]. Torna al testo

Nota 16 F. Malgeri, La Chiesa, i cattolici e la prima guerra mondiale, in G. De Rosa, T. Gregory, A. Vauchez, (a cura di), Storia dell'Italia religiosa, vol. III, Laterza, Roma Bari 1995, p. 198. Torna al testo

Nota 17 A. Monticone, I vescovi italiani e la guerra 1915-1918, in G Rossini (a cura di) Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, Cinque Lune, Roma 1963, p. 644. Torna al testo

Nota 18 G. Canuti, Cinquanta anni di vita dell'Unione Donne di A.C.I.,cit., p.40. Torna al testo

Nota 19 Circolare dell'Udci, n. 51, del 14 ottobre 1915: Isacem, Up, cart. 23, fasc. 1, n. 21. Torna al testo

Nota 20 Per fare il nostro dovere, in «Unione», LIX (aprile 1917). Torna al testo

Nota 21 Circolare n. 15 del 25 luglio 1917: Isacem, Up, cart. 23. fasc. 1, n. 35. Torna al testo

Nota 22 Sul tema si veda C. Dau Novelli, Società. Chiesa e associazionismo femminile, cit., p.235 e segg. e più recentemente S. Lesti, “Per la vittoria, la pace, la rinascita cristiana”. Padre Gemelli e la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore (1916-1917), in D. Menozzi, La Chiesa e la guerra. I cattolici italiani nel primo conflitto mondiale, in «Humanitas», 6 (2008), pp. 959-975. Rimando a questi testi per le informazioni bibliografiche. Torna al testo

Nota 23 Relazione sull'opera svolta dai comitati dell'Udci per l'assistenza di guerra, maggio-dicembre 1915, Grottaferrata 1916: Isacem, Up, b. 2, fasc. 2. Torna al testo

Nota 24 Si veda «Budci», 15 gennaio 1918; nonché «Unione», XLVII-XLVIII (gennaio-febbraio 1916) e LIV (aprile 1917). Torna al testo

Nota 25 Primo congresso dell'Unione femminile cattolica italiana, in «Bollettino d'organizzazione dell'Udci» («Bollettino»), 7 (15 novembre 1919). Torna al testo

Nota 26 La grande ora storica, in «Budci» (gennaio-febbraio 1919). Torna al testo

Nota 27 «Bollettino», 5 (15 luglio 1919). Torna al testo

Nota 28  A. Barelli, La sorella maggiore racconta…, Vita e Pensiero, Milano 1948, p. 15 e segg. La citazione è a p. 25. Torna al testo

Nota 29 D. Veneruso, L'azione cattolica, cit., p. 143 e segg. Torna al testo

Nota 30 L. Avogadro di Valdengo, L'indirizzo che deve seguire l'Unione, in «Unione», XLVII- XLVIII (gennaio-febbraio 1916). Torna al testo

Nota 31 Si istituiscono tre sezioni: Propaganda religiosa, Azione sociale, Cultura religiosa e sociale. Dell'Ufficio centrale di presidenza fanno parte la Presidente, la Vicepresidente, la tesoriera, l'assistente ecclesiastico. I diversi Comitati locali riproducono la stessa organizzazione a livello locale: Statuto per l'Unione fra le Donne cattoliche d'Italia, in «Unione» XVI, s.d. [gennaio 1912]. Torna al testo

Nota 32 Volantino: Isacem, Up, cart. 23, fasc. 1, n. 41. Torna al testo

Nota 33 Il voto alle donne?, in «Unione», LVIII (marzo 1917). Torna al testo

Nota 34 Si veda «Budci», 15 marzo 1919, s.n., nonché Primo congresso dell'UFCI, ivi 7 (15 novembre 1919). Torna al testo  

Nota 35 IbidemTorna al testo

Nota 36 «Bollettino», 6 (1 ottobre 1919). Torna al testo

Nota 37 «Unione», XLI-XL (maggio-giugno 1916). Torna al testo

Nota 38 Cristina Giustiniani è così estranea all'idea di una teoria dei diritti femminili che trova solo motivi economici per spiegare la genesi del femminismo. Lo sviluppo dell'industria e dell'affarismo della borghesia avrebbe costretto le donne ad entrare in fabbrica e a lavorare in condizioni di sfruttamento, provocando la reazione che ha condotto ad abbracciare «posizioni estreme». Quanto al  femminismo «dei salotti», proprio di signore colte e altolocate, si rivolge al voto politico dopo aver tentato inutilmente di ottenere per queste operaie dei miglioramenti dalle istituzioni. Questo movimento non riesce tuttavia ad avere vasta influenza sociale perché non si ispira a sentimenti religiosi cattolici. Il problema del femminismo e il programma religioso, 1909, documento manoscritto, AGOP, FGB, n. 18. Torna al testo 

Nota 39 L. di Chiusano, L'Unione fra le donne cattoliche d'Italia nel quadro della nuova riforma generale dell'Azione Cattolica, AGOP, FGB, n. 49. Torna al testo

Nota 40 Lettera del presidente Della Torre all'assistente ecclesiastico dell'Unione femminile mons. Giulio Serafini del 6 ottobre 1917: Isacem Up, cart. 21, n. 39. Torna al testo

Nota 41 Verbale dell'adunanza del 23 gennaio 1918 (Convenzione fra l'Udci e l'Opera nazionale giovani operaie): Isacem, Up, cart. 22, fasc. 2, n. 4. Torna al testo

Nota 42 Si vedano le lettere del presidente dell'Ues a Cesarina Artesana e a M. Patrizi in Isacem Up, cart. 22, fasc. 2, n. 4. Torna al testo

Nota 43 L'Ufci è il nuovo contenitore organizzativo che raccoglie l'Udci e la Gfc. Torna al testo

Nota 44 Primo congresso dell'Ufci, in «Budci», 7 (15 novembre 1919). Torna al testo

Nota 45 Di fronte al poderoso lavoro fatto dal deputato G. B. Valente all'interno della Commissione governativa per lo studio delle Assicurazioni sociali, «La Settimana Sociale» («SS») si dichiara d'accordo sulla scelta della riorganizzazione e obbligatorietà delle assicurazioni, ma sostiene che lo Stato non ha il diritto di sostituire l'iniziativa privata nella esecuzione di questo compito sociale. Le associazioni sociali. Un  progetto di G. B. Valente, in «SS», 22 (23 novembre 1917). Torna al testo

Nota 46 Decisa l'opposizione dell'Up alla proposta Cabrini di fondare un Istituto nazionale per gli indumenti militari, settore nel corso del conflitto lasciato alla iniziativa privata, con conseguenti sprechi e disservizi. Il Convegno delle assistenze civili, in «SS», 6 (23 marzo 1917). Torna al testo

Nota 47 U. Mazzucco, Problemi amministrativi. Per una proposta di riorganizzazione della beneficenza, in «SS», 3 (30 gennaio 1915), pp. 59-60. Torna al testo

Nota 48 Lettera della giunta direttiva dell'Ac al principe Luigi Buoncompagni, 26 marzo 1916: Isacem, Up, cart. 26, fasc. 3, n. 96; «Corriere d'Italia», s. d.: Isacem, Up, cart. 26, fasc, 4, n. 169. Torna al testo

Nota 49 Le nuove modifiche proposte sul progetto degli orfani, in «SS», 8 (23 aprile 1917). Torna al testo

Nota 50 Lettera di Bettazzi a Della Torre del 20 maggio 1917: Isacem, Up, cart. 24, fasc. 8, n. 143. Torna al testo

Nota 51 Documento dattiloscritto del 24 ottobre 1916: Isacem, Up, cart. 26. fasc. 4, n. 225. Torna al testo

Nota 52 L'articolo incriminato è di Amalia Besso su «Attività femminile sociale» («AFS») novembre 1919. Torna al testo

Nota 53 Sentinella all'erta, in «Bollettino di organizzazione dell'Ufci», 15 dicembre 1919. Torna al testo

Nota 54 M. Patrizi, Per un progetto di riforma del Cndi, in «Bollettino d’organizzazione dell'Ufci», 15 luglio 1920, articolo ripreso in Un conflitto di idee e di tendenze fra le due maggiori esponenti del Mondo Femminile Italiano, in «AFS», 17-18 (15-30 settembre 1920). Segue la risposta della contessa Spalletti. Torna al testo

Nota 55 L. Iannitello, La mano d'opera femminile e la guerra, in «SS», 10 (23 maggio 1917), pp. 142-145. Torna al testo

Nota 56 Si veda M. Patrizi, Problemi del dopoguerra. La smobilitazione femminile, in «Corriere d'Italia», 20 agosto 1918, nonché il documento dattiloscritto di M. Patrizi sulla smobilitazione: Isacem, Up, cart. 25, fasc. 4, n. 203, nonché la documentazione ivi, cart. 25, fasc.1, fasc. 2, fasc. 3, fasc. 4. Torna al testo

Nota 57 Tale frase è in una lettera a Toniolo del 1 settembre 1918: Isacem, Up, cart. 25, fasc. 4, n. 214. Torna al testo

Nota 58 Circolare n. 4, 25 agosto 1918: Isacem, Up, cart. 25, fasc. 4, n. 211. Torna al testo

Nota 59 Verbali di presidenza Ufci, ottobre 1918: Isacem, Up, cart. 21, fasc. 4. Torna al testo  

Nota 60 Relazione presentata alla 26esima sottocommissione del dopoguerra dal Fascio femminile regione lombarda: Isacem, Up, cart. 26,  fasc. 2, doc. 31. Torna al testo

Nota 61 Smobilitazione femminile, in «AFS», 1 (gennaio 1919), p. 11. Torna al testo

Nota 62 Verbali di Presidenza: Isacem, Up, cart. 21, fasc. 4, ottobre 1918. Torna al testo

Nota 63 Seduta della ventiseiesima sessione 19 febbraio 1919: Isacem, Up, cart. 26, fasc. 2, n. 51. Torna al testo

 

 

Questo saggio si cita: B. Pisa, La guerra delle donne cattoliche (1908-1919), in «Percorsi Storici», 2 (2014)

 

Questo saggio è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

 

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