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Isabella Manchia

Questioni di metodo e di fonti per lo studio della Repubblica sociale italiana
Resoconto del ciclo seminariale curato da Dianella Gagliani per il Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà dell’Università di Bologna

 

Tra ottobre 2013 e marzo 2014, presso il Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà dell’Università degli Studi di Bologna, si è svolto un interessante ciclo seminariale dal titolo Fascismo e collaborazionismo. Rsi e dintorni. Questioni di metodo e di fonti a cura di Dianella Gagliani. Lo scopo degli incontri era esaminare alcuni dei temi cardine del fascismo e della Repubblica sociale italiana ponendo l’accento sul metodo e sulle fonti.
La Rsi è stata spesso rappresentata, anche grazie alla memorialistica, come governo che nasce per difendere la penisola dalla barbarie tedesca ed evitarne la “polonizzazione”. In quest’ottica si dipinge il 1943-45 come il periodo dell’occupazione nazista, dello scontro tra tedeschi e partigiani e del nuovo fascismo, che si vuole mostrare distante dall’ideologia dal Ventennio. Si è rafforzato così il mito degli “italiani brava gente” – già applicato nel caso dell’occupazione italiana in Africa e nei Balcani – secondo il quale gli italiani sarebbero una popolazione buona, oppressa dal fascismo, e poi dalla Rsi e dall’occupante nazista, e vittima di una guerra che non voleva.
La mancata metabolizzazione del periodo della Repubblica di Salò dal punto di vista storiografico, politico e sociale è dovuta alla mancata epurazione e all’assenza di una riflessione sul fascismo nella penisola e sui terribili crimini perpetrati dal regime e dai fascisti in Italia e all’estero.
L’indagine storica ha iniziato a squarciare questo velo, mostrando come il fascismo e i fascisti siano stati parte attiva nella guerra civile, quanto le forze armate repubblichine abbiano agito contro i partigiani e la popolazione civile, e quanto il nuovo fascismo abbia perseguitato gli ebrei e contribuito alla loro deportazione (Nota 1).
Ma cosa è stato veramente in Italia e per l’Italia e gli italiani il fascismo repubblicano? Come realizzare una ricostruzione obiettiva e verificabile?
Le lezioni seminariali si sono svolte con l’obiettivo di analizzare in modo approfondito la natura della Repubblica sociale italiana cercando di capire come abbia agito realmente la Rsi, analizzando alcuni aspetti importanti del fascismo repubblichino ancora ammantati dal mito costruito dalla retorica fascista e dalla memorialistica.
Attraverso alcuni temi chiave (autonomia, violenza, tregue d’armi, mito della giovane età, collaborazionismo femminile), le cinque relatrici, prendendo le mosse dalle proprie ricerche concluse e pubblicate, si sono interrogate sui caratteri della Repubblica sociale italiana, spiegando il metodo con cui hanno affrontato lo studio e le fonti da loro utilizzate.

Il primo incontro del 25 ottobre 2013 ha visto come relatrice Monica Fioravanzo sul tema La Rsi e il Terzo Reich: la finzione dell’autonomia sovrana. Attraverso un’analisi comparata delle fonti d’archivio italiane e tedesche Fioravanzo ha smentito la tesi, sostenuta da molta memorialistica e da parte della storiografia, che vede la costruzione della Rsi come scudo per difendere la penisola dai nazisti.
Secondo questa tesi Mussolini si sarebbe sacrificato per evitare che i nazisti applicassero nella penisola la strategia di occupazione utilizzata in Polonia, ma, di fatto, i tedeschi non avevano motivo di riservare all’Italia lo stesso trattamento. Quello di cui avevano bisogno, invece, era un governo sul territorio. La finzione dell’autonomia sovrana era pertanto funzionale al Reich che poteva così utilizzare in modo strumentale l’apparato statale della Rsi, sfruttare economicamente il territorio e mantenere intatta l’immagine dell’Asse.
Nella realtà la Rsi non esercitò un’effettiva sovranità (tra le altre cose non controllava le forze armate e l’apparato statale, e non aveva rapporti diretti con l’estero) ma mantenne sempre un ruolo subalterno. Quando fu istituita la repubblica fascista, infatti, rimasero in vigore i decreti emanati da Hitler nei primi giorni del settembre e nell’ottobre del 1943 mai modificati. Con queste norme il capo del nazismo nominò plenipotenziario in Italia (per il solo territorio della Rsi, escluse le zone di operazioni) il diplomatico Rudolf Rahn, esperto di rapporti con i governi collaborazionisti, come intermediario tra la Rsi e il Terzo Reich in tutte le questioni politiche e creò una serie di strutture di controllo sulla Repubblica sociale, cui concesse ampi poteri amministrativi per lo sfruttamento delle risorse e dell’economia italiane ai fini bellici del Reich (come esempio si può ricordare il ruolo di Albert Speer e del suo ministero della Produzione bellica).
La subordinazione della Rsi di fatto non le impedì di partecipare attivamente ai crimini nazisti e alla persecuzione degli ebrei, né di impegnarsi a fondo nel contrastare la Resistenza.
Emerge pertanto come per Mussolini quella di Salò fosse l’unica occasione per riprendere il potere in Italia e dimostrare così fedeltà al suo ideale, e al Terzo Reich tradito. Fioravanzo afferma infatti che «la molla principale, anche se non esclusiva, che aveva indotto Mussolini e gli altri maggiori esponenti della rsi, era una sorta di fanatica fede nella sorte avvenire del fascismo e della vittoria finale, insieme a un’ostinata volontà di sopravvivenza politica» (Nota 2).

Il seminario del 13 dicembre è stato tenuto da Antonella Guarnieri su Ferrara dal Ventennio alla Rsi. Tra scontri interni ed eccidi, la svolta violenta della Rsi. Tramite un’analisi puntuale delle fonti d’archivio, della memorialistica e delle testimonianze orali, Guarnieri ha realizzato uno studio del fascismo ferrarese e in particolar modo di tutto ciò che ruota attorno all’uccisione del federale Ghisellini e alla conseguente uccisione per rappresaglia di undici civili (Nota 3). Igino Ghisellini, considerato un “moderato”, era un fascista dal glorioso passato militare che, dopo il ritorno del fascismo in città, voleva estromettere dal partito i complottisti e i corrotti. A tale scopo aveva redatto lui stesso una lista dei vecchi gerarchi corrotti che intendeva denunciare pubblicamente durante il congresso del Partito fascista repubblicano a Verona. Proprio la mattina del 14 novembre 1943, quando la delegazione fascista di Ferrara si riunì per raggiungere Verona per l’apertura del congresso del partito, si scoprì l’assenza del federale e, dopo alcune ricerche, fu ritrovato il corpo di Ghisellini, ucciso a colpi di arma da fuoco.
La notizia dell’omicidio arrivò a Verona e il segretario del Pfr Alessandro Pavolini organizzò e ordinò una violenta rappresaglia messa in atto da squadristi di Verona, Ferrara e Padova.
La vendetta fascista si consumò nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1943 colpendo undici civili, i cadaveri dei quali furono ritrovati nei pressi del Castello Estense e in altri punti della città. Era la prima volta che nella Repubblica sociale italiana si uccidevano dei cittadini e, come sottolinea Claudio Pavone, con questo crimine iniziò il percorso che avrebbe portato alla guerra civile (Nota 4).
Tra le vittime della strage del Castello compaiono alcuni antifascisti, ebrei, uomini uccisi più per vendette personali che per militanza antifascista e un ex senatore fascista che scelse di non partecipare alla vita politica della Rsi. Stupisce come tra i giustiziati non figurino comunisti. La strage fu organizzata e compiuta da forze fasciste: le autorità naziste, infatti, intervennero solamente il 15 novembre. Nei documenti tedeschi emerge, peraltro, la disapprovazione per il violento massacro e l’ordine di evitare il ripetersi di simili situazioni.
La ricerca di Guarnieri cerca di fare luce su un momento storico molto complesso e mostra come non sia ancora chiaro chi abbia di fatto ucciso Ghisellini. Sono diverse le versioni attendibili: quella del coinvolgimento fascista e di una vendetta interna al partito; quella del coinvolgimento antifascista; e quella di una sorta di commistione tra le due parti non ancora così nettamente distinte all’inizio della Rsi.
L’analisi dettagliata della strage, e degli avvenimenti precedenti e successivi alla stessa, ha permesso a Guanieri di gettare luce sulle conflittualità interne alla Rsi in città e mostrare come non ci fosse una divisione schematica all’interno dei fascisti tra “moderati” ed “estremisti”, ma bensì tra quelli che, dopo aver governato nel Ventennio, volevano tenere ancora il potere, e quelli che, come Ghisellini, volevano rifondare il fascismo svincolandolo dagli errori del passato. 

Si è così arrivati al 24 gennaio 2014, all’intervento di Roberta Mira sul tema La Rsi, il Terzo Reich e le tregue d’armi con i partigiani. Gli accordi tra gruppi combattenti della Resistenza italiana, da un lato, e nazisti e fascisti, dall’altro, sono un aspetto poco noto della storia del biennio 1943-45, che la relatrice ha potuto studiare attraverso un’analisi di numerose fonti nazionali e locali di parte resistenziale e di parte fascista, e mediante il ricorso alla documentazione tedesca conservata in Germania (Nota 5).
Il tema si presta per fare emergere differenti atteggiamenti e concezioni dell’avversario e della lotta contro il nemico elaborati dalle forze in campo, nonché ad analizzare il tipo di guerra e di contesto in cui tali accordi sono proposti o conclusi. Le tregue per l’interruzione del combattimento o i patti di altra natura, utilizzati dai nazisti accanto alle azioni di forza, come una vera e propria tattica per dividere e indebolire il fronte resistenziale, mettono in evidenza il carattere di scontro tra italiani – partigiani e fascisti della Rsi – della guerra combattuta tra l’autunno 1943 e la primavera 1945 in Italia: i resistenti preferiscono trattare con i tedeschi, considerati non solo più pericolosi, ma anche più affidabili, piuttosto che con i fascisti; questi ultimi, impegnati strenuamente nella lotta interna contro il movimento partigiano come principale fonte di affermazione e di significato al proprio ruolo, in linea di massima rifiutano gli accordi con la Resistenza, preferendo le maniere forti o, tuttalpiù, i patti per lo scioglimento delle formazioni partigiane e il rientro dei resistenti sotto il controllo di Salò, al lavoro o nelle forze fasciste.
Da questo punto di vista l’argomento consente di approcciare il rapporto di alleanza tra la Repubblica sociale e i tedeschi. Dalle fonti, specialmente da quelle di parte fascista, affiorano le critiche e l’insoddisfazione degli uomini della Rsi per il modo in cui i tedeschi portano avanti la lotta contro i partigiani, in particolare le lamentele (anche di Mussolini) per gli accordi e i patti stretti con gli avversari: Salò non può consentire che gli alleati nazisti attraverso le trattative diano una qualche legittimazione ai partigiani, finendo per sminuire la Repubblica sociale agli occhi degli nemici e della popolazione e riducendo ulteriormente il già scarso potere di controllo esercitato da Salò sul territorio.
Infine, il tema mette in luce come, tra i diversi contendenti, solo la Resistenza dimostri di preoccuparsi per le sorti della popolazione civile, cercando di salvaguardarla anche attraverso i patti con i nemici. Il rifiuto della Rsi per le trattative evidenzia invece il disinteresse per i civili italiani dell’ultimo fascismo che accomuna la popolazione ai partigiani e la sottopone alla continuazione della guerra ad ogni costo, a soprusi, ruberie e violenze.

Nell’incontro del 21 febbraio 2014, sul tema La Rsi e i “ragazzi di Salò”: il mito della giovane età,la relatrice Sonia Residori ha parlato della I Legione d’Assalto M Tagliamento. La storia della Legione è stata da lei ricostruita (Nota 6) a seguito di un difficile reperimento delle fonti documentarie sul reparto, andate disperse dopo il principale processo celebrato a carico dei vertici della Legione. Per questo motivo lo studio si è dovuto concentrare sulla documentazione conservata nelle Corti d’assise straordinarie di Brescia e altre città. A queste fonti si è affiancata la memorialistica esistente sul tema, che tuttavia risulta in più parti lacunosa e, soprattutto, reticente: nei testi dei membri della Legione non vi sono accenni, in pratica, ai fatti più sanguinosi della storia della Tagliamento, fatti che videro i legionari come protagonisti, come avvenne nel caso del massacro del Grappa del settembre 1944.
Il reparto si formò, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, per volere del Comando Tedesco da un distaccamento della Divisione corazzata Centauro, giurò fedeltà a Hitler e agì con crudeltà contro partigiani e popolazione civile. La legione operò sempre agli ordini dei tedeschi che la equipararono a un reparto SS, e nonostante agisse con efferata crudeltà e brutalità fu sostenuta, difesa ed elogiata da Mussolini e da Wolff, comandante delle SS e della polizia tedesca in Italia, che definì il gruppo come il migliore a sua disposizione nella lotta ai partigiani.
Le azioni di controguerriglia, apprese da istruttori tedeschi, innescarono una scia di violenza nelle zone di azione del reparto e precisamente in Valsesia, nel pesarese, nel vicentino e in Valcamonica, nel bergamasco e nel bresciano. La brutale e spietata azione di repressione della Tagliamento si abbattè sui partigiani, ma soprattutto sulla popolazione (con devastazioni, incendi, requisizioni, uccisioni) con l’obiettivo di seminare il terrore e di rompere il legame esistente tra i civili e i partigiani.
Della Legione M facevano parte sia militi esperti che molti giovani soldati e Residori nella sua ricerca ha approfondito anche il tema dei “ragazzi di Salò”. Secondo il racconto della memorialistica i giovani volontari si arruolavano in buona fede, ed erano ingenui e innocenti: questo ha fatto della giovinezza il tratto distintivo dei combattenti di Salò, mettendoli in contrapposizione con quanti si arruolavano con più consapevolezza e più primavere nelle file partigiane. Ma non si può ridurre l’esperienza della Rsi a un massacro di adolescenti in armi compiuto dalla Resistenza.
Residori infatti, dopo aver precisato che da sempre sono i giovani che combattono le guerre, afferma che la Tagliamento era composta, nella maggior parte dei casi, di ragazzi sì giovani ma appartenenti alle classi di leva richiamate, mentre sono più rari i casi di militi giovanissimi (ben al di sotto della maggiore età). Una composizione non dissimile da quella della Resistenza, alimentata in gran numero da giovani appartenenti alle classi richiamate e renitenti alla leva fascista. 

L’ultimo seminario del 21 marzo 2014 è stato tenuto da Roberta Cairoli sul tema La prospettiva americana: Rsi e collaborazionismo femminile nelle carte dell’Oss. La relatrice ha ripercorso la sua ricerca sulle donne che operarono nella Rsi (Nota 7) basata sulle carte processuali italiane delle Corti d’assise straordinaria, della Corte Suprema di Cassazione e del Ministero di Grazia a Giustizia, e sulle fonti inedite dell’Ufficio di Controspionaggio dell’Office of Strategic Services conservate a Washington.
La documentazione dell’Oss, servizio segreto americano antenato della Central Intelligence Agency (Cia), fornisce un quadro nuovo e ribalta la prospettiva. La documentazione dei servizi americani è divisa in: blacklist, ovvero elenchi di nomi, profili personali, e descrizioni degli uomini catturati e di quelli da catturare, aggiornate settimanalmente o mensilmente, in cui compaiono tantissime donne; watchlist, ovvero liste di soggetti già interrogati e rilasciati o passati ad autorità italiane che l’Oss continuava a sorvegliare; interrogatori molto dettagliati curati da agenti italo-americani (che quindi non avevano bisogno di interpreti) che, usando la sola pressione psicologica e non la tortura tanto temuta dai prigionieri, riuscivano a cogliere le vere motivazioni esistenti dietro le azioni degli arrestati.
È proprio analizzando i fondi documentari che l’archetipo femminile costruito dal fascismo repubblicano e poi sostenuto dalla memorialistica crolla. L’immagine risultante da tale mito era quella dell’ausiliaria: una donna giovane, di sicura e ardente fede patriottica, di specchiata moralità, non armata e non violenta che si sacrifica per la patria. A partire da questo stereotipo si convogliava tutta l’attività femminile durante la Rsi all’interno del Servizio ausiliario femminile rimuovendo tutte le altre forme di collaborazionismo.
A dispetto del mito, però, le numerose donne del Saf avevano in effetti un ruolo attivo nei servizi informativi e negli apparati repressivi italiani e tedeschi e operavano come spie, confidenti e sabotatrici sia nella Rsi che nel sud occupato dagli Alleati. Fu proprio tra le file delle ausiliarie che i tedeschi scelsero le donne più adatte a compiere missioni di spionaggio, sabotaggio e controspionaggio.
Le spie che raccoglievano le informazioni più importanti lavoravano per gli Uffici politici investigativi (Upi) della Gnr o dell’SD (Sicherheitsdienst) tedesco, svolgendo a volte anche azioni operative, ovvero partecipando, armate, a rastrellamenti, interrogatori, torture. A queste donne si devono aggiungere le collaborazioniste e le delatrici che contribuirono all’arresto, alla tortura e all’uccisione di civili e partigiani.
Per quanto riguarda il giudizio penale sui crimini commessi dalle collaborazioniste, Cairoli parla di “doppio processo”: quello basato sulla condotta morale, e quello incentrato sulle inferiori capacità di giudizio delle donne rispetto agli uomini, considerate inconsapevoli dell’azione compiuta o vittime delle circostanze (anche secondo le dichiarazioni dei difensori e delle stesse imputate). 

Attraverso l’analisi storica e lo studio approfondito delle fonti, si sta pian piano dissolvendo la nebbia creata dalla “leggenda fascista”. Grazie a nuovi contributi di ricerca, e in particolare a quelli passati in rassegna nel corso del seminario, appaiono ora più chiari e più comprensibili i meccanismi interni al governo di Salò e la sua effettiva sovranità, le lotte all’interno del partito, il forte scontro tra gli italiani che scelsero di seguire ancora il fascismo e gli italiani che lo combatterono, e anche il ruolo attivo della donna votata alla causa fascista.
Il contributo fornito dal seminario getta nuova luce su aspetti fondamentali per comprendere la Rsi e mostra come, analizzando con metodo le fonti e confrontandole tra loro, sia possibile indagare maggiormente, e a volte anche riportare a galla, eventi e meccanismi che consentono di ricostruire con sempre maggiore accuratezza il complesso momento storico della Repubblica sociale italiana.

 

NOTE:

Nota 1 Sulle interpretazioni della Repubblica sociale cfr. D. Gagliani, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. Torna al testo

Nota 2 M. Fioravanzo, Mussolini e Hitler. La Repubblica sociale sotto il Terzo Reich, Donzelli, Roma 2009, p. 55. Torna al testo

Nota 3 A. Guarnieri, Dal 25 luglio a Salò. Ferrara 1943. “Nuova” interpretazione della lunga notte, 2G, Ferrara 2005. Torna al testo

Nota 4 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 235. Torna al testo

Nota 5 R. Mira, Tregue d’armi. Strategie e pratiche della guerra in Italia fra nazisti, fascisti e partigiani, Carocci, Roma 2011. Torna al testo

Nota 6 S. Residori, Una legione in armi. La Tagliamento tra onore, fedeltà e sangue, Cierre, Vicenza 2013. Torna al testo

Nota 7 R. Cairoli, Dalla parte del nemico. Ausiliarie, delatrici e spie nella Repubblica sociale italiana (1943-1945), Mimesis, Milano 2013. Torna al testo

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