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Maria Paola Morando

La storia del secondo Novecento nella scuola superiore. Un percorso didattico tra storia e politica

 

1. L’occasione

Due immagini caratterizzano l’inizio delle lezioni di Storia nel settembre 2013 nella classe articolata, composta di studenti del corso Edilizia e del corso Chimica, dell’Istituto tecnico Aldini Valeriani e Sirani di Bologna: quando, con l’aiuto di una lavagna Lim, è cominciato un percorso didattico che richiede, ad anno scolastico finito, una riflessione ed un bilancio.
Queste immagini riguardano il Cile di Allende, evocando il golpe che diede inizio alla dittatura di Pinochet, e la foto di Aldo Moro sequestrato dalle Brigate rosse, quasi un’icona della fine degli anni Settanta in Italia.
Questo è stato il punto di partenza: un anniversario pieno di valore e di significato (in particolare per gli insegnanti cinquantenni, che ricordano in modo diretto i drammatici fatti cileni) e la naturale estensione del discorso agli anni Settanta in Italia (altrettanto intensamente vissuti): anni intensi, controversi, animati dalla partecipazione politica e da miti libertari, attraversati da contestazioni, da ombre eversive, dall’involuzione di alcuni movimenti nella lotta armata, fino al sequestro di Aldo Moro ad opera delle Brigate rosse, col suo tragico esito, sullo sfondo di una gestione politica del caso poco limpida, e che ancora oggi pone pesanti interrogativi.
Di fronte alle domande e alla curiosità degli studenti, impegnati a capire come poter confrontare il decennio degli anni Settanta con la situazione attuale della politica, è emersa la necessità di fare riferimento ai partiti politici italiani, alla loro storia, ai simboli, alle ideologie di fondo e di effettuare una differenziazione tra i partiti postunitari e quelli di massa, novecenteschi, con riferimenti al periodo prefascista e a quello resistenziale e costituente e poi, evidenziando la frattura degli anni Ottanta, verso il periodo del partito “brand” in cui appare evidente la somiglianza tra la procedura di confezionamento e di pubblicizzazione di un prodotto da vendere e quella di confezionamento di una proposta politica e del suo simbolo.

Si era creata così una situazione di non ritorno: come era possibile abbandonare un argomento così denso e così determinante per leggere il presente per tornare al passaggio tra Ottocento e Novecento, ed attendere pazientemente tutto lo svolgersi ordinato della storia primo novecentesca e probabilmente perdersi in essa, con tutti gli spunti di approfondimento che essa offre?
Cosa poter fare, d’altronde, in due ore settimanali di Storia?

La proposta presentata alla classe è stata quella di considerare il programma di Storia diviso in due blocchi, di cui uno dedicato al Primo Novecento e l’altro al periodo dal secondo dopoguerra  ai giorni nostri, in accordo con la scansione presentata dal libro di testo. La novità sarebbe stata quella di affrontare per prima la seconda parte, per poi recuperare gli argomenti della prima, comunque conosciuti a livello generale, perché precedentemente affrontati nella scuola media.

 

2. Le modalità

L’ordine non convenzionale del programma di Storia è stato quindi accettato dalla classe, incentrandosi nella prima parte dell’anno scolastico (fino a tutto febbraio) su alcuni macro-moduli riguardanti il secondo Novecento:

     I.     Le origini della guerra fredda

    II.     La decolonizzazione

   III.     La questione ebraica e la questione israelo-palestinese

    IV.     La distensione

     V.     L’Italia repubblicana dalla ricostruzione agli anni di piombo

Il primo modulo ha permesso di ricostruire l’assetto geopolitico mondiale dopo la seconda guerra mondiale. Ciò ha innescato immediatamente paragoni con la situazione attuale. Lo stesso concetto di “guerra fredda” nel corso dell’anno è tornato di attualità con la crisi ucraina del febbraio 2014. Possiamo considerarla una definizione storicamente circoscritta o si tratta di una condizione che determina ancora i rapporti tra gli Stati? Gli studenti hanno avuto modo di confrontarsi in diretta con i fatti che hanno riacceso le contrapposizioni – particolarmente coinvolti sono stati gli studenti moldavi e lo studente rumeno – spesso confrontando opinioni discordanti e raccontando i pareri di amici e conoscenti.

L’argomento della decolonizzazione è stato particolarmente sentito dallo studente marocchino e da quelli provenienti dal Bangladesh, che hanno riportato racconti “familiari” degli eventi.
Nel momento in cui però lo sguardo è stato rivolto al Medio Oriente, è stato necessario smantellare alcuni luoghi comuni e recuperare le motivazioni lontane e profonde delle contrapposizioni religiose e delle intricate relazioni degli Stati mediorientali con l’Occidente.

In particolare, alla Palestina è stato dedicato quasi un corso monografico, che ha percorso l’arco cronologico dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, per affrontare i problemi alla base e spiegare le origini delle odierne contrapposizioni. In questo ambito, sono state introdotte altre “storie”, riguardanti principalmente la Turchia, l’Egitto, la Persia (poi Iran), l’Arabia Saudita, che attraverso scelte politiche o religiose hanno caratterizzato l’assetto del Medio Oriente.
L’organizzazione tematica è stata la seguente:

  • L’antisemitismo in Europa a fine Ottocento e il sionismo (Theodor Herzl, il Fondo nazionale ebraico)
  • La dissoluzione dell’impero turco dopo la Prima guerra mondiale; l’occidentalizzazione della Turchia
  • La dichiarazione Balfour per la costituzione di una sede nazionale ebraica in Palestina; la creazione dei “mandati”; l’immigrazione ebraica in Palestina; il piano di spartizione della Palestina (Risoluzione Onu n. 181); la nascita della Lega araba; la nascita dello Stato di Israele nel 1947
  • Le guerre arabo-israeliane: 1948-1949; La guerra del Sinai; La guerra dei Sei giorni (1967); La guerra del Kippur (1973)
  • La riaffermazione dell’identità islamica: L’Arabia Saudita e l’Egitto (Nasser e il nazionalismo arabo; la nascita dei Fratelli musulmani)
  • La nascita dell’Olp: Yasser Arafat (settembre nero; le trattative di pace ad opera di Sadat; Carter e Begin e l’assassinio di Sadat)
  • Il maturare dell’ideologia islamista (il fondamentalismo; anni Ottanta: nascita di Hamas e della Jihad islamica); Ariel Sharon e i massacri di Sabra e Chatila (1982)
  • La sconfitta dell’Olp e la prima Intifadah
  • Settembre 1993: Trattative tra Arafat e Rabin e nascita dell’Autorità palestinese.
  • I nemici della pace: Hamas e Eretz Israel; Ariel Sharon e la passeggiata sulla spianata delle moschee; seconda Intifadah
  • Attentati terroristici suicidi e costruzione del muro (2001)
  • La situazione attuale; il riconoscimento della Palestina come “stato osservatore” presso l’Onu.

Il modulo dedicato alla distensione ha avuto il ruolo di collocare nel tempo e nello spazio figure come quelle di Kruscev, di Imre Nagy, di Alexander Dubcek, di Fidel Castro e di Che Guevara; di capire come mai le proteste e le agitazioni avvenute tra la fine del 2010 e il 2011, e in parte ancora in corso in Medio Oriente, nel Vicino Oriente e nell’Africa settentrionale, siano state definite “primavere arabe”. Infine, di collegare all’argomento tanti film visti, specie quelli riguardanti la guerra del Vietnam, compresi quelli di Rambo, commentandone il taglio narrativo e la funzione; di spiegare la montata della contestazione giovanile in America ma anche in Europa, pacifista e libertaria.
La conclusione, del modulo ha riguardato la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Urss, ma anche la dissoluzione della Jugoslavia, con le guerre che hanno caratterizzato gli anni Novanta.

Infine, il modulo dedicato all’Italia ha avuto la seguente scansione:

  • La ricostruzione (Unrra; Piano Marshall; il ruolo di Luigi Einaudi)
  • Dalla monarchia alla Repubblica (il governo Parri; Nenni, Togliatti, De Gasperi; l’Assemblea Costituente e i partiti politici; il governo De Gasperi, il referendum del 1946 e le elezioni; la Costituzione della Repubblica; la svolta del 1947; l’attentato a Togliatti)
  • Il Centrismo (le riforme; scioperi e ordine pubblico; Scelba; le partecipazioni statali (1956))
  • Il miracolo economico (i consumi di massa; le infrastrutture; l’Eni di Enrico Mattei; la Cee; la televisione e lo sport)
  • Dal centro-sinistra al Sessantotto (il superamento del centrismo; le riforme; nuove prospettive a sinistra dopo la morte di Togliatti; la recessione; le lotte studentesche; l’autunno caldo)
  • Gli anni Settanta (terrorismo nero, terrorismo rosso; la strategia della tensione; il compromesso storico; le Brigate rosse: rapimento e assassinio di Aldo Moro; le stragi e i servizi segreti deviati).

Il limite temporale ultimo è stato determinato dall’urgenza di dedicare un tempo scolastico congruo alla trattazione sintetica degli eventi chiave della storia primonovecentesca; non sono stati comunque tralasciati riferimenti a fatti chiave degli anni Ottanta, come il pentapartito, il governo Craxi, il fenomeno delle televisioni private, il Partito socialista di Craxi, la scoperta della Loggia P2, Tangentopoli, la riforma elettorale e il formarsi dell’Ulivo e della Casa delle libertà.

 

3. Le motivazioni

Una delle motivazioni di fondo delle scelte didattiche e dell’organizzazione del piano di lavoro è legata al desiderio di esaminare la storia andando a cercare le “radici del presente”. La formula sembra retorica ma rispecchia esattamente l’operazione di continuo confronto tra eventi e moventi che si effettua nella scoperta del sistema di relazioni che spiega il presente.
Alle lezioni del lunedì gli studenti arrivavano con i commenti dei fatti della settimana, alimentati dalla conoscenza che piano piano si andava accrescendo circa le questioni che l’attualità conduceva ad esiti imprevisti e densi di sviluppi ulteriori; anche se mediamente si trattava di studenti non molto puntuali nello studio, i più avvertiti tra loro ed i più informati svolgevano un lavoro di correlazione tra i fatti, ponevano domande, garantivano la continuità della “narrazione”. Quali fatti della cronaca sarebbero stati in futuro fatti storici? Quali eventi avrebbero avuto la forza di imprimere cambiamenti irreversibili? Nel corso dell’anno “si è tenuta d’occhio” l’attualità politica (e geopolitica), non importa attraverso quale fonte; alcuni studenti riportavano notizie dai notiziari in lingua, da satellite.
Dal punto di vista scolastico, si stava facendo Storia, o Educazione civica, o Educazione alla cittadinanza?
Il percorso nella contemporaneità è stato nella classe la migliore educazione civica, il migliore esercizio di cittadinanza, attraverso la riflessione sugli accadimenti passati e presenti ma anche sulla modalità della conoscenza degli stessi, sui problemi e sulle implicazioni politiche che il fare storia comporta; con la consapevolezza che l’esercizio del diritto di voto, ormai acquisito nella quinta classe per tutti gli studenti, possa rappresentare un esercizio di scelta e di partecipazione e non di rassegnata ritualità (Nota 1).

 

4. Le norme e la pratica

La prassi didattica normalmente esclude dalla programmazione della quinta classe la storia strettamente contemporanea. Il traguardo raggiunto risulta essere per lo più la guerra fredda, con “cenni” riguardanti le problematiche più recenti e cruciali, che somigliano a ponti lanciati verso una zona di cui non si riescono a vedere con esattezza i contorni.
Il secondo dopoguerra viene compresso nell’ultima parte dell’anno scolastico, in cui maggiore è la fretta legata alle scadenze dell’Esame di Stato e minore la possibilità di addentrarsi nella complessità di un mondo in cui ormai l’Occidente ha perduto centralità, e che prosegue il suo percorso in un’ottica sempre più globale.
Perché è così difficile rispettare la normativa, che pure prevede per la classe quinta la trattazione del Novecento (Nota 2)?
Del problema si è occupata l’associazione Clio ’92, organizzando a Bellaria il seminario Insegnare storia nella scuola secondaria di II grado nel marzo 2009. Fissando la finalità della formazione della “cultura storica”, l’incontro apriva alla problematica del cosa insegnare, del come e con quali strumenti, proponendo tra l’altro ai partecipanti laboratori sui percorsi curricolari. L’ambito considerato riguardava l’intero quinquennio   (Nota 3).
Ancora, di grande interesse è la ricerca effettuata da Milena Rombi, che ha dedicato a questo problema una tesi di dottorato in Pedagogia sperimentale riguardante L’indagine sui livelli di conoscenza, rappresentazioni ed esperienze didattiche degli studenti neo-diplomati dell’Università “Sapienza” di Roma (Nota 4).
L’autrice presenta così le motivazioni della ricerca nell’abstract pubblicato sul sito delle Pubblicazioni aperte digitali della Sapienza:

L’esperienza maturata, come docente, nel campo specifico dell’insegnamento della storia nelle classi terminali delle scuole superiori, implementata dal confronto con numerosi storici contemporaneisti e dall’acquisizione degli esiti di sondaggi recenti sul rapporto dei giovani con l’apprendimento storico, è stata determinante nella messa a fuoco del problema. In particolare, ha consentito di rilevare e approfondire una palese contraddizione: da una parte è ampiamente riconosciuto il contributo che la storia più recente arreca ai fini della comprensione delle “radici del presente”, all’acquisizione di fondamentali competenze di cittadinanza attiva, all’orientamento critico nella complessità del reale; dall’altra si riscontra una diffusa disattenzione alla traduzione di queste finalità in concrete pratiche didattiche, che lascia evaso un bisogno di formazione sulla storia contemporanea non solo chiaramente esplicitato dalla normativa vigente, ma anche particolarmente avvertito dagli stessi studenti. In considerazione del quadro problematico così delineato, la ricerca si prefigge di raccogliere elementi conoscitivi utili a delineare lo stato attuale dell’apprendimento della storia del Novecento al termine della scuola secondaria di II grado, fornendo un primo contributo alla ricognizione dell’esistente in un ambito disciplinare non ancora sottoposto a rilevazione empirica (Nota 5).

Quali motivazioni impediscono la coincidenza tra norma e pratica scolastica?

 

4.1 La “politicità” della storia contemporanea

Un motivo dell’assenza della storia contemporanea nei programmi svolti del quinto anno può essere individuato nell’approccio personale del docente, che può essere più o meno coinvolto nella dinamica dell’attualità, più o meno “militante”; un altro motivo, alquanto scivoloso, può essere costituito dalla “politicità” di alcuni argomenti, in cui l’impostazione del problema, la tesi sottesa possono essere “orientate” e, di conseguenza, l’insegnante può essere contestato per attività di “indottrinamento” o di ingerenza nella formazione dei discenti. Del resto, è del dicembre 2002 una risoluzione approvata dalla Camera dei deputati del Parlamento italiano, che recepisce l’insistenza del deputato Fabio Garagnani sul controllo dei libri di storia, e dell’insegnamento della storia contemporanea in particolare, qui riportata in nota con sottolineature (Nota 6).
Affrontare la storia contemporanea significa fare i conti con la politicità degli argomenti, con la reazione di studenti schierati politicamente, con tesi revisioniste; significa dover stabilire, alcune volte, i termini del civile confronto tra le opinioni e le interpretazioni.

 

4.2 Formazione e aggiornamento

Un argomento altrettanto importante è rappresentato dalla formazione generale degli insegnanti, che sono quegli stessi liceali usciti dalla scuola secondaria con un malfermo corredo riguardante la storia più recente, e poi alle prese con un curricolo universitario altrettanto limitato, se si eccettuano studi specifici (Nota 7). Manca quindi la consuetudine a rapportarsi in ambito scolastico con la storia contemporanea; mancano modelli ed esempi di buona pratica; spesso il lavoro immerge l’insegnante in una fitta trama di adempimenti, alle prese con i bisogni speciali dei propri allievi, tanto da impedirgli di poter approfittare delle proposte innovative che vengono avanzate dagli Istituti storici che fanno capo all’Insmli, (Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia), tra cui il Landis, (Laboratorio nazionale per la didattica della storia), o da associazioni come Clio ’92.
Del resto, l’organizzazione scolastica relega l’aggiornamento degli insegnanti ad un diritto/dovere che non ha nessun tipo di riconoscimento; non solo non ci sono risorse finanziarie disponibili su tale capitolo ma, qualora l’aggiornamento sia oneroso, la spesa ricade sull’insegnante stesso; inoltre è spesso difficile ottenere i cinque giorni annuali di esonero dal servizio per partecipare ad attività di aggiornamento riconosciute, previa sostituzione secondo le norme vigenti nei vari ordini e gradi scolastici. Né tanto meno si prevede che l’insegnante debba sostenere spese in libri per l’autoformazione.

 

4.3 Il fattore “tempo”

La storia del Novecento nella classe quinta deve essere compressa in un orizzonte di tempo molto limitato, che consta di due ore settimanali. Come poter affrontare gli avvenimenti di un secolo così complesso in così poco tempo? Come poter includere repertori visivi, visite guidate, esame delle fonti e della storiografia? Occorre, come ben si conviene, fare delle scelte, tant’è vero che la scelta generalizzata è “arrivare dove si arriva”.
Anche autori ed editori di libri scolastici conoscono il problema: nel libro di testo quest’anno in dotazione alla classe che fa da riferimento al presente contributo, 230 pagine sono dedicate al primo Novecento e 166 coprono il periodo “dal secondo dopoguerra ai giorni nostri”, arrivando a citare il governo Monti.
C’è forse necessità di invertire le proporzioni.

 

5. Considerazioni finali

È necessario uscire dalla logica “scolastica” dello studio e riempire di senso il tempo che si trascorre con gli studenti. È alienante il meccanismo ripetitivo e ragionieristico con cui spesso i nostri studenti, specie nelle scuole tecniche, gestiscono i contenuti appresi a scuola nelle materie umanistiche. Un blocco di contenuti da restituire nella successiva verifica: un lavoro svolto senza amore, con l’idea che un “copia incolla” fatto di nascosto possa egregiamente risolvere il problema. Tale assunto vale anche per la storia della letteratura, di cui si potrà ragionare in un altro momento.
Né si tratta di inseguire gli studenti sul versante della tecnologia, seppure sia un vero peccato non approfittare di tutti i repertori e delle immagini che oggi sono facilmente reperibili; si tratta piuttosto di lavorare insieme alla costruzione di coordinate alle quali ognuno potrà fare riferimento nell’elaborazione del proprio personale percorso.
Qui forse sta la sfida insita nella relazione tra insegnante e studente, in cui possano trasparire anche passioni e insofferenze, giudizi, prese di posizione, governate dal metodo ma aperte alla creatività. La storia, ma anche la storia della letteratura; ogni ambito nel quale si ha a che fare con le idee, richiede chiavi interpretative, le più ampie possibile, ma anche la partecipazione, che porta a scegliere le chiavi interpretative preferite.
Nella cultura dell’impermanenza in cui tutto si trova in rete e altrettanto velocemente si perde, perché immateriale, occorre creare punti di riferimento e criteri di lettura, di valutazione di ciò che si legge: un esempio ne è le ricerca autonoma di contenuti da parte degli studenti, che inevitabilmente porta alla discussione metodologica sul fare storia, a contatto coi revisionismi, con l’uso politico della storia, con i riferimenti alla politica. Si impara anche che in alcuni contesti non si hanno risposte certe per mancanza di elementi di giudizio; che le questioni più intricate, viste a qualche decennio di distanza, spesso rivelano una propria logica.
L’approccio alla storia contemporanea richiede continuità e costruzione in classe, nel lavoro che si snoda di settimana in settimana, di quelle logiche, di quei fili rossi, che rendono affrontabile la complessità dei nuovi contesti che vengono offerti dall’attualità e che vanno individuati insieme agli studenti; non può essere sviluppato a scuola solo tramite lezioni speciali, moduli esemplari su argomenti circoscritti.
Trattare di storia contemporanea rappresenta anche un’occasione di incontro tra le generazioni; richiede l’integrazione delle memorie individuali con la memoria collettiva. Quale adulto racconterà la propria percezione degli avvenimenti dei trent’anni precedenti la nascita dei nostri studenti? Sempre più rari sono infatti i racconti familiari; quando ci sono, sono spesso i nonni ad esserne protagonisti, ma quasi mai i genitori. Per la prima volta quest’anno mi è capitato di parlare in classe “da testimone”, facendo emergere il vissuto emotivo personale di fronte ad alcuni eventi cruciali, precisando che stavo indossando una particolare veste: quella dell’una fra tutti, non quella predominante (o specialistica) dell’insegnante.

 

NOTE:

Nota1 Gli studenti provenienti da altri Paesi si mostrano piuttosto informati sul quadro politico attuale in Italia. Sul voto agli stranieri in Italia la nostra fonte è stata: M. Mezzanotte, Il diritto di voto degli immigrati a livello locale, ovvero la necessità di introdurre una expansive citizenship, 1 novembre 2012, in www.forumcostituzionale.it. Torna al testo

Nota 2 Si fa qui riferimento alle Indicazioni Nazionali del 2010 e alla Relazione illustrativa del D.M. 682/1996. Torna al testo

Nota 3 I riferimenti sono reperibili sul sito: www.clio92.itTorna al testo

Nota 4 M. Rombi, La conoscenza della storia del Novecento in uscita dalla scuola secondaria di II grado, in «Ricerche Educative Sperimentali», 4 (2013); parzialmente in http://hdl.handle.net/10805/1602 e in books.google.it. Torna al testo

Nota 6 Risoluzione 7-00163 (Approvata dalla 7a Commissione della Camera l'11 dicembre 2002):
Premesso che:
in riferimento al prossimo inizio dell’anno scolastico è opportuno chiarire alcuni problemi connessi all’insegnamento della storia nella scuola di ogni ordine e grado;
l’insegnamento della storia pone oggi problemi complessi ed in gran parte nuovi. La storiografia ha subito una vera e propria rivoluzione nel corso dell’ultimo cinquantennio e contemporaneamente si sono enormemente ampliate le possibilità di fornire informazioni storiche e mettere a confronto pubblicamente tesi ed interpretazioni contrastanti;
è in atto, inoltre, una riconsiderazione del ruolo della storia nel quadro complessivo della formazione dei giovani. La riforma dei programmi d’insegnamento ha dato ampio spazio alla storia contemporanea e particolare rilievo ha assunto il rapporto fra la ricostruzione storica dell’identità nazionale e la prospettiva dell’unificazione europea;
il Consiglio d’Europa ha di recente adottato la prima raccomandazione sull’insegnamento della storia in Europa nel XXI secolo: il documento, nell’ottica della promozione della dimensione europea dell’insegnamento, stigmatizza l’incompatibilità con i principi fondamentali del Consiglio d’Europa delle falsificazioni e delle manipolazioni ideologiche della storia. È indubbio che negli ultimi anni nella scuola italiana è prevalsa una visione ideologica che ha sovente alterato fatti storici incontrovertibili per fini di parte, in una pura ottica politica;
la necessità di delineare principi in base ai quali elaborare un metodo più appropriato per un corretto e non strumentale insegnamento della storia – quella contemporanea in special modo – è, dunque, avvertita con forza; si pensi, ad esempio ad un momento particolarmente significativo dell’attività della scuola come quello dell’adozione dei libri di testo: il libro di testo è lo strumento didattico ancora oggi più utilizzato mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e di apprendimento. Esso rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica, lo strumento attraverso il quale i ragazzi formano la propria conoscenza critica: possiamo, dunque, lasciare che un manuale di storia venga scelto ignorando quei criteri di trasparenza e di “laicità” che lo rendono un viatico prezioso per lo studente che voglia acquisire una cultura davvero completa;
lo studio della storia svolge una funzione centrale nel processo formativo fin dagli anni dell’infanzia: le categorie sono delle chiavi di lettura fondamentali di tutta la realtà e lo studio della storia ha un ruolo fondamentale nella strutturazione della memoria e della coscienza nazionale e di gruppo;
la storia – proprio perché non è mera conoscenza di nomi, di date, di avvenimenti – bensì analisi complessa e tentativo di spiegazione, tende ad utilizzare tutte le scienze umane e sociali e a raccordare incessantemente tra loro fatti politici ed economici, culturali e religiosi; essa è strumento di maturazione culturale e civile del giovane e per questo motivo deve essere insegnata tenendo conto di tutti i filoni della storiografia e con grande rigore scientifico;
impegna il Governo:
ad attivarsi, collaborando con le istituzioni scolastiche e nel rispetto della loro autonomia, per far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado l’insegnamento della storia, in particolare di quella contemporanea, si svolga secondo criteri oggettivi rispettosi della verità storica e della personalità dei discenti attraverso l’utilizzo di testi di assoluto rigore scientifico che tengano conto – in modo obiettivo – di tutte le correnti culturali e di pensiero, per un confronto democratico e liberale che assicuri un corretto approfondimento del passato, in special modo di quello più recente. Torna al testo

Nota 7 Si veda: G. Greco, Un possibile futuro per la formazione degli insegnanti di Storia, in R. Parisini (a cura di), La formazione degli insegnanti di Storia: bilancio delle SSIS e prospettive, allegato a «Storia e Futuro», 22 (2010) (reperibile sul sito: www.storiaefuturo.it). Torna al testo

 

Questo contributo si cita M. P. Morando, La storia del secondo Novecento nella scuola superiore. Un percorso didattico tra storia e politica, in «Percorsi Storici», 2 (2014)

 

Questo contributo è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

 

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