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Daniele Biacchessi, Giovanni e Nori. Una storia di amore e di Resistenza, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 184

(Iara Meloni)

 

Raccontare la storia di due vite, normali ed eccezionali al tempo stesso, e inserirle in un affresco più ampio. Costruire un racconto che va a toccare le tappe centrali dell’antifascismo e della Resistenza, ma anche di un bel pezzo – lungo quasi un secolo – di storia del nostro Paese, con le sue aporie e le sue contraddizioni. Seguire, attraverso l’eredità di scritti e interviste, le tappe biografiche di due personaggi centrali della lotta di Liberazione e farne il cuore di una rete che man mano si allarga – nome per nome, luogo per luogo – fino a diventare una grande storia collettiva. Ingrandire e restringere il campo – proprio come farebbe una macchina da presa – passando di continuo dal pezzetto di realtà che via via si trova davanti agli occhi dei protagonisti, allo scenario mondiale, mettendo in luce connessioni e fili rossi. Tutto questo fa Daniele Biacchessi, giornalista, scrittore e caporedattore di Radio 24, in Giovanni e Nori. Una storia d’amore e di Resistenza.
A guidarci in questa appassionante scoperta della Resistenza, dai suoi prodromi ai suoi lasciti materiali e ideali, sono le vicende di due tra i partigiani più noti, i gappisti Giovanni Pesce e Onorina Nori Brambilla, con la loro storia d’amore iniziata tra le fila dell’esercito di Liberazione e durata una vita intera.
Riprendendo la passione per il teatro civile, Biacchessi ci trasporta in una storia avvincente fatta di piccoli quadri di vita vissuta dove, ciak dopo ciak, le vicende dei protagonisti si sviluppano tra le pieghe del Novecento, anche quelle più oscure, fino a diventare una storia nella Storia.
Giovanni Pesce nasce a Visone d’Acqui, paese di poco più di duemila abitanti della provincia alessandrina, nel 1918. Sono gli anni della violenza squadrista, della marcia su Roma, della trasformazione del fascismo da movimento a regime. Suo padre Riccardo è un socialista e come tanti oppositori in quegli anni è costretto ad emigrare. La famiglia si trasferisce così in Francia, a La Grand’ Combe, nella regione mineraria delle Cévennes. Lì, per integrare il magro salario del marito, la mamma di Giovanni allestisce una cantina, luogo di ritrovo e di discussione tra fuorusciti, dove il bambino ascolta i primi discorsi sullo sfruttamento, sull’ingiustizia, sulla lotta di classe. Giovanni inizia così a porsi delle domande, che trovano risposta quando anche lui, come già aveva fatto suo padre, scende in miniera e sperimenta sulla sua pelle le condizioni inumane di vita e lavoro. Lì «fra il peso dell’emigrazione, il lavoro, la fatica, la miseria, la miniera» (p. 20) maturano in lui una profonda coscienza di classe e un attivo sentimento rivoluzionario, che lo porteranno ad aderire al Partito Comunista. Sarà sempre quella intransigente coscienza politica che lo porterà, all’indomani del golpe franchista, a falsificare i documenti per arruolarsi appena diciannovenne nelle Brigate Internazionali. In terra di Spagna il giovane Giovanni apprende le basi della guerriglia e conosce personalità di spicco dell’antifascismo italiano come Luigi Longo e Ilio Barontini. Soltanto la sconfitta del Frente Popular lo spinge, dopo un’ultima trionfale sfilata lungo la Diagonal di Barcellona, a rientrare in Francia. Giovanni si accorge però che il Paese è cambiato. Comunisti, antifascisti, reduci della Spagna vengono perseguitati ed arrestati. Pesce torna clandestinamente in Italia, ma viene quasi subito individuato e mandato al confino a Ventotene. Sull’isola – tra le conversazioni con Eugenio Curiel e le lezioni di Pietro Secchia – Giovanni si convince delle sue idee ed elabora un concreto progetto di lotta.
All’indomani dell’8 settembre, «quando termina la guerra del Regime e comincia la guerra dell’Italia partigiana» (p. 51) Pesce raggiunge Torino – città operaia e colpita al cuore dai massicci bombardamenti – e diventa “Ivaldi”, comandante dei Gruppi di azione patriottica. Sono gli anni più noti della sua biografia, quelli dei Gap, i nuclei clandestini costituiti dal Partito comunista per combattere gli occupanti e i loro alleati fascisti senza temere “il ricatto della rappresaglia”, con eclatanti azioni di guerriglia, omicidi mirati e sabotaggi.  Dopo mesi di imprese strategiche coronate da successo, nel maggio 1944 un colpo va male e, durante il sabotaggio di una stazione radio, Giovanni e i suoi gappisti vengono sorpresi. Solo lui si salva, trascinando via con sé un giovane compagno, Dante Di Nanni, ormai in fin di vita. La sua morte rimarrà uno degli episodi più raccontati, quasi mitici, della storia della Resistenza. Ormai braccato, Giovanni viene trasferito a Milano. Là conosce la staffetta partigiana Onorina Brambilla, animata anch’ella da una nitida coscienza politica, maturata tra le case operaie dei sobborghi industriali milanesi e l’ingiustizia della fabbrica, e le loro esistenze si uniscono. Sono i mesi eroici ed indimenticabili del Terzo Gap, di “Sandra” e del Comandante “Visone”, sono i mesi che li consegneranno alla storia. Un impegno pagato a caro prezzo. Nel settembre 1944 infatti Nori, ormai troppo esposta, viene arrestata e deportata nel campo di Bolzano, dove rimane per alcuni mesi.
Ma per “Sandra” e “Visone” sarà solo una breve separazione. I due si ritroveranno infatti all’indomani della Liberazione per non lasciarsi più, continuando a coltivare l’impegno comune per la costruzione della nuova Italia democratica. Insieme vivono anche le tappe storiche del dopoguerra e la delusione per una realtà politica che non sempre riesce a soddisfare le aspettative, con la messa da parte delle volontà di rinnovamento e la sospetta continuità di apparati statali gravati da pesanti retaggi fascisti.
Il racconto di Biacchessi segue i protagonisti anche negli ultimi anni del loro impegno pubblico, mettendone in luce la costante volontà di confronto politico, la coerenza, e l’impegno per la memoria e la diffusione dei valori della Resistenza. Vediamo qui Giovanni e Nori dialogare con quei giovani che, negli anni Settanta, «dichiarano guerra allo Stato in tempo di pace» (p. 146), ispirandosi proprio alle gesta dei Gap e finendo per travisarle. Li vediamo seguire tappa per tappa la parabola del Partito comunista, fino all’impegno tra le fila di Rifondazione comunista. Seguiamo il loro operato come attivisti dell’Anpi, intenzionati più che mai a combattere il revisionismo e i nuovi fascismi che dilagano, soprattutto tra i più giovani.
Molto scorrevole e di piacevole lettura, il testo di Biacchessi riesce a privilegiare la dimensione narrativa senza risparmiare la puntualità di date, nomi, eventi. Così, attraverso la lente dei sentimenti e delle passioni, la storia diventa conoscibile, per un pubblico più ampio che magari preferisce accostarsi alla narrativa piuttosto che a manuali e saggi – ed anche riconoscibile – leggibile nelle emozioni, negli amori e nelle paure di personaggi mitici della Resistenza, che però sono anche persone, ragazzi, giovani innamorati. Non a caso il libro si chiude con una postfazione di Tiziana Pesce, che ci ricorda come dietro al comandante “Visone”, l’eroe, l’uomo pubblico, ci fosse Giovanni «uomo schivo e generoso, con le sue fragilità e le sue consapevolezze, con quella erre moscia che faceva una grande tenerezza». Così come “Sandra” non è che mamma Nori «con la sua passione, il suo realismo, la sua riservatezza e il suo senso dell’umorismo» (p. 156). Un lavoro particolarmente rivolto alle «nuove generazioni» che, attraverso «il racconto di due vite straordinarie fatte di impegno civile e di passione politica» (p. 156), possono appropriarsi di una storia partigiana, fatta di fiera e mai rinnegata coscienza di classe e comunista. Due storie nella Storia appunto, intrise di una coerenza «che si ritrova solo in chi ha pagato di persona le proprie scelte, sopportando prove durissime e battaglie terribili nelle quali la speranza sembrava soccombere» (p. 156).

 

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