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Stefania Bazzanella

Abuelas y Madres de Plaza de Mayo, H.I.J.O.S. y Nietos. Un percorso di conoscenza dell’Argentina attraverso alcune interviste

  

Agli occhi degli italiani l’Argentina appare come una seconda patria, quella che accolse milioni dei nostri progenitori a cavallo fra il XIX ed il XX secolo. Fiumi di persone si diressero verso questa terra remota con la speranza di incontrare un luogo che potesse garantire un buon futuro alle generazioni a venire. Così, nello storico quartiere italiano della Boca, nacque il tango, l’affascinante ballo di coppia che attira ogni anno orde di turisti.
L’Argentina, però, è stata purtroppo teatro di uno dei genocidi più cruenti della storia. Negli anni dal 1976 al 1983 il potere fu detenuto da una giunta militare che instaurò nel paese una feroce dittatura; il risultato fu la scomparsa di circa 30.000 persone, persone che ebbero la sfortuna di essere annoverate tra i nemici dello Stato (Nota 1). Fu un periodo devastante per questa terra di migranti e molti dei discendenti degli italiani che l’avevano abbracciata con speranza finirono coinvolti in questo ciclone della morte, che con la sua furia attirò a sé tutti coloro che avevano un’opinione divergente da quella imposta dal governo.
La reazione di gran parte della popolazione fu quella di rinchiudersi nel silenzio più assoluto. Era fondamentale calibrare il peso di ogni parola poiché una di troppo avrebbe portato alla morte. Questo muro che si era creato all’interno della società non riuscì però a fermare un gruppo di donne che cominciò ad urlare a gran voce ciò che i militari cercavano di tenere nascosto dietro un palco di menzogne. Successivamente, durante la democrazia, furono affiancate da un gruppo di giovani che, stanchi dell’impunità imperante, decisero di lottare pacificamente per cambiare il corso degli eventi.
Rompere il muro del silenzio però, come si sa, è un’azione che necessita tempo.
La battaglia cominciata negli anni Settanta prima dalle Madres de Plaza de Mayo (Madri di Piazza di Maggio) e poi in seguito dalle Abuelas de Plaza de Mayo (Nonne di Piazza di Maggio, associazione nata successivamente a quella delle Madres) è una lotta che non ha fine e grazie alla tenacia di queste donne è riuscita ad ingrossare le file delle associazioni che si occupano dei diritti umani. La testimonianza di persone che hanno vissuto sulla propria pelle il clima di terrore che imperversava nell’Argentina di quegli anni è anche un modo per comprendere il bisogno di una lotta odierna che non può dirsi conclusa. I nietos (nipoti) che le Abuelas cercano assiduamente vivono ancora una schiavitù inconsapevole, in quanto sono stati catapultati involontariamente in una realtà fittizia che non appartiene loro, occorre quindi lottare per ristabilire anche questa verità. 
Attraverso un lungo soggiorno in Argentina e l’ascolto diretto dei testimoni, il mio lavoro di tesi si è concentrato sul cercare di comprendere l’opera intrapresa da tali associazioni (Nota 2). Grazie ad alcune interviste sono infatti riuscita a ricostruire la storia di Madres, Abuelas e H.I.J.O.S. (associazione Figli e figlie per l’identità e l’ingiustizia contro la dimenticanza ed il silenzio) e a capire come queste associazioni mantengano viva la memoria di quegli anni. Il confronto delle testimonianze orali con fonti coeve mi ha permesso di unire i tasselli del mosaico della storia argentina coniugando quindi l’esperienza del mondo privato con quella del pubblico.
I racconti di queste persone mi sono apparsi come fiumi in piena che per continuare a scorrere hanno bisogno di straripare. Al di là della mia singola esperienza, ascoltare le parole di chi è stato messo a tacere per troppo tempo è un passo necessario per sanare le ferite del passato e riportare alla luce storie di vita che rischiano di rimanere sconosciute. Come è stato detto la memoria è «l’atto narrante di un individuo in un contesto sociale, nel tentativo di conferire significati condivisibili a certi eventi, o aspetti del mondo ed eventualmente di metterne in secondo piano altri» (Nota 3). Il racconto di questi eventi è proprio parte del tentativo di creare una memoria che sia il più possibile condivisa e che aiuti a far chiarezza sul passato.
Il problema principale del ricordo, però, è la sua imprecisione. Il processo del ricordare permette di rielaborare e trasmettere significati del passato al presente attuale. È inevitabile quindi dover tener conto della possibile presenza di lacune o contraddizioni. Chi si mette in gioco ed affronta questo procedimento spesso si lascia coinvolgere dalle emozioni e ciò può portare alla modifica del ricordo. L’aggiustamento costante è una conseguenza necessaria per poter vivere nel presente. Quest’incompletezza della memoria a volte può avere anche un risvolto positivo; rielaborare un ricordo significa anche scontrarsi con significati del passato che in precedenza non erano apparsi evidenti.
Le interviste sono dei momenti molto intimi in cui spesso, se prive di una struttura rigida, ci si abbandona ad un racconto impetuoso in cui emergono informazioni inaspettate che, tuttavia, completano maggiormente il quadro della situazione. Un esempio lampante è un avvenimento fondamentale della vita di Irma Roja, una abuela da me intervistata: la morte del nipote.
Si tratta di un episodio avvenuto qualche anno fa, ma connesso strettamente con i tempi bui della dittatura. Riguarda il figlio del secondogenito di Irma, Horacio Antonio Altamiranda, sequestrato assieme alla moglie il 13 maggio del 1977.
Il bambino assistette al sequestro dei genitori e in età adulta, incapace di cancellare quel tremendo ricordo, morì suicidandosi. Ascoltare questo nuovo lutto nella famiglia di Irma ha significato comprendere ancora di più il perché sia necessaria questa lotta odierna, il come eventi passati continuino a riemergere e a pesare sul cuore di molti e su un’eventuale pacificazione della società.
Un altro tema fondamentale, ribadito durante l’intervista, concerne l’impossibilità di piangere il proprio figlio in un luogo concreto. La mancanza di una tomba, come afferma Irma, la pone in una condizione temporale non determinata. La sua continua lotta vuole essere una battaglia per riportare a galla la verità, poter finalmente sapere dove posare un fiore in ricordo di suo figlio. Le lacune che caratterizzano le vicende dei desaparecidos vanno colmate per poter dare una forma definita, anche fisica, alla loro memoria.
Il vissuto dei protagonisti diventa di fondamentale importanza, e l’ascolto diretto delle loro testimonianze aumenta il peso del loro vissuto. Leggere ad esempio che il nieto Pablo Gaona Miranda ha dovuto cambiare le generalità dopo l’esito del test del Dna non è lo stesso che udire con le proprie orecchie cosa veramente significhi abbandonare da un giorno all’altro un’intera vita: non solo perdere il nome proprio, Leandro, datogli dagli “appropriatori” (le famiglie cui venivano affidati i figli dei desaparecidos), bensì scavare in un nuovo passato, interrompere relazioni familiari, andare alla scoperta della famiglia che aveva perseverato durante gli anni nella ricerca del ragazzo, crearsi una nuova identità che in verità è quella che gli era stata data inizialmente assieme al dono della vita.
Ascoltare in prima persona la storia di vita di Pablo mi ha fatto comprendere come l’esistenza di questi adulti sia stata pilotata sin dall’infanzia.
Nel caso di Pablo, ad esempio, nel momento in cui questi rimase disoccupato, gli venne proposta la carriera militare dal padrino che, da militare, cercò di intercedere affinché Pablo potesse entrare nel Collegio militare della nazione. Posizionare il figlioccio in un posto lavorativo così antitetico alle vicende dei genitori biologici risultava essere una perfetta copertura per proseguire con l’occultamento della verità e per legare ancora di più il “figlio” alla nuova famiglia. È questo uno dei motivi per cui le associazioni si impegnano costantemente nella divulgazione degli episodi del quinquennio dittatoriale, unico modo per far sorgere dei dubbi nei giovani che hanno notato alcune anomalie all’interno del loro nucleo familiare, sapendo di essere nati all’epoca dei desaparecidos.
Lo stesso Pablo ha ribadito più volte come sia stato fondamentale l’ascolto di un nieto ritrovato e come la televisione possa essere utilizzata positivamente in questo senso, ovvero per cercare di risvegliare gli animi assopiti di coloro a cui è stata rubata un’intera vita.
Anche la vicenda di Carlos Rice Cabrera, un membro dell’associazione H.I.J.O.S., è piuttosto peculiare, nonostante sia nato in epoca “democratica” (1985) e abbia avuto la fortuna di crescere affiancato da entrambi i genitori, questi ultimi per un certo lasso di tempo sono stati annoverati nelle lunghe liste di desaparecidos riuscendo però, grazie ad un’abile mossa diplomatica da parte dell’ambasciata irlandese, ad uscire incolumi dai luoghi di prigionia. La vita del padre, mutata radicalmente già in precedenza dopo aver abbandonato l’abito talare per essersi innamorato della sua compagna di prigionia, ebbe un’ulteriore svolta dopo la liberazione. Il suo impegno divenne quello di dedicarsi interamente alla lotta per i diritti umani.
Ascoltando i racconti di Carlos, si evince come quest’episodio abbia determinato la sua educazione familiare e come sin da piccolo sia stato a stretto contatto con svariate organizzazioni operanti in tale ambito. Dopo la prematura morte del padre, Carlos prosegue con maggior entusiasmo la causa abbracciata da quest’ultimo presenziando attivamente agli eventi, ma non solo, dell’associazione di cui fa parte.
In verità, la stragrande maggioranza dei giovani argentini milita nelle file di un partito o in organizzazioni per i diritti umani. L’attiva partecipazione del mondo giovanile alla sfera politica è un aspetto che mi ha colpito particolarmente, soprattutto se comparato al sistema italiano.
Sicuramente gli eventi vissuti nel secolo scorso hanno inciso sull’affluenza alle manifestazioni politiche del paese; il messaggio è chiaro: il passato non deve ripetersi, anzi deve essere una lezione che va scolpita nella mente. Ecco perché aver ascoltato Carlos, ma anche altri giovani militanti, ha significato recepire l’amore che questi nutrono per la loro madrepatria ed il loro grande desiderio, nonché bisogno, di dare forma a questa memoria attraverso le svariate attività che propongono.
Dopo aver ammirato le piastrelle commemorative create da una delle commissioni di H.I.J.O.S., in ricordo delle vittime della dittatura, il semplice passeggiare nelle chiassose vie di Buenos Airesha acquisito un nuovo significato. Imbattersi in una di queste opere d’arte voleva dire fermarsi, riflettere, ragionare sull’importanza del dare un nome, un volto a questi 30.000 desaparecidos.
L’incontro con Carlos mi è stato inoltre di grande aiuto dal punto di vista pratico. Grazie a lui sono venuta a conoscenza dell’esistenza di alcuni processi settimanali, denominati “giudizio e castigo” che oltre a rispondere al bisogno di giustizia, sono fondamentali per divulgare quanto accaduto e per costruire una memoria collettiva.
Non tutto però procede in maniera lineare, il lavoro delle diverse associazioni si è infatti diviso in seguito ad alcuni avvenimenti.
L’intervista che ho potuto fare a due delle Madres dell’associazione Madres de Plaza de Mayo (Mercedes de Medoño e Elsa De Manzotti) mi ha permesso di capire il distacco reale che esiste fra le due associazioni Madres de Plaza de Mayo e Madres de la Línea Fundadora.
Lo spartiacque che si è creato con l’avvento della democrazia di Alfonsín e la sua offerta di un indennizzo, come riparazione morale per acquietare la rabbia delle Madres, ha determinato una frattura che ha spaccato irrimediabilmente la piazza che le aveva unite, facendole schierare su due fronti opposti. Le due Madres che ho intervistato hanno ribadito più volte come la loro posizione ideologica divergesse da quella delle Madres de la Línea Fundadora, citando ad esempio il pañuelo (fazzoletto), simbolo emblematico di entrambi i gruppi.
Il loro fazzoletto non porta più il nome del figlio/figlia desaparecido bensì la scritta aparición con vida (apparizione con vita), scritta che sintetizza il desiderio delle Madres di abbracciare una maternità collettiva estesa a tutti i 30.000 desaparecidos.
La rigidità con cui si è sviluppata l’intervista ha fatto trapelare il loro timore di essere additate come portavoce del governo Kirchnerista, nonché fruitrici di sovvenzioni statali che le hanno coinvolte in uno scandalo di corruzione e cooptazione. La continua partecipazione dell’associazione all’attività del governo prima di Néstor e successivamente di Cristina Kirchner le ha messe in cattiva luce, soprattutto quando la presidente Hebe de Bonafini è stata accusata di riciclaggio di denaro nel progetto Sueños Compartidos.
Per questo motivo le due Madres ci hanno tenuto a sottolineare la apolicità dell’associazione, nonostante ammettano una certa gratitudine nei confronti dell’ex-presidente, il primo che mise memoria e diritti umani fra le priorità del suo programma.
Il lavoro per il ricordo dei loro figli è comunque strettamente connesso al governo Kirchnerista, promotore di progetti della memoria, e lo si nota chiaramente entrando nella Casa de las Madres. Vicino alle foto ed ai fazzoletti che pendono dal soffitto si scorgono le foto dei Kirchner assieme ad altre icone del populismo argentino.
Ciò dimostra come la società argentina abbia un estremo bisogno di riunire i pezzi della sua storia frammentata per fare chiarezza sulle varie ombre che oscurano il suo passato e come per fare questo si affidi a personalità politiche in grado di incidere sull’opinione pubblica. La creazione di una memoria collettiva è indispensabile, in quanto percepita come restituzione sociale; la negazione della morte delle vittime non dovrà mai essere accompagnata dalla negazione della loro memoria e per continuare in questa direzione è necessario che l’intera società lavori per un obiettivo comune. Per questo le associazioni, e le diverse persone che ne fanno parte, si impegnano quotidianamente in attività di vario genere. Conoscere queste persone e poter ascoltare le loro parole mi ha permesso di comprendere l’importanza di questo percorso.

  

NOTE:

Nota 1 Numerosi sono gli studi che si sono occupati della dittatura in Argentina; per una sintesi si veda M. Novaro, V. Palermo, La Dictadura Militar 1976/1983: del golpe de Estado a la restauraciòn democrática, Paidòs, Buenos Aires 2003. Torna al testo

Nota 2 La tesi magistrale dal titolo Argentina oggi. Abuelas y Madres de Plaza de Mayo, H.I.J.O.S, Nietos, è stata discussa nell’a.a 2012-2013 presso l’Università degli Studi di Bologna, Scuola di Lingue e letterature, traduzione e interpretazione, Corso di Laurea magistrale in Lingua e cultura italiana per stranieri; relatore prof.ssa F. Tarozzi, correlatori dott.ssa S. Salustri, prof. Roberto Vecchi.  Torna al testo

Nota 3 L. Passerini, Storia e soggettività, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1988, p. 107.  Torna al testo

 

Questo contributo si cita: S. Bazzanella, Abuelas y Madres de Plaza de Mayo, H.I.J.O.S. y Nietos. Un percorso di conoscenza dell’Argentina attraverso alcune interviste, in «Percorsi Storici», 3 (2015) [www.percorsistorici.it]

Questo contributo è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

 

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