Home

 PDF

Torna all'indice

Tania Rusca

«Mädchen und Frauen, Raus aus dem Finsternis!» (Donne e ragazze, fuori dal buio!). Donne tedesche e partiti politici tra propaganda e pubblicità negli anni della Repubblica di Weimar

 

«Donne, ragazze, fuori da buio!» Questo l´appello di un manifesto (Nota 1) del Deutscher Werbedienst, il Servizio propaganda della Repubblica di Weimar, in occasione delle elezioni dell’Assemblea nazionale prevista per il 19 gennaio 1919 (Nota 2). Per la prima volta nella storia tedesca e tra le prime in Europa, anche le donne furono chiamate al voto: la Germania si collocava in un generale movimento per il suffragio femminile (Nota 3), concedendo il diritto di voto alle donne quasi trent’anni prima che in Italia. Il diritto di voto rappresenta una tappa fondamentale nel processo di parificazione dei diritti tra uomini e donne, non soltanto perché estende all’altra metà della popolazione pieni diritti di cittadinanza, raddoppiando anche numericamente la stessa, ma soprattutto perché esso sancisce un nuovo ruolo sociale della donna all’interno della comunità. Il manifesto preso qui ad esempio esprime questa nuova dimensione del femminile non soltanto attraverso il messaggio, ma anche nella sua stessa natura (Nota 4): esso fu affisso per le strade, che divennero teatro degli avvenimenti postbellici in Germania, e nelle piazze, spesso scenario di eventi politici veri e propri. Le donne furono per la prima volta ufficialmente invitate ad apparire sulla scena pubblica e politica.
Quello tedesco rappresenta un caso di particolare interesse per lo studio dei modi e dei tempi di evoluzione del diritto elettorale: nonostante il tentativo fallito di creare una repubblica socialista e la proclamazione di un sistema parlamentare (Nota 5), la proclamazione della Repubblica di Weimar fu effettivamente rivoluzionaria, anche e significativamente nell’estensione del diritto di voto attivo e passivo alla popolazione femminile. Questo saggio intende proporre una riflessione sulla dimensione mediatica dell’evento, in particolare sul rapporto tra i partiti politici e l’elettorato femminile; al centro dell’indagine si colloca l’immagine della donna impiegata dalla propaganda politica e la misura in cui questa nuova immagine si diffuse nella società. Osservando in particolare i manifesti (Nota 6), si può notare un cambiamento delle figure e dei messaggi diretti al pubblico femminile, che esprime un’interessante dinamica tra propaganda e pubblicità, in un rapporto fluido che emerge con maggiore evidenza proprio nei messaggi rivolti alle elettrici. Il tema della propaganda politica weimariana è vastissimo e di fondamentale importanza nella storia della comunicazione politica nel Novecento. Ci limiteremo qui ai modi e ai mezzi che la politica mise in atto per conquistare la partecipazione delle donne e, fin dove possibile, alle reazioni delle donne stesse nei confronti di uno spazio finora precluso.
I movimenti femministi in Germania avevano una storia, per quanto recente, piuttosto vivace. Si trattava tuttavia di frange settoriali rispetto alla grande maggioranza della popolazione e gli stessi movimenti erano tra loro frammentati e talvolta antagonisti. I due principali gruppi contrapposti erano costituiti dalle organizzazioni di carattere borghese da una parte, e dal Partito socialdemocratico (Spd), dall’altra. Il punto di partenza per la storia del movimento per i diritti delle donne in Germania è tradizionalmente collocato nella “Rivoluzione democratica” del 1848; esso fu allora parte stessa della rivoluzione ma contemporaneamente acquisì una propria organizzazione e fini autonomi (Nota 7). Soltanto due anni dopo, però, in seguito alla sconfitta del fronte democratico, fu nuovamente vietato alle donne il diritto di organizzazione politica: i partiti non potevano accettare iscritte. Nel 1865 fu fondata l’associazione di carattere borghese Allgemeiner Deutscher Frauenverein; la fondatrice, Louise Otto, nel 1848 aveva già rivendicato il diritto delle donne di partecipare attivamente alla vita dello Stato (Nota 8), mentre ora la stessa associazione si impegnava per diritti di istruzione e di lavoro femminili, ma non prevedeva alcuna prerogativa di carattere politico (Nota 9). Il diritto di partecipazione politica era invece un punto centrale del programma del Partito socialdemocratico.
Nel 1879 fu pubblicato La donna e il socialismo di August Bebel, che ebbe tra l’altro uno straordinario successo di pubblico: nel 1910 era già alla cinquantesima edizione e si conta che fino al 1929 furono venduti 200.000 esemplari (Nota 10).
A partire dal programma di Erfurt, del 1891, la Spd fu il primo partito tedesco a sancire il diritto di voto femminile per i propri membri (Nota 11). Nel 1894 il Bund Deutscher Frauenvereine (Bdf) riunì sotto la propria supervisione le circa 34 associazioni femminili borghesi, ma ancora non prevedeva alcuna rivendicazione in merito alla partecipazione elettorale. La prima associazione non di sinistra a chiedere il diritto di voto femminile fu il Deutscher Verein für Frauenwahlrecht (Associazione tedesca per il diritto di voto delle donne) nel 1902 (Nota 12); nel 1906 esso contava 1.500 membri (Nota 13). Nel 1908 la nuova legislazione del Reich, dopo più di cinquant’anni, permise la partecipazione femminile alle assemblee politiche (Nota 14).
«E poi venne la guerra. Chiuse tutte le porte della politica, anche quelle del diritto di voto alle donne» (Nota 15). Appare paradossale il commento di un’osservatrice coeva poco dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, che attraverso la mobilitazione del fronte interno rappresentò senza dubbio un incentivo importante per l’acquisizione del diritto di voto femminile: nel luglio del 1918 il deputato socialdemocratico Landsberg sottolineò che le donne lavoratrici in Germania superavano ormai per numero gli uomini: 4,6 milioni contro 4,5. La politica non poteva più ignorare «il significato delle donne per il destino della Nazione» (Nota 16).
Ed in effetti la politica non ignorò la popolazione femminile. Immediatamente dopo la resa, il governo tedesco passò in mano ai socialdemocratici, che erano stati fino ad allora i principali fautori del suffragio universale. Nelle settimane immediatamente successive alla caduta della monarchia fu creato un Servizio propaganda della repubblica socialista tedesca (Deutscher Werbedienst der deutschen sozialistischen Republik (Nota 17)), che già nel nome portava i caratteri dell’ambivalenza di scopi e di modi in cui si muoveva la politica.
Nel novembre 1918 la Germania era agitata da forti correnti rivoluzionarie; la Spd premeva anzitutto per la stabilizzazione della situazione interna: paradossalmente, il Servizio propaganda della repubblica socialista tedesca, sebbene nella sua denominazione prevedesse una repubblica socialista che mai vide la luce, lavorò freneticamente tra il novembre 1918 e il gennaio 1919 per diffondere centinaia di manifesti che invitavano alla calma e all’ordine. Essi erano in grandissima parte diretti ai reduci, che affluivano disordinatamente nelle città e minacciavano di costituire, nel loro numero, una pericolosa massa rivoluzionaria, ma come vedremo si rivolgevano anche alle donne o comunque utilizzavano immagini femminili per veicolare i loro messaggi.
L’elettorato femminile fu mobilitato per la prima volta in vista della votazione dell’Assemblea nazionale, nel gennaio 1919; il manifesto che dà il titolo a questo saggio è l’unico creato dal Werbedienst espressamente per le elettrici. L’autore, Ludwig Keiner, sottolineava lo stato di oscurità (ed oscurantismo) in cui vivevano le donne, soprattutto per quanto riguarda la politica. Keiner era un cartellonista affermato, aveva lavorato per la propaganda di guerra nel Bild- und Filmamt (BuFA) (Nota 18) e almeno nel messaggio centrava la problematica essenziale del passaggio delle donne nella società, da un ruolo secondario ed oscuro, a protagoniste. L’elettorato femminile, 17,7 milioni di aventi diritto, superava infatti numericamente quello maschile (15 milioni) (Nota 19) e divenne così un target importantissimo della propaganda politica. Tutti i partiti, in particolare la Spd e il Partito democratico (Ddp), si attivarono per stimolare le donne a votare per l’Assemblea nazionale e il primo voto femminile tedesco fu effettivamente un successo, sia per quanto riguarda l’elettorato attivo che quello passivo: «Quando fu indetta l’Assemblea che doveva stilare la Costituzione, il 6 febbraio 1919, quasi il 10 per cento dei deputati erano donne, una percentuale che sarebbe stata raggiunta di nuovo soltanto nel 1983» (Nota 20). La partecipazione al primo voto fu elevatissima: votarono l’82,3% delle donne e l’82,4% degli uomini (Nota 21). Queste percentuali sarebbero costantemente calate fino al secondo dopoguerra.
Intanto, però, il peso effettivo dell’elettorato femminile era destinato a catalizzare l’attenzione e la curiosità (Nota 22) della politica: come si sarebbe comportato questo nuovo bacino elettorale? Quali preferenze avrebbe espresso, secondo quali logiche e come si sarebbe potuto conquistarne la simpatia? Quali immagini e stereotipi femminili potevano essere ripresi e trasmessi dalla comunicazione politica?
Come ho sottolineato nella mia tesi di dottorato,

La donna costituiva un espediente narrativo di straordinaria forza evocativa per tutti gli schieramenti: offriva infatti la possibilità di rappresentare il nuovo, in quanto simbolo delle conquiste della rivoluzione e del progresso raggiunto, per i Socialdemocratici, che per il diritto di voto si erano da tempo battuti, e per i Democratici, che li sostenevano nella coalizione di governo. Nello stesso tempo, la donna poteva personificare la forza della tradizione e, come emblema della famiglia e della pace sociale, fu protagonista delle immagini dei partiti conservatori e del partito cattolico del Centro (Nota 23).

Tra i manifesti presi in esame per il presente lavoro (Nota 24), il 13 per cento del totale (dal 1918 al 1932) fa ricorso alla figura femminile e più di un terzo di questi risale al 1919: in occasione dell’elezione dell’Assemblea nazionale fu, infatti, raggiunto il massimo numero degli appelli alle elettrici.
Fu proprio una giornalista, Christine Brückel, ad occuparsi del rapporto tra donna e propaganda politica in un articolo sulla rivista «Das Plakat», nel marzo 1919. Nella Germania del primo Novecento vi era una sostanziale “incomunicabilità” tra il mondo maschile e femminile della grafica: le illustratrici lavoravano soprattutto per associazioni femminili di carattere solidaristico ed elaboravano immagini tradizionali dirette al pubblico di genere. Rarissima invece era la loro partecipazione alla propaganda politica (Nota 25). Secondo la Brückel, che lamentava tra l’altro la mancanza di valide professioniste, la propaganda bellica aveva avuto un ruolo fondamentale nella mobilitazione politica delle donne: mentre essa era stata affrontata in grande stile nei paesi anglosassoni, ricorrendo anche all’appello diretto all’elettorato femminile, in Germania furono diffuse immagini di donne nei manifesti solo a partire dal nono prestito di guerra e sempre nell’accezione tradizionale di madri e spose. Ciò avrebbe rispecchiato la differenza del ruolo delle donne nella società anglosassone e tedesca; i manifesti di propaganda degli alleati sarebbero stati, secondo la Brückel, «pietre miliari sulla strada della donna verso la propaganda politica» (Nota 26). Al contrario, nei tardi e rari manifesti tedeschi della Prima guerra mondiale, la donna «non [era] mai posta nelle fila dei cittadini dai pieni diritti, nonostante le [fossero] richiesti i più pesanti doveri civici» (Nota 27). Alla mancanza di preparazione politica avrebbe dovuto ora far fronte una campagna propagandistica efficace, dove il manifesto illustrato avrebbe giocato il ruolo principale. Nonostante il gran numero di immagini, però, l’autrice criticava la banalità dei manifesti, che restavano confinati nel «kitsch mediocre» (Nota 28). Le donne erano state «tirate nel carosello della politica, sotto il rimbombo della campagna elettorale» (Nota 29), secondo un approccio che appariva incline alla campagna pubblicitaria piuttosto che mosso da fini di educazione civica.
Brückel criticava qui i manifesti creati per l’elezione dell’Assemblea nazionale dai diversi partiti, dal Servizio propaganda e dalle associazioni femminili, tra cui figurava dunque anche il nostro manifesto di Keiner per il Werbedienst. Esso presentava una ragazza che si rivolgeva ad un pubblico fuori dalla scena, sventolando un drappo rosso con la mano sinistra, mentre con la destra sembrava indicare la via da seguire, la bocca spalancata ad incitare le concittadine ad imitare il suo esempio. L’immagine stilizzata e la limitazione ai colori nero e rosso si devono certamente anche alle ristrettezze di mezzi dell’immediato dopoguerra; tuttavia, il costume della ragazza, la camicia a righe verticali, sembrano rifarsi ad una figura di carattere borghese, nel tentativo forse di bilanciare l’appello espresso dal drappo rosso e di rivolgersi così alla totalità delle elettrici (Nota 30). La didascalia sul manifesto, in caratteri gotici cubitali, recitava: «Votate per l’Assemblea nazionale, per la libertà degli individui e l’ordine per la collettività, in una repubblica socialista». Mentre gli appelli del Servizio propaganda tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919 sembravano già presentare tutto il carattere di ambivalenza ed incertezza che avrebbe caratterizzato il corso della Repubblica, il manifesto di Kainer tentava di conciliare gli opposti nella figura femminile, giovane eppure tradizionale, e nell’accostamento di libertà individuale ed ordine collettivo.
Come si è detto, la maggioranza dei manifesti del 1919 è caratterizzata dalla priorità di mantenere l´ordine; in questo senso la figura femminile offriva un espediente narrativo efficace che doveva richiamare gli uomini alla disciplina e alla responsabilità nei confronti delle loro mogli, madri e figlie, e contemporaneamente spingere le donne a partecipare attivamente alla ricostruzione pacifica del paese.
Nelle prime settimane del 1919 anche le associazioni femminili si adoperarono nel diffondere appelli al voto. In particolare l’Ausschuss der Frauenverbände, il Comitato delle associazioni femminili, creò due tra i manifesti più popolari: il primo è opera di Martha Jäger, autrice semisconosciuta, che tracciò l’immagine tradizionale di una giovane madre intenta a tagliare una fetta di pane per i propri figli. In tal modo, la Jäger riprese il parallelo comune nei primi anni della Repubblica tra pace sociale, identificata con l’elezione dell’Assemblea nazionale, e benessere collettivo, rappresentato dal binomio pane-pace (Nota 31). L’appello del manifesto chiarisce: «I vostri figli hanno bisogno di pace e di pane. Perciò, donne: votate!» (Nota 32).
Diverso lo stile del secondo manifesto della stessa associazione, realizzato dall’affermato studio pubblicitario berlinese di Lucian Bernhard. Questo manifesto non impiega immagini di alcun tipo ma riprende lo stile celebre di Bernhard, l’illustrazione limitata a caratteri gotici cubitali. In campo nero spicca la scritta blu tridimensionale «Donne!», sopra ad un riquadro in color arancio che racchiude l´imperativo: «Impegnatevi per la pace e per il pane! Votate e fate votare per l’assemblea nazionale!» (Nota 33). Christine Brückel definì proprio questo manifesto come «il migliore che sia mai stato creato» (Nota 34), al confronto del quale quello di Martha Jäger appariva del tutto inefficace (Nota 35).
Entrambi i manifesti dell’Ausschuss der Frauenverbände facevano ricorso al binomio pace-pane per stimolare l’elettorato femminile: le donne erano tradizionalmente addette alla preparazione del cibo per la famiglia e non è un caso che proprio l’espediente alimentare fosse uno dei principali temi adoperati nella propaganda destinata alle donne, da parte di tutte le forze politiche, non soltanto nei primi mesi del 1919 (Nota 36).
È impossibile stabilire con certezza quanto la propaganda abbia contribuito alla mobilitazione dell’elettorato femminile; analogamente è difficile ricostruire con precisione il comportamento elettorale e quanto esso sia stato influenzato dalla propaganda dei partiti. Nel 1928, Anna Siemsen cercò di rispondere a queste domande sui «Quaderni Socialisti»: secondo la ricerca della Siemsen, a Berlino, per la Spd, primo partito, aveva votato quasi lo stesso numero di uomini e di donne; per il Partito nazionalpopolare (Dnvp), conservatore, piazzatosi al secondo posto, i voti femminili superavano quelli maschili. Anche il Centro, il partito cattolico, al terzo posto, era stato votato in maggioranza da donne, mentre l´elettorato maschile del Partito comunista (Kpd) superava di sette punti quello femminile. Un simile comportamento caratterizzava generalmente le città industriali del nord, mentre nel sud-ovest agricolo, per la Spd e la Kpd i voti maschili superavano quelli femminili (Nota 37). Paradossalmente quindi, sembra che in generale l’elettorato femminile prediligesse i partiti “tradizionalisti”, in particolare il Centro cattolico, ovvero proprio quelli che si erano fermamente opposti al suffragio universale.
Il Partito socialista (Nota 38) tuttavia seppe sfruttare nella propaganda elettorale il ruolo primario giocato nell’affermazione del diritto di voto per le donne. È della Spd uno dei più noti manifesti weimariani, opera di Gottfried Kirchbach (Nota 39), in cui un uomo e una donna camminano fianco a fianco, fieri, lo sguardo deciso rivolto verso l’osservatore (Nota 40). La donna tiene in mano un’enorme bandiera rossa (Nota 41), che sventola circondando tutta la scena. L’uomo al suo fianco le cinge la vita. L’appello alle donne è espresso dalla grossa scritta: «Donne! Uguali diritti, uguali doveri: votate socialdemocratico». Il manifesto si colloca in piena tradizione socialista; a Kirchbach doveva essere ben noto il celebre manifesto di Karl Maria Stadler per la Spd del 1914, che in occasione dell’8 marzo rivendicava il diritto di voto delle donne (Nota 42). Tuttavia, allora era una donna sola a sventolare una grande bandiera, con tutte e due le mani e con atteggiamento combattivo, lo sguardo minaccioso. Kirchbach rinunciava all’aggressività, sostituita dalla decisione dei movimenti di un uomo e una donna fiduciosi, in cammino insieme verso il futuro. Se da una parte ciò suggeriva il raggiungimento delle rivendicazioni socialdemocratiche, dall’altra proprio l’assestamento su una grafica realista di stampo tradizionale era conforme alla figura femminile diffusa dalla Spd: una donna sì consapevole, ma limitata ai confini della tradizione e della rispettabilità, che non intendeva mettere in discussione i canoni consueti della collettività. Non era un caso che nel manifesto di Kirchbach la giovane donna fosse affiancata da un uomo; inoltre, in più del 30 per cento dei manifesti della Spd la figura della donna era accompagnata dall’immagine tradizionale di bambini.
Nonostante la lunga tradizione socialista, fu il giovane Partito democratico a fregiarsi dell’appellativo di “partito delle donne”. La Ddp era stata fondata alla fine della guerra e si collocava in area progressista, pur distinguendosi dalla sinistra. Anche la Ddp commissionò all’atelier Bernhard un manifesto (Nota 43) che, nel consueto stile grafico, proponeva una grande scritta in campo nero-rosso-oro, i colori della neonata Repubblica (Nota 44). La scritta sentenziava: «Il Partito democratico tedesco è il partito delle donne». È interessante che simile ambasciata non fosse accompagnata da immagini di alcun tipo, e sembrasse limitarsi alla mera dichiarazione di un dato di fatto. In effetti, la grande maggioranza delle femministe tedesche erano attive nelle fila della Ddp (Nota 45); ciò si espresse nella più alta percentuale di presenze femminili nei manifesti elettorali: degli esemplari osservati, il 24 per cento utilizza la donna come soggetto narrativo e la metà di essi risale alle elezioni del 1919. A differenza delle donne emancipate ma modeste della Spd, le donne democratiche erano facilmente riconoscibili come borghesi, più sicure di sé, autonome e indipendenti. Ma ciò sembrò non incontrare la simpatia delle elettrici, che non premiarono il partito, il quale applicò un’inversione di tendenza nella propaganda degli anni successivi:

Mentre il partito perse via via importanza, così anche la figura femminile divenne sempre meno rilevante per la sua propaganda […]. In particolare, la rappresentazione della donna sembrò seguire una sorta di “regresso” […]. I Democratici ricollocarono la donna nella dimensione domestica, rendendola nuovamente icona della femminilità tradizionale, espressa nella maternità e nella famiglia (Nota 46).

Il Partito comunista tedesco (Kpd) boicottò il voto per l’Assemblea Nazionale e partecipò per la prima volta alle elezioni del 1920. La percentuale dei manifesti comunisti che rappresentano la figura femminile è di poco inferiore a quella socialista; i comunisti intendevano però la questione di genere come parte integrante della lotta al capitalismo e diffusero un’immagine di donna in marcia e al lavoro affianco all’uomo. Essi non rinunciarono tuttavia alla simbologia tradizionale, in particolare quella di madri premurose, sfruttando in particolare la questione alimentare. «Da una parte, essi misero in scena una rappresentazione realistica della donna operaia e lavoratrice, come non fecero gli altri partiti di Weimar; dall’altra, non si astennero dallo sfruttare il significato simbolico della donna, facendo leva sullo spirito di responsabilità» (Nota 47).
I partiti conservatori (il Partito popolare, Dvp, il Partito nazionalpopolare, Dnvp e il Centro) non si impegnarono particolarmente nella propaganda diretta alle elettrici; nonostante soltanto l’11 per cento dei manifesti osservati includesse la figura della donna, il Centro poté contare tuttavia sul vasto supporto dell’elettorato femminile. È stato osservato che «le donne non sembravano votare sulla base della politica dei partiti rispetto alle donne, ma sostenevano quei partiti il cui punto di vista su questioni sociali, religiose e culturali corrispondeva al proprio» (Nota 48). I manifesti di propaganda del Centro riprendevano l’immagine tradizionale di donna fedele alla morale cristiana, elemento passivo e bisognoso di protezione; così il Centro si sarebbe incaricato di far fronte alle naturali istanze delle cittadine: «Chi salva i nostri bambini a noi, cristiane? Il […] Centro» (Nota 49); «Pensate al nostro futuro. Votate Centro» (Nota 50); «Chi protegge la famiglia, la patria, il lavoro? Il Centro» (Nota 51). Questo il tono degli appelli alle elettrici. Probabilmente l’elettorato femminile si riconosceva in gran parte in queste immagini tradizionali: «Analisi delle decisioni elettorali delle donne lasciano intuire che una maggioranza assoluta dei Socialdemocratici il 19 gennaio 1919 fu evitata proprio attraverso il loro grande merito, l’introduzione del diritto di voto femminile, poiché le donne – non solo allora – tendevano a votare prevalentemente in modo più conservatore che gli uomini» (Nota 52).
Fu forse anche per la presa d’atto di questa preferenza che i partiti progressisti fecero sempre meno appello all’elettorato femminile. Contemporaneamente, anche la partecipazione delle donne alle elezioni diminuì, mentre esse rimanevano tuttavia impegnate nelle associazioni volontaristiche; ha scritto Kathleen Canning:

Questa apparente svolta dal politico al sociale ha portato molti storici a concludere che il diritto stesso di voto, come punto centrale della cittadinanza, non ebbe conseguenze più vaste nella politica di Weimar. Infatti, gli storici hanno interpretato il grado più basso di partecipazione femminile al voto e la generale disillusione verso la politica di partito dopo il 1920 non solo come un rifiuto della politica ma come un “volontario ritorno ai tradizionali ruoli di genere” (Nota 53).

Se da una parte ciò può essere confermato dalla preferenza delle elettrici per i partiti conservatori, dall’altra è interessante osservare che nel 1924, quando la partecipazione femminile toccò il minimo del 62 per cento, la pubblicità commerciale iniziò a fare largo uso della simbologia e del campo semantico della politica, facendo leva su un target di consumatrici che si discostava dai “tradizionali ruoli di genere”. Julia Sneeringer ha brillantemente osservato:

Nel contesto del 1924, l’uso del linguaggio politico nella pubblicità può essere letto come parte di un più ampio discorso sulla modernizzazione economica e il repubblicanesimo. […] Questo vasto discorso di ripresa favorì il sorgere di un nuovo ruolo pubblico per le donne, permeando lo shopping di un significato più profondo per la stabilità della nazione. Nello stesso tempo, perseguiva un altro processo in corso: quello di limitare la potenziale minaccia del voto femminile (Nota 54).

La diserzione della politica non significava necessariamente una totale regressione verso i ruoli tradizionali; proprio l’attivismo nel campo del sociale e il protagonismo nei consumi nel breve spazio di ripresa economica degli “anni d’oro” sembrano testimoniare una certa indipendenza femminile, che forse la politica non fu grado di cogliere. Effettivamente, nella Repubblica di Weimar, sebbene restassero molti nodi da sciogliere, sotto l’influsso delle parlamentari furono emanate una serie di leggi per la tutela femminile (le cosiddette Frauengesetze), quali il permesso per le donne di esercitare la professione di avvocato e di giudice (1922), la paga minima e l’assicurazione per le casalinghe e l’estensione della tutela di maternità (1927) (Nota 55); dal 1920 le donne potevano aspirare all’abilitazione nella carriera universitaria, nel 1923 fu ottenuta la prima Professur da parte di due donne (Nota 56). Si tratta di tappe fondamentali per l’emancipazione femminile, ottenute attraverso la politica, in particolare grazie alla (relativamente) alta percentuale di rappresentanti femminili nei governi di Weimar.
Se la pubblicità si serviva della politica, nel 1924, la Ddp, il “partito delle donne”, riprese la figura della consumatrice emancipata, la giovane con la borsa piena e il borsellino in mano, per sottolineare il proprio ruolo nell’introduzione del Rentemark, la moneta pensata per fermare l’iperinflazione da Jahlmar Schacht, della Ddp, e dal Ministro delle Finanze Luther. In un manifesto si leggeva: «Contro l’inflazione, per l’unione del Paese e per la Repubblica, contro i nostri nemici» (Nota 57). Un altro manifesto spiegava: «La casalinga sorride di nuovo finalmente: chi le ha portato la libertà dall’inflazione e dalla caccia agli alimenti? Il Rentemark del nostro Schacht!» (Nota 58).
La confluenza di schemi e significati tra propaganda politica e pubblicità emerse con particolare chiarezza nei messaggi diretti alle donne, elettrici e compratrici. Se da una parte, come ha osservato la Sneeringer, «in un tempo in cui i tedeschi, sconvolti dalla guerra, dalla rivoluzione e dall’inflazione, cercavano impazientemente stabilità, le pubblicità aiutarono a neutralizzare il potere destabilizzante del potere politico femminile» (Nota 59), dall’altra ci appare innegabile il contributo concreto della politica verso l’emancipazione femminile, che condusse anche alla “libertà” di acquisto delle cittadine.
Significativa in questo senso è la propaganda del Partito Nazionalsocialista (Nota 60) (Nsdap) per le elettrici. Fino al 1932 gli appelli della Nsdap alle donne furono quasi del tutto assenti. La mancanza di attenzione verso le elettrici stimolava la contropropaganda degli antagonisti, in particolare della Spd, che accusavano la Nsdap di maschilismo. Del resto, già nel 1921 la Nsdap aveva dichiarato che le donne non sarebbero mai state ammesse in alcuna posizione di rilievo nel Partito (Nota 61).
Il confronto tra i partiti si inasprì negli ultimi anni della Repubblica ed uno dei più accesi temi di discussione fu proprio la questione femminile. Già nel 1928, Goebbels aveva annotato nei suoi diari: «Adesso anche le donne vogliono inaugurare alcuni giornali. Insieme con il nostro “Angriff.” Bene così! Io credo che le giovani ragazze ne faranno qualcosa. Anche il nostro movimento femminile deve diventare il più moderno della giovane Germania» (Nota 62). Con gli anni crebbe la simpatia femminile per la Nsdap e a partire dal 1930 il Partito nazista guadagnò sempre più consensi tra le donne: «Il numero delle tesserate salì tra il settembre 1930 e il 1933 da 7.625 a circa 63.000, con un aumento della quota femminile dal 5,9 al 7,4 per cento» (Nota 63).
La Spd diffuse nel 1930 una serie di manifesti (Nota 64) di modesto formato, stampati in inchiostro nero su carta colorata, che aveva per titolo ricorrente: «Donne! Questo vi aspetta nel Terzo Reich!» Le immagini descrivevano le umiliazioni che i nazisti avrebbero avuto in serbo per le donne, privandole dei diritti acquisti e relegandole in una condizione subalterna rispetto agli uomini. La Nsdap, a sua volta, non sottovalutò la propaganda socialista e si mobilitò nelle elezioni del 1932 (le due tornate di elezioni politiche e quella presidenziale), in una massiccia campagna, questa volta diretta anche alle donne che segnò un mutamento cruciale nell’evoluzione della propaganda nazionalsocialista (Nota 65): abbandonata la grafica aggressiva e attivistica, il partito adottò un linguaggio pacato e accomodante, volto a diffondere un’immagine di fermezza e credibilità. A questo scopo fu ingaggiato l’illustratore Felix Albrecht, che tracciò quella fisionomia di donna forte e solare, bionda e sorridente, orgogliosa e sicura di sé, che sarebbe divenuta icona della gioventù hitleriana. Nel manifesto «Madri, lavoratrici, noi votiamo i Nazionalsocialisti» (Nota 66), ad esempio, Albrecht rappresenta le tre figure emblematiche di donna: in primo piano, una giovane impiegata, assorta nel suo lavoro alla scrivania, seguita da un’altra donna in piedi, col fazzoletto in testa e il grembiule, la mano su un fianco, che potrebbe essere sia una contadina che un’operaia; infine, sullo sfondo, una madre giovane e forte col suo bimbo in braccio. Queste guardano l’osservatore (e l’osservatrice), in tono quasi inquisitorio, come a esigere una presa di posizione immediata; gli sguardi di queste donne sembrano riprendere lo stesso espediente di comunicazione grafica dell’“uomo col dito puntato” (Nota 67), nell’intento di “inchiodare” l’osservatore alle proprie responsabilità. Alle donne lavoratrici dei comunisti, alle consumatrici indipendenti della Ddp, alle donne emancipate ma dimesse della Spd, il Partito nazista contrapponeva un nuovo tipo di cittadine, moderne nell’aspetto e nell’atteggiamento, e insieme tradizionali nella pacatezza dei gesti, nella cura dei figli e della famiglia.
In realtà la Nsdap non prevedeva affatto una questione di genere, nella logica della Volksgemeinschaft, la comunità della nazione di tutti gli individui nello stato totalitario. Come ogni altra organizzazione, anche i movimenti femminili vennero “estinti” dopo la presa di potere nazista, nella pratica della Gleichschaltung, dell’uniformazione totalitaria: nel Terzo Reich la donna «non aveva bisogno di emanciparsi» (Nota 68). Nell’ottobre 1931 fu creata l’associazione femminile Nationalsozialistische Frauenschaft, che doveva esaurire in sé ogni rivendicazione politica e culturale (Nota 69). Dopo la presa di potere fu emanata una serie di leggi che limitavano l’attività lavorativa femminile e sovvenzionavano la maternità e la cura della famiglia; fu stabilito un limite all’immatricolazione di studentesse e le donne furono private del diritto di voto passivo (Nota 70).
Eppure, sebbene escluse dalla politica, le donne si muovevano in una dimensione di quotidianità che non poteva cancellare del tutto l’immagine di emancipazione e modernità finora utilizzata dalla propaganda politica e commerciale. I manifesti di moda degli anni Trenta, ad esempio, stimolati dalla neonata fotografia a colori, non rinunciarono ai motivi di donne giovanili, serene e “colorate” (Nota 71). Sebbene nelle scuole di moda fosse insegnato lo “stile tedesco”, non si può parlare veramente di una moda nazionalsocialista (Nota 72), rimanendo la moda legata e improntata principalmente a fini commerciali. La figura femminile continuava così in gran parte ad apparire emancipata e “moderna”. Malgrado la pretesa limitazione allo spazio domestico, anche il regime nazista si servì di un’immagine della donna nella sua acquisita “modernità”: dopo l’inizio della guerra, le donne furono impiegate non soltanto al lavoro sul fronte interno, ma anche in ruoli che potremmo definire “paramilitari” (Nota 73). «Nonostante il ruolo della donna limitato alla casa, al fornello e alla maternità, diffuso dalla propaganda nazionalsocialista, le postazioni [di difesa antiaerea] furono occupate principalmente da donne e ragazzi» (Nota 74). In un manifesto del 1939 per il Reichluftschutzbund (Rlb), la Lega per la difesa antiaerea del Reich, Ludwig Hohlwein impiegò l’immagine sorridente di una ragazza di un «aspetto [così] gioioso, che ridicolizza la guerra aerea in modo orripilante» (Nota 75). La «donna nella difesa antiaerea», come spiega la didascalia del manifesto, è «moderna e sicura di sé», e «nel suo sorriso bianchissimo ricorda la leggerezza della contemporanea pubblicità della Coca-Cola o di prodotti di bellezza. Il manifesto mostra in modo esemplare come i modi espressivi e le forme della pubblicità commerciale furono trasmessi a diversi settori della grafica dei manifesti nazisti» (Nota 76).
Dopo la guerra, la costituzione della Repubblica Federale Tedesca riprese in parte quella di Weimar; nel 1949, fu ancora per intervento di una parlamentare socialdemocratica, Elisabeth Selbert, che fu cambiato l’articolo tre, originariamente mantenuto identico alla versione weimariana. La prima redazione postulava, infatti: «uomini e donne hanno uguali diritti e doveri civili» (Männer und Frauen haben dieselben staatsbürgerlichen Rechte), garantendo così la parità solo in ambito civile; con il nuovo articolo tre della costituzione, che afferma «uomini e donne hanno parità di diritti» (Männer und Frauen sind gleichberechtigt), «l’eguaglianza di diritti divenne una prerogativa fondamentale garantita legalmente e ancorata alla Costituzione» (Nota 77). La piena affermazione di questo principio teorico sarebbe stata messa in pratica solo anni più tardi, con l’entrata in vigore della legge sull’equiparazione dei diritti (Gleichberechtigungsgesetz), nel 1958; il peso della costituzione di Weimar sulla strada della parificazione dei diritti tra uomini e donne in Germania rimane tuttavia determinante.
I manifesti elettorali della Repubblica di Weimar, così come quelli pubblicitari, tentando di dirigere attivamente le preferenze delle elettrici, offrono una testimonianza di storia culturale sui modi e i cambiamenti di raffigurazione (e di percezione) del femminile. Negli anni Venti, le forme rappresentative della politica e della pubblicità si influenzarono scambievolmente: ciò può essere considerato come un sintomo della posizione, sempre più attiva e più “fluida”, della donna nella società. Nonostante la disaffezione politica e la “regressione” della dittatura nazista, la donna degli anni Trenta, soprattutto nelle metropoli, era ormai profondamente cambiata rispetto alla generazione precedente. Lo stesso tipo di donna, con tutte le sfumature possibili, divenne oggetto della propaganda politica e commerciale, all’inizio del lungo cammino che l’avrebbe portata alla parificazione dei diritti sancita dalla Costituzione: quarant’anni dopo, le donne e le ragazze tedesche sarebbero state davvero finalmente “fuori dal buio”.

 

NOTE:

Nota 1 Imperial War Museum PST 2630. Per ogni manifesto preso in esame sono indicati in nota archivio di provenienza e collocazione. Torna al testo

Nota 2 Sulla specularità della data gioca un altro manifesto dell’atelier Bernhard per la stessa occasione: «19.1.19: la più grande giornata del popolo tedesco! Ogni singolo voto è importante!» Friedrich Ebert Stiftung (FES) 6/PLKA 000392. Torna al testo

Nota 3 Nel 1893, la Nuova Zelanda fu il primo stato a concedere il suffragio femminile, seguita nel 1902 dall’Australia. In Europa prima fu la Finlandia nel 1906, seguita dalla Norvegia nel 1913 e dalla Danimarca e dall’Islanda nel 1915. Sui paesi scandinavi ebbe tra l’altro una significativa influenza il pensiero di Clara Zetkin (alla rivista «Gleichheit», edita dalla stessa Zetkin, collaborava, ad esempio, anche la socialista finlandese Hilja Pärssinen, eletta nel 1907 al Parlamento). Nel 1917 fu sancito il suffragio universale in Estonia, e nel 1918, insieme alla Germania, in Austria, Polonia, Lettonia e Lussemburgo; nel 1919 in Olanda e nel 1921 in Svezia. Il diritto di voto femminile in Gran Bretagna fu raggiunto nel 1928, in Spagna nel 1931 e in Francia del 1945. Dopo l’Italia, votano le donne greche dal 1952, quelle svizzere dal 1971; l’ultimo paese europeo a concedere il voto alle donne è stato il Lichtenstein, nel 1984. (Cfr. Deutsche Bundestag, Einführung des Frauenwahlrechts in 20 europäischen Ländern, www.bundestag.de/kulturgeschichte/ausstellung/parl_hist/frauenwahlrecht/einfuehrung.html (1.9.2012); Bundeszentrale für politische Bildung, http://www.bpb.de/lernen/grafstat/grafstat-bundestagswahl-2013/146262/geschichte-des-frauenwahlrechts-b4 (15.8.2016); K. Reichel, Sie singen voran, in: «Die Zeit», 8.3.2007, Nr. 11. (http://www.zeit.de/2007/11/A-Finnland-Frauenwahlrecht). Torna al testo

Nota 4 Sulla storia e il significato del manifesto politico e in particolare del manifesto tedesco si rimanda alla mia tesi di dottorato: T. Rusca, Tra il partito e la strada. Manifesti politici nella Repubblica di Weimar (1918-1932), Edizioni Accademiche Italiane, Saarbrücken 2015. Torna al testo

Nota 5 Per questo motivo, per protesta, il Partito comunista non partecipò alle elezioni dell’Assemblea nazionale. Torna al testo

Nota 6 Mi sono occupata di manifesti elettorali della Repubblica di Weimar per la mia tesi di dottorato: T. Rusca, Tra il partito e la strada, cit. Ho allora preso in esame più di ottocento manifesti, conservati in diversi archivi e musei tedeschi; gli stessi manifesti costituiscono i documenti alla base di questo saggio. Torna al testo

Nota 7 U. Gerhard, Über di Anfänge der deutschen Frauenbewegung um 1848. Frauenpresse, Frauenpolitik, Frauenvereine, in K. Hausen (Hrsg.), Frauen suchen ihre Geschichte. Historische Studien zum 19. und 20. Jahrhundert, Beck, München 1987, p.  200. Torna al testo

Nota 8 G. Notz, „Her mit dem allgemeinen, gleichen Wahlrecht für Mann und Frau!“ Die internationale sozialistische Frauenbewegung zu Beginn des 20. Jahrhunderts und der Kampf um das Frauenwahlrecht, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn 2008, pp. 11-12. Torna al testo

Nota 9 Articolo 8 del Vereingesetz (Legge sulle associazioni), cfr. J. Hoffmann-Göttig, Emanzipation mit dem Stimmzettel. 70 Jahre Frauenwahlrecht in Deutschland, Verl. Neue Ges., Bonn 1986, p. 21. Torna al testo

Nota 10  Cfr. A. Bebel, Die Frau und der Sozialismus. Mit einem Vorwort von Eduard Bernstein (Neusatz der Jubiläumsausgabe 1929), Dietz, Bonn 1994. Torna al testo

Nota 11 J. Hoffmann-Göttig, Emanzipation mit dem Stimmzettel, cit., p. 22. Torna al testo

Nota 12 Ivi, p. 21. Torna al testo

Nota 13 V. Rothe, Erhebt Euch und fordert das Stimmrecht! Wahlrechtsbewegung in Deutschland, in Mit Macht zur Wahl! 100 Jahre Frauenwahlrecht in Europa, Frauen Museum, Bonn 2006, p. 67. Torna al testo

Nota 14 J. Hoffmann-Göttig, Emanzipation mit dem Stimmzettel, cit., p. 22. Torna al testo

Nota 15 M. Lischenewska, Die deutsche Frauenstimmrechtsbewegung zwischen Krieg und Frieden, Berlin 1915, p. 37, in V. Rothe, Erhebt Euch und fordert das Stimmrecht!, cit., p. 67. Torna al testo

Nota 16 Reichstag, 186. Seduta dell’8 luglio 1918, in J. Hoffmann-Göttig, Emanzipation mit dem Stimmzettel, cit., p. 26. Torna al testo

Nota 17 La storia del Deutscher Werbedienst rimane finora in gran parte da scrivere. Si veda in particolare C. Vogel, Werben für Weimar. Der “Werbedienst der deutschen sozialistischen Republik” in der Novemberrevolution 1918/1919, Schaker, Aachen 2008, e T. Rusca, Tra il partito e la strada, cit., pp. 134-174. Torna al testo

Nota 18 Il Bild- und Filmamt (Ufficio di propaganda visuale e filmica) fu istituito in Germania solo nel 1917. La propaganda tedesca nella Prima guerra mondiale era arretrata ed incerta rispetto a quella della maggioranza delle nazioni belligeranti, in quanto i tedeschi sembra rifiutarono a lungo di impiegare l’arma della propaganda. In particolare si veda D. Vorsteher, Bilder für den Krieg. Das Plakat im ersten Weltkrieg, in R. Rother (Hrsg.), Die letzten Tage der Menschheit. Bilder des ersten Weltkriegs, DHM, Berlin 1994, pp. 149-162. Torna al testo

Nota 19 Cfr. A. Dertinger, 90 Jahre Frauenwahlrecht (II). Die Frau als Freie und Gleiche, p. 1, http://www.weltderarbeit.de/geschichte3.pdf. Torna al testo

Nota 21 A. Dertinger, 90 Jahre Frauenwahlrecht (II). Die Frau als Freie und Gleiche, cit., p. 1. Torna al testo

Nota 22 Per quanto riguarda la curiosità, emblematica appare la vicenda occorsa negli anni Venti nel Land del Baden-Württemberg. Durante una ricerca, mi sono imbattuta nel caso di una presunta scheda elettorale di colore rosa, destinata alle donne, per le elezioni regionali del 1921. Un’indagine più approfondita ha però smentito l’effettiva esistenza di un simile oggetto; tuttavia, sia nelle pubblicazioni relative alle elezioni (in particolare: Badischen Statistisches Landesamt (Hrsg.), Die Wahlen zum Badischen Landtag am 30. Oktober 1921, Karlsruhe 1922), sia soprattutto nel carteggio tra l’ufficio statistico del Baden (Badisches Statistisches Landesamt) e il ministero degli Interni, emerge un singolare interesse per il comportamento elettorale delle donne. L’ufficio statistico fece infatti ripetutamente richiesta affinché fosse introdotta una simile scheda, con lo scopo di monitorare più precisamente i numeri e le preferenze delle elettrici. Il ministero era contrario, soprattutto per i costi superiori che ciò avrebbe comportato, e infine il tentativo fallì. (Cfr. H. Schäfer, Deutsche Geschichte in 100 Objekten, cit., p. 414.) Torna al testo

Nota 23 T. Rusca, Tra il partito e la strada, cit. p. 350. Torna al testo

Nota 24 Vedi infra nota 6. Torna al testo

Nota 25 Cfr. T. Rusca, Tra il partito e la strada, cit. pp. 354-356. Si veda anche la mia tesi di Laurea, T. Rusca, Grüße aus dem Weltkrieg. Saluti dalla Guerra Mondiale. Le Cartoline illustrate della Grande Guerra in ambito tedesco, Università di Genova 2009. Torna al testo

Nota 26 C. Brückel, Die Frau in der politischen Propaganda, in «Das Plakat», (2) 1919, p. 158. Torna al testo

Nota 27 Ibidem. Torna al testo

Nota 28 Ivi, p. 161. Torna al testo

Nota 29 Ivi, p. 159. Torna al testo

Nota 30 Secondo Christian Vogel, inoltre, nei continui appelli alla concordia e alla pace, il Servizio propaganda doveva rifarsi alla tradizione della Rivoluzione francese e della rivoluzione democratica del 1848.  Cfr. C. Vogel, Werben für Weimar, cit., p. 44. Torna al testo

Nota 31 Kathrin Hoffmann-Curtius ha individuato in questa immagine una versione moderna di «repubblica che nutre». Cfr. K. Hoffmann-Curtius, Formationen des Terrors 1918/1919 in Deutschland: Visuelle Kommentare zum Mord an Rosa Luxemburg, p. 8 (http://www.hoffmann-curtius.de/Terror.html). Cfr. anche A. Gibelli, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Einaudi, Torino 2005 (in particolare tav. 1). Torna al testo

Nota 32 Deutsches Plakat Museum Essen (DPM) 4707. Torna al testo

Nota 33 FES 6/PLKA001575. Torna al testo

Nota 34 C. Brückel, Die Frau in der politischen Propaganda, cit. p. 159. Torna al testo

Nota 35 Ibidem. Torna al testo

Nota 36 Sulla tematica alimentare nella propaganda politica della Repubblica di Weimar si veda il mio: T. Rusca, The memory of the food problems at the end of the First World War in subsequent propaganda posters in Germany, in Food in Zones of Conflict, Berghahn, Oxford, New York 2014, pp. 155-169. Torna al testo

Nota 37 Cfr. A. Siemsen, Die Frauenwahlen, in «Sozialistische Monatshefte», (34) B/1928 II, 16/07/1928, pp. 572-579. Torna al testo

Nota 38 Per rientrare negli spazi limitati del saggio, ci limiteremo qui ad alcuni casi esemplari per i più importanti partiti politici, scelti secondo criteri di ricorrenza tematica e pregnanza semantica, che rendono gli esempi scelti significativi della strategia propagandistica dei partiti. Torna al testo

Nota 39 Gottfried Kirchbach (1888-1942), che lavorò anche per il Partito democratico, fu uno dei più fedeli e prolifici illustratori della Spd nella Repubblica di Weimar. Torna al testo

Nota 40 FES 6/PLKA005188. Torna al testo

Nota 41 Qui il rosso domina la scena. Nei primi mesi del 1919 la Spd si identificava ancora con questo colore, nonostante il rifiuto di una repubblica socialista e la creazione della repubblica parlamentare con la coalizione democratica (insieme al Centro e al Partito democratico). Il Partito comunista non prese parte alle elezioni del 1919, ma successivamente esso rivendicò per sé il rosso, in contrasto con i “traditori” socialisti, che dovettero soffrire negli anni successivi di una sorta di ambivalenza cromatica, non potendo più contare sull’univocità di questo colore. Sui problemi legati alla simbologia cromatica politica nella Repubblica di Weimar si veda S. Gundle, Il fascino cromatico: partiti politici, consumismo e colori tra l’Ottocento e oggi, in S. Pivato, M. Ridolfi  (a cura di), I colori della politica. Passioni, emozioni e rappresentazioni nell’età contemporanea, Centro Sammarinese di Studi Storici, San Marino 2008, pp. 25-48; sulla storia dei colori nazionali tedeschi si veda ad es. Busch O., Schwarz-Rot-Gold. Die Farben der Bundesrepublik Deutschland. Ihre Tradition und Bedeutung, Offenbach a.M. 1954; H. Kranz, Schwarz Weiß Rot und Schwarz Rot Gold, Stoccarda 1961. Torna al testo

Nota 42 FES 6/PLKA000428. Torna al testo

Nota 43 FES 6/PLKA002356. Torna al testo

Nota 44 Il Flaggenstreit, la controversia sulle bandiere, fu altresì un tema infuocato nella Repubblica di Weimar, legato alla questione cromatica di cui si è parlato, avendo la Repubblica sostituito i colori nero-bianco-rosso del Reich con quelli di tradizione democratica. Sul Flaggenstreit si veda anche K. Artinger, Flaggenstreit. Der Streit um die Nationalflagge als Spiegel einer gespaltenen Kultur, in G. Paul (Hrsg.), Das Jahrhundert der Bilder, Band 1: 1900 bis 1949, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2009, pp. 244-251. Sulla strumentalizzazione partitica della bandiera tedesca si è soffermato anche Eric Hobsbawm, cfr. E. Hobsbawm, L’invenzione delle tradizione, Einaudi, Torino 2006. Torna al testo

Nota 45 K. Canning, Women and the politics of gender, in A. McElligott (ed.), Weimar Germany, Oxford University Press, Oxford-New York 2009, p. 156. Torna al testo

Nota 46 T. Rusca, Tra il partito e la strada, cit., pp. 396-397. Torna al testo

Nota 47 Ivi, p. 391. Torna al testo

Nota 48 K. Canning, Women and the politics of gender, cit. p. 155. Torna al testo

Nota 49 Konrad Adenauer Stiftung (KAS) 10-43-15. Torna al testo

Nota 50 Deutsches Historisches Museum Berlin (DHM) P 63/159. Torna al testo

Nota 51 DHM P 62/984. Torna al testo

Nota 52 A. Dertinger, 90 Jahre Frauenwahlrecht (II). Die Frau als Freie und Gleiche, cit., p. 1. Torna al testo

Nota 53 K. Canning, Women and the politics of gender, cit., p.  156. Torna al testo

Nota 54 J. Sneeringer, The Shopper as Voter: Women, Advertising, and Politics in Post-Inflation Germany, in «German Studies Review», 27/3 (Ottobre 2004), p. 479. Sul tema si veda anche J. Sneeringer, Winning Women´s Votes. Propaganda and Politics in Weimar Germany, University of North Carolina Press, Chapel Hill 2002. Torna al testo

Nota 55 A. Schüler, Bubikopf und kurze Röcke, cit. Torna al testo

Nota 56 T. Wobbe, Aufbrüche, Umbrüche, Einschnitte. Die Hürde der Habilitation und die Hochschullehrerinnenlaufbahn, in E. Kleinau, C. Opitz (Hrsg.), Geschichte der Mädchen- und Frauenbildung, Campus Verlag, Frankfurt/New York 1996, pp. 345-347. Torna al testo

Nota 57 FES 6/PLKA003402. Torna al testo

Nota 58 FES 6/PLKA003272. Torna al testo

Nota 59 J. Sneeringer, The Shopper as Voter, cit., p. 496. Torna al testo

Nota 60 La propaganda del Partito nazionalsocialista prima del 1933 è stata relativamente poco studiata; sulla propaganda nei manifesti si rimanda al mio T. Rusca, Tra il partito e la strada, cit., pp. 263-343 e 408-416; sulla propaganda in generale si veda il bel lavoro di G. Paul, Aufstand der Bilder. Die NS-Propaganda vor 1933, Diez, Bonn 1990. Torna al testo

Nota 61 L. Wagner, Ein Ende mit Schrecken. Die Frauenbewegung wird "gleichgeschaltet“, Bundeszentrale für politische Bildung, http://www.bpb.de/gesellschaft/gender/frauenbewegung/35269/frauen-im-nationalsozialismus?p=all Torna al testo

Nota 62 J. Goebbels, Die Tagebücher, Teil 1, Aufzeichnungen 1923-1941, 22/09/1928. Torna al testo

Nota 63 L. Wagner, Ein Ende mit Schrecken, cit. Torna al testo

Nota 64 Qui si rimanda agli esemplari: FES 6/PLKA 002181; FES 6/PLKA002182; FES 6/PLKA002183. Torna al testo

Nota 65 Cfr. anche I. Kershaw, Il “mito di Hitler”. Immagine e realtà nel Terzo Reich, Bollati Boringhieri, Torino 1998 (ed. or. 1987), p. 328. Torna al testo

Nota 66 DHM P 62/1132. Torna al testo

Nota 67 A riguardo si veda in particolare A. Gibelli, L’uomo col dito puntato. Una fonte iconografica, in S. Luzzatto, Prima lezione di metodo storico, Laterza, Bari 2010, pp. 123-141 e il recente C. Ginzburg, Paura reverenza terrore. Cinque saggi di iconografia politica, Adelphi, Milano 2015, pp. 115-156. Torna al testo

Nota 68 V. Rothe, Deutschland 1918: Erhebt Euch und fordert das Stimmrecht! Wahlrechtsbewegung in Deutschland, in Mit Macht zur Wahl! 100 Jahre Frauenwahlrecht in Europa, Frauenmuseum, Bonn 2006, p. 105. Torna al testo

Nota 69 Ibidem. Torna al testo

Nota 70 Ibidem. Torna al testo

Nota 71 Sulla moda nella Germania nazista si veda in particolare G. Sultano, Wie geistiges Kokain… Mode unterm Hakenkreuz, Verlag für Ges.-Kritik, Vienna 1995. Torna al testo

Nota 72 T. Weidner, H. Rader, Typographie des Terrors. Plakate in München 1933 bis 1945, Münchener Stadtmuseum, Monaco 2012, p. 246. Torna al testo

Nota 73 Cfr. M. Brechten, Die nationalsozialistische Herrschaft 1993-1939, WBG Darmstadt 2012. Torna al testo

Nota 74 T. Weidner, H. Rader, Typographie des Terrors, cit., p. 234. Torna al testo

Nota 75 Ibidem. Torna al testo

Nota 76 Ibidem. Torna al testo

Nota 77 H. Schäfer, Deutsche Geschichte in 100 Objekten, cit., p. 416. Torna al testo

 

Questo saggio si cita: T. Rusca, «Mädchen und Frauen, Raus aus dem Finsternis!» (Donne e ragazze, fuori dal buio!). Donne tedesche e partiti politici tra propaganda e pubblicità negli anni della Repubblica di Weimar,in «Percorsi Storici», 4 (2016) [www.percorsistorici.it]

Questo saggio è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

Console Debug Joomla!

Sessione

Informazioni profilo

Utilizzo memoria

Queries Database