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Mario Viviani, Ricostruzione. La lega delle cooperative a Bologna (1945-1945), Clueb, Bologna 2015

(Tito Menzani)

 

La provincia di Bologna è certamente una delle aree di maggior radicamento della cooperazione italiana, dove sono maturate esperienze di grande valore. È opinione largamente diffusa tra gli studiosi che questa vocazione cooperativistica abbia favorevolmente inciso sullo sviluppo economico e civile di questo territorio, riducendo le sperequazioni sociali e favorendo l’emancipazione dei ceti popolari.
Tra i momenti cruciali nella storia del movimento cooperativo assume particolare significato la fase a cavallo della Liberazione, quando venne definitivamente superata l’esperienza controversa della «cooperazione fascista» e si posero le basi della moderna impresa democratica. Entro un quadro di ricostruzione civile e morale della società italiana, la cooperazione si ritagliava un proprio spazio – sancito dall’art. 45 della nuova Costituzione – coerente con i valori e gli obiettivi delle culture progressiste e antifasciste che erano tornate ad animarla.
Pur se abbastanza nota a livello generale, sono pochi e circostanziati gli studi declinano questa storia su base territoriale, a partire da quelle aree che, come il Bolognese, vantano uno specifico interesse per l’importanza oggettiva che l’impresa cooperativa ha poi assunto in valore assoluto. Il volume di Mario Viviani – cooperatore e studioso della cooperazione di lungo corso – affronta proprio questo tema, con l’obiettivo di analizzare la ricostruzione della Federazione delle cooperative di Bologna (oggi Legacoop Bologna) nella seconda metà degli anni quaranta.
Dunque, Viviani ripercorre i passaggi determinanti che portarono, dopo il tramonto del regime e la fine del conflitto, alla meticolosa riattivazione di un movimento con forti radici identitarie prefasciste, il quale tornò a radicarsi nella società civile fra gli entusiasmi e le difficoltà del dopoguerra. Non è possibile definire questa opera di ripristino come un fatto «spontaneo». Semmai spontanea fu l’adesione dei ceti popolari alla proposta ragionata e vantaggiosa di aderire alla nuova cooperativa di consumo, di partecipare alla riedificazione della casa del popolo, di cercare nuove opportunità imprenditoriali attraverso il lavoro associato, ma tutto ciò aveva alle spalle una progettualità ben precisa e tutt’altro che banale, che era maturata nella clandestinità della Resistenza e poi confluita principalmente entro la Federazione provinciale delle cooperative di Bologna.
Questo fu l’organismo che, in quanto articolazione locale della Lega nazionale delle cooperative e mutue, coordinò e gestì la delicata fase del secondo dopoguerra, quando – ci dice Viviani – la cooperazione felsinea ebbe quell’imprinting che l’avrebbe poi avviata verso un futuro di sviluppo e di successi. Tra l’altro, è molto interessante notare che mentre a livello nazionale la ripresa cooperativa post-Liberazione non fu un fatto unitario, con i cattolici che ridiedero vita alla Confederazione delle cooperative italiane e le forze di sinistra – dai comunisti ai repubblicani – che invece ricostituirono la Lega nazionale delle cooperative a mutue, a Bologna questa dicotomia fu più tardiva, perché tra i 1945 e il 1947 l’intero fronte antifascista, cattolici compresi, lavorò di comune accordo per la ricostruzione cooperativa.
Questa unità dei cooperatori rappresenta una sorta di momento peculiare, che giustamente viene riscoperto e meglio approfondito, nell’idea che – in termini di valori e di operatività – abbia prodotto risultati di un certo interesse. Tanto più che oggi, a settant’anni da quei fatti, il movimento cooperativo italiano sta portando avanti una convergenza fra le tre centrali principali – Legacoop, Confcooperative e Agci – a realizzare un’Alleanza delle cooperative italiane che rappresenti tutto il movimento cooperativo del nostro paese.
Proprio perché l’impresa cooperativa è un soggetto complesso, la presente ricerca – benché agile – tocca varie declinazione, vista la necessità di indagare su differenti filoni variamente intrecciati. Un primo capitolo di carattere introduttivo spiega la situazione socio-economica a Bologna alla fine della seconda guerra mondiale. Un secondo capitolo, invece, si concentra sulle principali cooperative che animarono il secondo dopoguerra nella provincia felsinea. Dopodiché si presta attenzione alla ricostruzione dell’organismo di rappresentanza, e cioè la Federazione delle cooperative, principalmente attraverso documenti di carattere congressuale, che danno conto anche del profondo dibattito politico. Ben si comprendono, quindi, le dinamiche che portarono la Federazione a darsi una struttura funzionale e le scelte strategiche che furono prese per impostare la politica a favore delle associate. Chiudono il volume alcuni spunti di riflessione originati dall’analisi storica suddetta.
In sintesi, il volume di Mario Viviani – che contiene anche alcune belle fotografie storiche – contribuisce a chiarire le vicende che animarono il movimento cooperativo bolognese in una fase cruciale, dove maturarono scelte e decisioni che a lungo avrebbero influito sulla storia successiva. Quest’ultima attende ora di essere raccontata, perché ogni libro non è mai solo un punto di arrivo, ma anche uno di partenza.

 

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