Antonella Guarnieri, Lo squadrismo raccontato dai fascisti

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Antonella Guarnieri

Lo squadrismo raccontato dai fascisti

 

Perché raccontare la violenza squadrista

La mostra in tre sezioni – la prima Lo squadrismo raccontato dai fascisti. Il Diario 1922 di Italo Balbo e altre fonti, a cura di Antonella Guarnieri; la seconda Controcanto antifascista. La cronaca, le storie, a cura di Delfina Tromboni; e la terza che esponeva Documenti originali sullo squadrismo ferrarese dai fondi dell’Archivio di Stato di Ferrara a cura di Davide Guarnieri – esposta nel 2014, con successo di visitatori, presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara e per la terza sezione presso l’Archivio di Stato di Ferrara, nasce dalla volontà di tornare a parlare del periodo iniziale del fascismo, quando la presa del potere venne perseguita senza scrupolo alcuno, facendo sfoggio di violenza e crudeltà impensabili, senza alcun riguardo per un avversario impreparato e senza nessun tipo di supporto tecnico militare.
Il desiderio di trattare un periodo tanto doloroso nasce dalla certezza della centralità degli avvenimenti ferraresi sia in relazione allo strutturarsi e al compiersi della drammatica avventura squadrista sia in relazione alla vera e propria presa di potere del fascismo, la quale certo non può essere disgiunta dal ruolo assunto nella vicenda dagli agrari e da Italo Balbo, da questi ultimi ingaggiato per bloccare ogni tipo di velleità di miglioramento sociale ed economico richiesto dai braccianti ed, anzi, per riportarli a prima dei benefici ottenuti durante le lotte del cosiddetto “biennio rosso”.
La mostra, attraverso foto, documenti e soprattutto attraverso l’analisi del Diario 1922 di Balbo, si pone come obiettivo quello di far riflettere il visitatore sulla logica della distruzione violenta ed organizzata dell’avversario, propria dello squadrismo e del suo capo ferrarese.
Il ventennio passato ha visto un lavorio incessante, soprattutto a livello di mass media, che puntava alla “riabilitazione” del regime che per più di vent’anni sottomise l’Italia.
In questo frangente storico, un giovane che cerchi, con le proprie forze e senza la guida di un docente preparato e attento, di avventurarsi nello studio del fascismo ferrarese, ma anche di quello nazionale, corre il rischio di finire per considerare il fascismo non come una dittatura, bensì come un semplice partito maggioritario che ebbe il ruolo centrale nella guida del paese negli anni che andarono dal 1922 al 1945.
Proprio per questo oggi, appare complicato, ma non impossibile, far comprendere ai giovani il significato della parola dittatura, associata alla ideologia fascista. Soprattutto appare difficile riuscire a far comprendere l’enorme carica di violenza, allestita militarmente, che venne rovesciata dagli squadristi sui lavoratori e sulle organizzazioni socialiste, comuniste, cattoliche, repubblicane, radicali che, prima dell’avvento fascista, li tutelavano.
L’opera di “de-contestualizzazione”, evidente agli occhi degli storici, portata avanti con maestria, ha mirato a spostare l’attenzione su aspetti particolari del regime italiano che potessero in qualche modo distrarre dalla violenza e dalla negazione della libertà che ne caratterizzarono l’opera. È più utile a tale scopo raccontare la vita privata di Mussolini e dei maggiori gerarchi del regime – figli, prodezze sportive, amanti, tic nervosi, passioni e via dicendo – piuttosto che raccontare come il fascismo, dopo le sconfitte elettorali del 1919 e del 1920, decise di allearsi con i grandi industriali del Nord e con gli agrari della pianura padana che volevano servirsi di loro per tacitare i lavoratori che, con le elezioni del 1920, le prime a suffragio universale maschile, avevano portato alla vittoria il Partito socialista, regalando anche al Partito popolare una valanga di voti.
Fu questo il patto che sancì dalla parte di chi, nella lotta tra i lavoratori e il padronato, il fascismo si sarebbe collocato e che decise le sorti delle masse bracciantili padane per il ventennio successivo, condannandole allo sfruttamento più retrivo. Il regime fascista nacque dalla violenza e si consolidò facendo leva sui punti deboli di una società povera e in crisi, promettendo alla “nazione” potere e ricchezza, ma tutto ciò nulla aveva a che fare con la democrazia e con la volontà della maggioranza della popolazione.
Novantadue anni dopo la violenta presa del potere fascista, della figura di Balbo si è cercato di far rimanere vivi soprattutto gli aspetti collegati alla sua carica di ministro dell’Aeronautica, di grande “trasvolatore”, di gerarca in aperta polemica con Mussolini e con la sua scelta di allearsi con la Germania nazista e di entrare in guerra al suo fianco, oltre che l’immagine, prettamente ferrarese, di uomo colto e appassionato mecenate. Appare necessario cercare di convogliare l’attenzione di un pubblico abbastanza vasto, anche su quello che fu l’aspetto cardine, oggi “volontariamente” dimenticato della presa di potere fascista: la violenza squadrista, della quale Balbo fu il massimo organizzatore, rovesciata sulle campagne ferraresi e padane per distruggere ogni resistenza, abbattendo le leghe rosse e quelle bianche, attaccando socialisti, comunisti, cattolici, senza alcuna pietà.
Furono i soldi degli agrari, che lo stipendiarono lautamente, a convincere Balbo, in origine repubblicano, a diventare fascista, dopo i fatti del 20 dicembre del 1920. Furono ancora quei denari a consentirgli di costruire una milizia armata di tutto punto, da usare per contrastare con la violenza le rivendicazioni avanzate dalle classi lavoratrici. Certo è che senza Balbo, senza quella personalità esuberante e volitiva, senza quel disprezzo del pericolo, così come degli avversari, che resero noto “Pizzo di ferro”, come amavano chiamarlo i ferraresi durante il ventennio, la storia del fascismo sarebbe stata differente (Nota 1). E anche Mussolini ne era conscio.
A Balbo, e alla sua preparazione militare, maturata durante la Grande Guerra, si deve proprio quella organizzazione militare degli squadristi che, armati di tutto punto e muniti di materiale che i loro avversari nemmeno potevano immaginare – mitragliatori, armi, camion, moto, bombe a mano… acquistati grazie ai capitali messi a disposizione dagli agrari – combatterono senza scrupolo alcuno i braccianti agricoli organizzati nelle leghe, allo scopo di sconfiggere i socialisti e i comunisti e di far transitare al fascismo quell’enorme numero di lavoratori.
Per tentare di porre in essere un processo di conoscenza approfondito di quel travagliato periodo storico, ci giungono in aiuto, rispetto al passato, significative quantità di documenti prodotti dalle prefetture e dalle questure del regno tra 1920 e il 1922, che si aggiungono alle testimonianze orali raccolte e a quanto scritto nei decenni passati, permettendoci di ricostruire un quadro sempre più vicino alla drammatica situazione che, anche molte altre zone d’Italia, si trovarono a vivere nel biennio in cui furono sottoposte all’attacco dello squadrismo fascista.
Lo scopo della mostra è quello di riprendere in mano il filo della narrazione, ripercorrendo dalle origini la costituzione delle squadre fasciste ferraresi e il loro operato; il ruolo di Italo Balbo all’interno di esse appare, dunque, importante. Farlo mediante i documenti e le testimonianze, come è dovere dello storico, aggiungendo a ciò la scelta di far parlare proprio loro, i fascisti, gli squadristi, attraverso alcune opere scritte negli anni immediatamente successivi alla presa del potere e di far parlare Italo Balbo, il capo dello squadrismo e del fascismo estense – insieme a quello milanese, in quel frangente, il più numeroso a livello nazionale (Nota 2) –, con le parole del diario che egli dedicò all’anno cruciale della presa di potere fascista, il 1922, fornisce una carta in più per comprendere come avvenne la presa di potere fascista a livello nazionale.
Questa operazione dà la possibilità di attingere elementi ulteriori atti a dimostrare a quale tipo di pressione le classi lavoratrici, che negli anni Trenta vengono descritte plaudenti in massa il regime, furono sottoposte e da quale clima oggettivo abbia preso origine la cosiddetta “adesione di massa” al fascismo.

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Sfilata di fascisti in corso Giovecca nel 1921

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

Italo Balbo in partenza per una delle prime azioni squadriste, Ferrara 1921

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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Benito Mussolini e Italo Balbo assistono al passaggio del corteo dal balcone della vecchia Casa del fascio, Ferrara 1921

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

Alcuni spunti di riflessione

Il percorso della prima sezione, dedicata a Lo squadrismo raccontato dai fascisti prende inizio da un fatto largamente citato nei testi sulle origini del fascismo a Ferrara (Nota 3), quello che è noto agli storici come il primo eccidio del Castello estense, avvenuto a Ferrara il 20 dicembre del 1920, trattandosi dell’episodio che, in qualche modo, può essere considerato come il vero e proprio inizio dello squadrismo ferrarese.
Molta nuova documentazione, che probabilmente potrà dare vita ad interessanti approfondimenti, è stata recuperata negli archivi della questura ferrarese, ed una parte di essa esposta.
Il tragico fatto prese origine da quanto accadde il 18 dicembre del 1920 a Bologna: l’avvocato socialista on. Adelmo Niccolai, appena uscito dal Palazzo di giustizia, dove aveva difeso alcuni organizzati, venne affrontato da un gruppo agguerrito di fascisti che lo bastonarono a sangue e che non si fecero scrupolo ad alzare le mani su sua madre, scesa in strada dalla propria abitazione, limitrofa al tribunale, nel momento in cui aveva sentito le grida e le richieste d’aiuto del figlio.
L’episodio ebbe risonanza notevole nel Ferrarese, dove Niccolai ricopriva l’incarico di presidente del Consiglio provinciale, e, in breve, provocò notevole indignazione nella popolazione, culminando, come si legge nel volantino del 18 dicembre a firma della Federazione socialista e della Camera del lavoro, nella convocazione, il successivo lunedì 20 dicembre alle ore 14, dei lavoratori «per manifestare civilmente la nostra decisa volontà e imporre il nostro: basta! A questi sistemi di violenza» (Nota 4).
Da alcuni giorni, però, i fascisti avevano indetto una manifestazione per il 20 dicembre del 1920 contro l’amministrazione socialista che governava sia il Comune sia la Provincia. Perché il corteo riuscisse e risultasse numeroso, i fascisti ferraresi avevano concordato anche la presenza di squadre bolognesi. La concomitanza delle due manifestazioni preoccupava non poco il prefetto De Carlo, il quale, dopo lunghe trattative con le parti, concordò che la manifestazione socialista si sarebbe tenuta all’interno del teatro comunale, mentre il corteo fascista avrebbe circolato per le strade della città. Va detto che in quel frangente, complici i fatti del bolognese Palazzo d’Accursio di nemmeno un mese prima, il fascismo scalpitava e cercava di sfruttare qualsiasi pretesto per sfogare la propria violenza contro gli avversari.
Durante la manifestazione, il contatto tra le due parti opposte avvenne, probabilmente, in maniera casuale: un gruppo di infermieri che stava arrivando in ritardo alla manifestazione e che era preceduto dalla bandiera rossa, venne attaccato dai fascisti i quali, come testimoniato dai documenti, volevano impadronirsi del vessillo socialista.
Difficile ricostruire con certezza chi, in quella tragica giornata abbia sparato il primo colpo: non del tutto impossibile – la consultazione di carte recentemente acquisite rafforza in questo senso – pensare che, nel parapiglia causato dal contatto tra le due parti avverse, un provocatore possa avere sparato tra i fascisti, colpendo Gozzi.
Resta però il fatto, scrive lo storico Roveri che «come già a Bologna, così a Ferrara furono i fascisti a cercare lo scontro, organizzando il truce ed aggressivo movimento dei loro uomini verso le sedi in cui, in barba alla fraseologia rivoluzionaria di ogni giorno, i socialisti stavano democraticamente e pacificamente svolgendo la loro attività politica» (Nota 5) ed è un dato di fatto che furono i fascisti a trarne giovamento.
Fu quasi tutta la borghesia locale, piccola, media, alta, ad inviare, attraverso le associazioni che la rappresentavano, un telegramma a Giolitti nel quale si chiedeva l’apertura di una inchiesta parlamentare, così come era stato per i fatti di Bologna, che facesse luce sulle responsabilità nella strage degli amministratori socialisti. A questo fecero seguito le dimissioni di tutti i consiglieri comunali di minoranza.
I funerali delle vittime si trasformarono in una vera e propria manifestazione di forza: la prova generale del fascismo che, da quel momento in poi, nonostante la dinamica non certo chiara dei fatti, si sentì legittimato a scendere in campo contro i socialisti, le leghe rosse e quelle bianche che difendevano i lavoratori.

 

 

 

 

 

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documenti sui fatti del 20 dicembre 1920

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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Tra gli altri punti cardine del percorso spicca quello relativo all’antico scontro tra i braccianti e i proprietari terrieri della provincia estense, caratterizzato dall’estrema povertà dei lavoratori della terra locali, tale da essere la vera e propria origine dell’ascesa al potere del movimento fascista nel momento in cui accetta di diventare il braccio armato degli agrari, desiderosi di vendetta o di riscatto, a seconda dei punti di vista, dopo le lotte bracciantili del biennio rosso.

Campagna ferrarese con scarriolanti al lavoro, Codigoro (FE) anno Venti

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti,
e-book, Comune di Ferrara)

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Scarriolanti al lavoro, Codigoro (FE)

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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La fatica e l'occhio del padrone

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

Ma la parte centrale è quella che analizza Italo Balbo attraverso le parole che egli stesso usa per raccontare il 1922: l’anno che vide i fascisti, organizzati militarmente dal futuro ras estense grazie ai finanziamenti dell’associazione degli agrari locali, travolgere con violenza inaudita le organizzazioni bracciantili, bianche o rosse che fossero, nelle campagne ferraresi e padane, uccidendo, ferendo, torturando, distruggendo e bruciando tutto ciò che in qualche modo poteva essere legato a quella cultura che aveva provato, nei decenni precedenti, ad opporsi allo strapotere prima dei grandi latifondisti ed, in seguito, dei grandi capitali che, dopo le smisurate bonifiche di fine Ottocento, avevano stravolto il paesaggio economico e sociale di quelle terre. È in quel diario, redatto dieci anni dopo, certo con lo scopo strumentale di scrivere una propria “epica” biografia, nonostante le importanti riscritture alle quali lo costrinse Mussolini (Nota 6), impegnato ad evitare che la figura di Balbo risultasse esageratamente eroica rispetto alla propria, che ritroviamo, fuori da ogni discussione e strumentalizzazione politica dell’oggi, la verità sulle origini del fascismo italiano.
In esso appare evidente che la chiave di volta del movimento, che non aveva saputo imporsi all’interno delle seppur “arrugginite” dinamiche democratiche dello stato liberale e aveva subito pesanti sconfitte durante le competizioni elettorali, fu proprio quella della “religione” della violenza. Per Balbo e gli squadristi che organizzava era necessario coltivare la violenza nei confronti dell’avversario, per altro molto più numeroso anche se ben poco organizzato, rendendola una sorta di culto e tramite questo processo, legittimandola, rendere possibile ai fascisti, di catalizzare attorno a sé tutte quelle vaste frange di malcontento che andavano dai reduci della prima guerra mondiale, disillusi e disperati a causa delle insostenibili situazioni economiche, sino a quegli agrari, più o meno grandi, che desideravano una rivincita nei confronti dei lavoratori, organizzati dalle leghe e dal Partito socialista, che avevano dato loro, solo poco tempo prima, bel filo da torcere (Nota 7).
A chiarire la filosofia di Balbo, nel 1932 capo indiscusso nella città estense: «A chi mi chiedeva quale fosse il segreto di una organizzazione volontaria così perfetta rispondevo... esaltazione della violenza come il metodo più rapido e definitivo per raggiungere il fine rivoluzionario».
Di fronte a tale affermazione si chiude qualsiasi dissertazione di carattere storico e politico relativa al rapporto tra fascismo e violenza: nel libro, del 1932, infatti, Balbo manifestava con evidenza la volontà di stringere l’occhio a quella parte del fascismo, che era stata fondamentale per il raggiungimento del potere ed era stata poi collocata in pensione da Mussolini, nel momento in cui era divenuto evidente che il fascismo teneva salde tra le mani le redini del Paese e lo faceva in modo chiaro e diretto, affermando che gli squadristi e la violenza da essi esercitata era stata fondamentale per l’ascesa fascista.
Ma il percorso di ascesa al potere descritto dal massimo gerarca estense colpisce ancora di più considerando che la pubblicazione avviene nel 1932: furono anni, quelli attorno al 1932 che videro la città estense – mentre i braccianti delle campagne vivevano in condizioni sempre più disagevoli, dal momento che il controllo del mercato del lavoro era tornato completamente nelle mani degli agrari – accrescere di importanza a livello nazionale, grazie all’impegno di Balbo e del suo gruppo, conquistando fama a livello artistico e culturale. Proprio grazie al potere assoluto esercitato a Ferrara da Balbo e dal suo entourage, egli si permise, anche se in tono scanzonato e giovanilistico, di raccontare come andarono le cose nel momento della presa del potere, senza sentire il bisogno di edulcorare eccessivamente i modi violenti usati per zittire il nemico.

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                            Italo Balbo, Diario 1922

                            (da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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Balbo alla marcia su Roma, 1922

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

Per comprendere in maniera pratica quelle che furono le conseguenze che il “culto” della violenza e della prevaricazione fisica dell’avversario ebbero sui ferraresi, una storia di quel drammatico 1921 dove essere raccontata, anche perché quasi dimenticata, durante i decenni, sia dagli storici sia dagli antifascisti. Si tratta dell’omicidio a sangue freddo, perpetrato da Arturo Breveglieri, tra i fondatori con Balbo dello squadrismo estense e tra i capi della banda di picchiatori “Celibano”, di Tullio Zecchi, un giovane diciassettenne, originariamente socialista che, da poco tempo, aveva aderito alla gioventù comunista, avvenuto a Ferrara in zona Darsena il 2 o il 3 aprile 1921. Insieme a Tullio era stato ferito gravemente un altro adolescente, Sabino Lambertini, che stava passeggiando in sua compagnia. L’uccisione era avvenuta perché i due giovani si erano interposti tra i fascisti e un gruppo di bambini che sulle mura stavano giocando a “comunisti e fascisti”, proprio come i bambini comunemente giocano a guardie e ladri, cantando inni “sovversivi”, insopportabili per le “sensibili” orecchie di Berveglieri e dei suoi amici che, per zittirli, li avevano affrontati armi in pugno.
Alla vista della situazione Zecchi e Lambertini erano subito intervenuti e proprio in quel frangente, Breveglieri aveva fatto fuoco verso di loro, causando la morte di Tullio ed il ferimento di Sabino.
L’inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, del 1922, riportando quanto scritto dal «l’Avanti!» in quei giorni, sottolineava che il fascista, che aveva agito a sangue freddo, e che era stato riconosciuto da molti presenti e prontamente denunciato, non solo non era stato arrestato dalle forze dell’ordine, ma probabilmente da queste ultime era stato protetto nella fuga.
Il 4 aprile 1921, Mussolini era atteso a Ferrara per un comizio e per assistere ad un imponente corteo nella provincia, considerata la roccaforte fascista d’Italia, che gli aveva offerto la candidatura nella circoscrizione Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì, insieme a Vico Mantovani, rappresentante degli agrari locali; Breveglieri, che qualche giorno dopo venne ucciso durante uno scontro con i socialisti, marciò a fianco del futuro dittatore italiano.

 

Controcanto antifascista: la cronaca, le storie

La seconda sezione, vuole raccontare la storia di uomini e donne che, come scrive la curatrice Delfina Tromboni,

con la morte pagarono il loro stare dalla parte della libertà, e sono gli eroi civili su cui è costruita la nostra Repubblica democratica, con la sua ineguagliata Carta Costituzionale – ma anche – di uomini e donne che con la morte pagarono il terribile errore di aver scambiato un movimento reazionario, che di lì a poco si sarebbe tradotto in una sanguinosa dittatura, con un moto anch’esso a suo modo “rivoluzionario” – ed altri – che con la morte pagarono il loro semplice trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato, travolti da una violenza che varcava le soglie stesse delle case, non fermandosi davanti a nulla.

Il percorso si snoda attraverso la lunga e tragica teoria delle aggressioni fasciste ai braccianti e ai lavoratori socialisti e alle leghe bianche e rosse che li avevano organizzati e difesi. Le notizie, sono raccolte sia dai documenti, sia, nella parte più cospicua, dalla Inchiesta socialista sulle gesta del fascismo in Italia, pubblicata a Milano, dall’«Avanti!» nel 1922.
Il percorso non vuole essere esaustivo, ma puramente esemplificativo, e, tuttavia, permette di comprendere il clima nel quale i lavoratori delle campagne estensi furono costretti a vivere tra il gennaio 1921 e il maggio 1922 (periodo per il quale sono state recuperate notizie) tra violenza, morte, torture, distruzione sistematica di abitazioni e di beni di primo consumo, perpetrati dai fascisti, troppo spesso con il beneplacito delle forze dell’ordine che in alcuni casi, addirittura, passavano prima delle milizie fasciste per avere la certezza di consegnare loro un paese inerme e sottomesso.

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gagliardetti dedicati ad Arturo Breveglieri tra i fondatori della squadra d'Azione Celibano che operava nel Ferrarese

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

La miriade di azioni ai danni di quanti si opponessero al fascismo, restituisce l’immagine di una popolazione assediata dalla mano armata degli agrari, rivelando, inoltre, la già tristemente nota compromissione di un grande numero di membri delle forze dell’ordine che, già nel 1921, apparivano schierati a favore del fascismo.

1921, Ferrara, diffusione del «Balilla»

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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1922, Ferrara, Palazzo municipale e Castello estense

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

Oltre alla storia esemplare del comunista Umberto Travagli – perseguitato dai fascisti, esule a Torino dove lavorò con Antonio Gramsci nella sede del periodico «L’Ordine Nuovo»; inviato dallo stesso Gramsci a Parma, nel 1922, per partecipare alle “barricate dell’Oltretorrente” contro gli squadristi di Italo Balbo e che venne processato perché trovato in possesso di materiali sull’uccisione di Sacco e Vanzetti e condannato a tre anni – in questa seconda sezione sono collocate alcune storie che esemplificano in quale clima i ferraresi vissero il 1921 e il 1922. Spicca tra queste quella della merciaia ambulante Costanza Babini, accusata di porto abusivo di rivoltella, quella stessa con la quale aveva cercato di difendersi dai fascisti che «per la fede comunista della donna» la perseguitavano minacciandola di morte e per il cui porto non autorizzato venne condannata a tre mesi di carcere.

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Il quaderno con la composizione inedita di Umberto Travagli sull'uccisione di Sacco e Vanzetti

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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Sentenza processo Costanza Babini

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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Prima e quarta di copertina dell'opuscolo sulla Terza internazionale comunista stampato e diffuso nel 1921

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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Foto di Umberto Travagli nel fascicolo che la Questura di Ferrara aprì su di lui negli anni Venti

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

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Pagina delle memorie autografe di Umberto Travagli

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

Documenti originali sullo squadrismo ferrarese dai fondi dell'Archivio di Stato di Ferrara

La terza sezione della mostra, a cura di Davide Guarnieri, riporta documenti originali relativi al periodo e agli eventi qui raccontati, provenienti sia dal fondo di Gabinetto di Prefettura sia da quello di Gabinetto di Questura.
Tra i tanti possono essere ricordati quelli che raccontano i fatti del 20 dicembre del 1920; quelli relativi alle dimissioni delle giunte socialiste alla guida dei Comuni che portarono al commissariamento prefettizio e, quindi, alla presa di potere fascista; molti documenti relativi alle violenze fasciste della primavera del 1921 e così via.

 

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Documento s.d. redatto dopo una manifestazione indetta a seguito dei fatti del 20 dicembre in cui i fascisti chiedono la sospensione delle amministrazioni comunale e provinciale

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

26 dicembre 1920: il sindaco Bogiankino e il presidente dell'amministrazione provinciale avv. Angelini si recano a Roma e chiedono, tramite Turati, un incontro a Giolitti. Contro di loro, assediati nelle abitazioni, agrari e fascisti promuovono una campagna ostile in quanto non ferraresi

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

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14 gennaio 1921: minuta del telegramma del prefetto al ministero dell'Interno in cui informa del mandato di cattura, firmato dal procuratore del re, contro Bogiankino, Angelini e Zirardini che erano in partenza per il congresso del Psi di Livorno

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

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12 aprile 1921: gli impiegati comunali iscritti al Psi di Cologna vengono costretti alle dimissioni

(da Lo squadrismo: come lo raccontarono i fascisti, come lo vissero gli antifascisti, e-book, Comune di Ferrara)

 

Il Comune di Ferrara ha deciso di pubblicare sul proprio sito, tra gli e-book editi dalla stessa istituzione, quello che contiene l’intera mostra con testi, documenti e immagini che hanno composto l’esposizione, rispondendo anche alle richieste di numerosi visitatori provenienti da ogni parte d’Italia che ne avevano fatto richiesta.

L’e-book è scaricabile gratuitamente al seguente indirizzo:

http://www.comune.fe.it/index.phtml?id=3886

 

NOTE:

Nota 1 Sulla figura di Italo Balbo e in relazione ai rimandi a fatti particolari della sua esistenza, si vedano: la biografia, dedicata al massimo gerarca estense da Giorgio Rochat, per i tipi dell’UTET e il volume di Paul Corner, Il fascismo a Ferrara, edito dalla Laterza nel lontano 1974, nei quali, dopo un certosino lavoro di ricerca documentaria, gli autori ricostruiscono con dovizia di particolari la biografia di Balbo. Non si può dimenticare, poi, la biografia del ferrarese pubblicata da Giordano Bruno Guerri (Bompiani, Milano 2013; I edizione 1983): ricca di notizie particolari, dedotte dalle interessanti, seppur difficilmente confutabili, testimonianze raccolte presso amici e parenti che hanno accolto lo storico e con lui hanno condiviso la documentazione posseduta oltre ai ricordi. Torna al testo

Nota 2 G. B. Guerri, Italo Balbo, Bompiani, Milano 2013, p. 90. Torna al testo

Nota 3 Si vedano a proposito: A. Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara 1918/1921, Feltrinelli, Milano 1974 e P.R. Corner, Il fascismo a Ferrara, Laterza, Bari 1974. Torna al testo

Nota 4 Archivio di Stato di Ferrara, Questura, Gabinetto, cat J1, b. 1. Torna al testo

Nota 5 A. Roveri, Le origini del fascismo, cit., pp. 102-103. Torna al testo

Nota 6 Numerosi riferimenti al Diario 1922di Balbo e alle riscritture di bozze “consigliate” da Mussolini al ferrarese sono presenti nella già citata biografia di Balbo di G. B. Guerri. Torna al testo

Nota 7 I. Balbo, Diario 1922, Mondadori, Milano 1932. Torna al testo

 

Questo contributo si cita: A. Guarnieri, Lo squadrismo raccontato dai fascisti, in «Percorsi Storici», 3 (2015) [www.percorsistorici.it]

Questo contributo è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

 

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