Alessio Marzi, «Siamo canadesi solo per la nascita, però abbiamo il bisogno di sentirci friulani»: la regionalizzazione dell'emigrazione dall'Italia nel secondo dopoguerra e la Repubblica transnazionale delle regioni

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Alessio Marzi

«Siamo canadesi solo per la nascita, però abbiamo il bisogno di sentirci friulani»: la regionalizzazione dell’emigrazione dall’Italia nel secondo dopoguerra e la Repubblica transnazionale delle regioni (Nota 1)

 

La scarsa praticabilità di un unico modello nazionale di emigrazione (Nota 2) ha indotto gli studiosi a riconoscere la necessità di articolare la ricerca storica prendendo in considerazione una scala regionale o paesana delle partenze (Nota 3). L’ampia pratica di un approccio subnazionale non ha tuttavia ridimensionato, anche nell’ambito della storia delle migrazioni, l’ambiguità dell’idea stessa di “regione” che Lucio Gambi aveva definito su «Quaderni Storici» «una fra le meno chiarificate, anzi fra le più confuse e ingarbugliate, di quante ora si usano in campo politico, economico, urbanistico o genericamente culturale» (Nota 4). Anche gli studiosi delle migrazioni hanno privilegiato volta per volta “regioni” identificate in modi diversi: alcuni hanno utilizzato la partizione statistica del Regno d’Italia, poi divenuta amministrativa con la Costituzione repubblicana, le «Regioni» con la erre maiuscola (Nota 5). Altri hanno usato come area d’indagine “regioni storiche” solitamente più piccole, definite in base a reali o presunte peculiarità politiche, culturali o etniche di lungo periodo (Nota 6). Infine, altri ancora hanno delineato autonomamente delle “regioni migratorie”, aree che trascendono qualsiasi partizione amministrativa e definite proprio in base a particolari comportamenti migratori ed alle conseguenze degli espatri sulle loro economie ed identità locali (Nota 7). La storiografia ha dunque prestato molta attenzione all’articolazione subnazionale del fenomeno migratorio, ma, parallelamente ha dimostrato uno scarso interesse per l’operato dei governi regionali(giunte, assessorati, segretariati di diretta emanazione, associazioni regionali ecc.), nonostante il loro impegno nel settore dell’emigrazione nel periodo 1970-1990. A partire dal biennio “caldo” 1968-69 ed almeno fino ai primi anni Novanta, alcune giunte si sono sostituite alla Repubblica ed ai suoi organi diplomatici come principale interlocutore istituzionale delle comunità all’estero. A loro volta, i lavoratori espatriati hanno formato dei circoli su base regionale allo scopo di favorire l’interazione istituzionale, la partecipazione politica nelle consulte dell’emigrazione, il mantenimento dei legami transnazionali, la costruzione di un’identità diasporica, la possibilità di accedere in modo più agevole al welfare regionale. La relativa indifferenza degli storici, dei sociologi e degli studiosi di scienze politiche nei confronti di questo settore delle politiche Regionali va ricondotta soprattutto al fatto che il dialogo tra le regioni-amministrazioni e gli espatriati si è manifestato in modo particolare in un periodo durante il quale e sul quale l’interesse degli studiosi delle migrazioni e dei mass media è stato ed è molto scarso: gli anni Settanta ed Ottanta (Nota 8).
Esporremo in questo articolo i primi risultati di una più ampia ricerca tuttora in corso presso l’Università degli studi di Trieste relativa al case study della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, nata nel 1964, e dalla quale, secondo i dati Istat, sono partiti più del 5% degli oltre 7 milioni di cittadini italiani espatriati nel periodo 1946-1976. Nella prima parte dell’articolo si analizzerà il delinearsi su basi territoriali dei flussi migratori dopo la Seconda guerra mondiale proponendo un percorso di lettura dei documenti dell’Archivio centrale dello Stato alternativo a quelli tentati finora. Si analizzerà quindi l’emergere dell’associazionismo estero su base subnazionale ed infine il ruolo di mediazione degli enti locali e delle associazioni di diretta emanazione attraverso alcuni documenti inediti: «Friuli nel Mondo-Giornale illustrato degli emigrati»,bollettino stampato ad Udine dal 1952; il materiale conservato nel copioso archivio dell’Associazione giuliani nel mondo di Trieste (Agm); i bollettini ed altro materiale dell’archivio dell’Unione emigrati sloveni del Friuli-Venezia Giulia di Cividale (Ues). Si farà riferimento anche ad alcuni documenti prodotti dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (Fvg), quali gli atti delle quattro Conferenze regionali dell’emigrazione (Udine 1969 e 1979; Grado 1985; Lignano Sabbiadoro 1993).

 

La dimensione regionale dell’emigrazione dopo il 1946

In genere i nostri emigranti in Canada provengono da quattro regioni: Friuli, Abruzzi e Molise, Campania e Calabria [...]. Dovunque esistono comunità italiane, vi sono associazioni varie per lo più a carattere regionale, che funzionano principalmente come società di mutuo soccorso e assistenza (Nota 9).

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i flussi migratori si andarono ridefinendo ed organizzando su base locale, provinciale o regionale, non nazionale. È stato questo il risultato del riattivarsi delle vecchie catene migratorie basate sulla famiglia e sul paese di origine, ma anche dell’emigrazione “assistita” dalla Repubblica e di una serie di modalità intermedie di espatrio che fino a questo momento sono state poco considerate dai ricercatori e di cui si dirà.
Il quadro istituzionale e normativo ed il generale significato politico in cui avvenne la ripresa dell’emigrazione dall’Italia nei primi dieci anni dopo il 1946 sono stati esaminati da un ristretto numero di studiosi (Nota 10). Attraverso la ricerca d’archivio essi hanno rilevato come l’obiettivo dei primi governi del dopoguerra sia stato quello di «far partire dall’Italia il più rapidamente possibile il maggior numero di persone» (Nota 11) soprattutto allo scopo di alleviare la disoccupazione e le tensioni sociali. Lo strumento individuato ed utilizzato dal Ministero del lavoro (Minlav) e dal Ministero degli affari esteri (Mae) per raggiungere quest’obiettivo furono gli accordi bilaterali per l’emigrazione assistita, che l’Italia stipulava con i paesi di destinazione in modo piuttosto «disinvolto» (Nota 12), senza cioè essere in grado di far fronte agli impegni presi o di garantire la propria assistenza ai lavoratori durante il viaggio o una volta passata la frontiera. Una parte dei cittadini italiani che aspiravano a lavorare all’estero rifiutò l’assistenza della Repubblica, preferendo attraversare clandestinamente il confine o raggiungere per proprio conto familiari precedentemente emigrati. Altro paradosso rilevato dalla storiografia: in quegli anni ad essere favoriti nelle assunzioni all’estero non erano i disoccupati ma piuttosto gli operai qualificati o semi qualificati che molto spesso avevano già un lavoro in Italia prima di partire (Nota 13). Il giudizio storico e coevo sul fallimento dei primi governi repubblicani in materia di gestione dell’emigrazione è piuttosto condiviso ed ha ancora oggi molti riflessi nella memoria collettiva e nella persistente diffidenza degli Italiani all’estero nei confronti degli organi diplomatici.
Nell’ambito degli accordi bilaterali concorrevano a definire i flussi su base subnazionale le modalità di selezione e reclutamento dei lavoratori che avvenivano attraverso gli Uffici regionali e provinciali del lavoro e della massima occupazione (Urlmo e Uplmo). Essi svolgevano la propria attività in base a specifiche “quote” assegnate loro dal Governo, sul totale del contingente richiesto dal paese estero. Da un’ulteriore analisi della documentazione d’archivio è possibile tracciare i criteri con i quali venivano assegnate le quote alle singole regioni o province. Innanzi tutto il Ministero del lavoro si orientava in base al tipo di qualifica o di settore professionale richiesto dagli imprenditori. I candidati all’espatrio venivano cercati, banalmente, laddove c’erano maggiori possibilità di reperire lo specifico “capitale umano” richiesto: se metalmeccanici dove c’erano molte industrie metalmeccaniche, e così via. In questo modo si tentava anche di soddisfare il più possibile gli imprenditori stranieri, che si temeva potessero rivolgersi agli operai di altri paesi. Nello scegliere le province in cui reclutare i lavoratori, il Ministero considerava criteri di opportunità politica oltre a quello professionale, per cui l’attivazione di un canale di espatrio su un determinato territorio diventava oggetto di “scambio” in senso clientelare oppure strumento di “bonifica etnica” o politica. Dalla documentazione riguardante il Friuli-Venezia Giulia è emerso come sia stata favorita ed auspicata anche dalle autorità repubblicane, in continuità col periodo fascista, la partenza dei cittadini italiani di lingua slovena e, almeno nei primi anni, dei profughi istriani, clandestini e non. Entrambi i gruppi erano infatti considerati, per motivi diversi, politicamente scomodi (Nota 14). Si veda anche il caso uguale e contrario di “promozione” di un’intera comunità ad opera del senatore socialdemocratico Giuseppe Ernesto Piemonte, che l’11 giugno 1950 scriveva al Minlav per “raccomandare” una lista di cinquanta operai del Comune di Tramonti di Sopra presentata in precedenza dall’Uplmo di Udine (Nota15). A loro volta molti degli Urdlmo e Uplmo facevano pressioni di tutti i tipi sul Ministero per “promuovere” il proprio territorio di competenza allo scopo di farsi attribuire una maggiore quota di emigrazione assistita, vantando l’affidabilità e la serietà dei “propri” operai (spesso descritti come un prodotto da esportare), e quindi, anche il lavoro di selezione svolto dall’Ufficio stesso (Nota 16). Molti altri Uffici del lavoro cercavano direttamente delle imprese straniere disposte ad assumere i “propri”disoccupati; lo stesso facevano alcuni comuni e province. A tale scopo venivano inviate delle missioni all’estero nella completa illegalità oppure venivano intrattenuti contatti diretti con le aziende d’oltralpe, con le ambasciate italiane all’estero, con quelle straniere in Italia, senza alcuna altra mediazione istituzionale e svolgendo, di fatto, funzioni di politica estera. In questo modo gli imprenditori stranieri o le associazioni di categoria dei paesi esteri disponevano di «lunghi elenchi» di disoccupati provenienti dalla stessa provincia o regione da contattare direttamente o passando ancora una volta tramite gli Uplmo o Urlmo per la definitiva assunzione (Nota 17).
Nell’ambito dell’emigrazione assistita concorrevano a “regionalizzare” i flussi anche le autorità preposte all’immigrazione o gli imprenditori dei paesi di destinazione, che spesso chiedevano che i lavoratori venissero reclutati in determinate regioni o province d’Italia in base alla loro presunta affidabilità politica, dando cioè la preferenza ai territori dove il Partito comunista era più debole (Nota 18). È interessante notare a tale proposito che la tradizionale dicotomia tra settentrionali e meridionali (Nota 19) fu sostituita, nell’immaginario dei paesi esteri, da “classifiche regionali” più articolate e che attraversavano trasversalmente la penisola. Agli Urlmo e Uplmo ed ai cinque Centri di emigrazione di Genova, Napoli, Milano, Messina e Verona, tutti dipendenti dal Ministero del Lavoro, si affiancarono dunque per tutti gli anni Cinquanta una «molteplicità di missioni straniere di immigrazione» (Nota 20dislocate nelle regioni o province prescelte ed incaricate dalle autorità pubbliche o private dei paesi esteri di selezionare e reclutare i lavoratori italiani, ognuna operante con propri criteri particolari e spesso “riservati” ed in relativa o totale autonomia dagli Uffici del lavoro.
Oltre agli organi periferici dello stato, agli enti locali ed ai paesi esteri, ci furono altri agenti e fattori che contribuirono ulteriormente a determinare la formazione dei flussi su base regionale, all’interno di una serie infinita di modalità intermedie di emigrazione a cavallo tra quella libera e quella assistita, una “zona grigia” che vedeva il coinvolgimento di altri enti ed istituzioni pubbliche e che nei documenti d’archivio è indicata con un caleidoscopio di espressioni: emigrazione «su atto di chiamata collettivo», «individuale finanziata», «supplementare», «semilibera», «assunzione anonima numerica», ecc. Va quindi tenuta presente «l’interferenza esercitata [...] dagli enti più vari, più o meno identificati ed identificabili», quali l’International refugee organization o il Comitato intergovernativo per le migrazioni europee, o altri ancora che nel 1950 l’Urlmo del Veneto (fino al 1954 con competenza anche sul Friuli-Venezia Giulia) riconosceva nelle associazioni sindacali (specie le cattoliche Cisl e Acli), nelle Camere di commercio, nell’Istituto di credito per il lavoro italiano all’estero, «nonché singoli privati». Da questa situazione, secondo la stessa fonte sarebbero derivati innumerevoli problemi e conflitti di competenza (Nota 21). 

 

Il riorganizzarsi su base regionale degli emigrati

Capitò un giorno che sul mezzo di trasporto Antonio fosse intento a leggere La Fiamma, il giornale italiano di Sydney. Gli si affiancò un’aborigena che, strappatogli il foglio dalle mani, lo usò per schiaffeggiarlo chiamandolo Mussolini Hitler. Frastornato, scese e andò a lavorare a piedi [...] (Nota 22).

Fra il ‘50 ed il ‘52 continuò ad essere un’impresa riuscire a comunicare con gli Australiani. Loro combattevano ancora la guerra d’Africa, noi no (Nota 23).

Le catene migratorie formatesi dopo il 1946 su basi provinciali o regionali (diverse da quelle degli anni precedenti, che avevano come base la famiglia o il paese) intervennero direttamente nella proliferazione dei sodalizi e dei circoli che all’estero si organizzarono sulla stessa scala. Il ristrutturarsi delle collettività su base subnazionale deve anche essere interpretato come un’opposizione alla cattiva immagine dello Stato italiano all’estero e ad un certo modo di intendere l’italianità da parte del fascismo (Nota 24), ed anche come un atto di prudenza. Dopo la Seconda guerra mondiale, con le significative eccezioni della Svizzera e della Germania, le mete caratteristiche dell’emigrazione furono paesi ai quali il Regno d’Italia fascista aveva dichiarato guerra e ad opera dei quali era stato sconfitto: la Francia, i paesi del Commonwealth ed i paesi dell’America Latina già alleati degli Stati Uniti.
Anche in età repubblicana e fino a tempi molto recenti, le iniziative del Mae e dei consolati volte a raggiungere materialmente gli “Italiani nel mondo” allo scopo di creare (o rafforzare) un legame con la nazione di origine, oltre a lasciare spesso indifferenti gli stessi emigrati, sollevarono spesso i sospetti e l’avversità di alcuni settori dell’opinione pubblica dei paesi esteri, pure in Stati divenuti democratici o aperti al multiculturalismo. Ancora negli anni Ottanta, ad esempio, nella Repubblica federale tedesca, in Canada ed Australia fu impedito ai cittadini italiani di eleggere i comitati di rappresentanza consolare (Coemit, Comites) (Nota 25). In tempi ancora più recenti, in altri paesi vennero sollevate obiezioni sulla riforma elettorale italiana del 2002 e la conseguente creazione della “circoscrizione estero”. Viceversa il proliferare di associazioni, club o circoli regionali, non hanno generalmente sollevato avversione, controversie giuridiche o paure nell’opinione pubblica così come la successiva attività delle regioni all’estero (Nota 26). Questo vantaggio fu riconosciuto alla Conferenza regionale dell’emigrazione di Udine nel 1979 dal Direttore generale emigrazione ed affari sociali del Mae, Giovanni Migliuolo, nel corso di un intervento paradossalmente tutto rivolto a sottolineare la necessità che la Regione Friuli-Venezia Giulia limitasse il proprio “protagonismo” all’estero in quanto, a suo dire, contrario alla Costituzione (Nota 27).
Associazioni, sodalizi e club subnazionali all’estero esistevano da tempo, ed anzi, prima del 1918 erano stati probabilmente la regola, non l’eccezione (Nota 28).
Ci sono però molte differenze tra la natura e le attività delle associazioni operanti nella prima metà del Novecento e quelle attive in età repubblicana e tutt’oggi esistenti. A tal proposito sarà utile confrontare quanto rilevato dalla storiografia per il periodo d’anteguerra con i primi risultati dell’analisi di lungo periodo basata sui fondi documentari precedentemente indicati.
Ad inizio secolo i sodalizi nati su base territoriale (così come le catene migratorie), avevano avuto una dimensione prevalentemente “paesana”, non regionale. Generalmente, questi circoli “campanilistici” che associavano soprattutto emigrati di origine proletaria, organizzavano la celebrazione annuale del santo patrono e, soprattutto, svolgevano funzioni di mutuo soccorso. Per questo motivo, oltre che per l’emergere del fascismo che privilegiava e finanziava l’associazionismo “nazionale”, essi persero parte della propria ragione d’esistere a partire dagli anni Venti e Trenta in seguito allo sviluppo della sanità pubblica statale e del welfare state in molti paesi di emigrazione, quali l’Argentina e le nazioni europee (Nota 29). Dopo la guerra, i circoli si formarono (o riformarono) su basi territoriali quasi sempre più ampie di un singolo paese, ed operarono anche in ambiti che erano stati propri delle vecchie associazioni “nazionali” e di ceto medio (Nota 30): cultura, socializzazione e sport. I nuovi (o rinnovati) circoli regionali, dopo il 1945, svolsero anche un’ importante funzione di rappresentanza e di mediazione con la homeland, attraverso il mantenimento di contatti diretti con i corregionali espatriati in altre città o nazioni, e con gli enti pubblici locali italiani. Questi circoli furono il principale veicolo di informazioni all’estero su quanto accadeva nelle zone di origine e sulle opportunità di rientro. Gli stessi sodalizi regionali rappresentarono spesso un palcoscenico sul quale i cosiddetti “prominenti” ebbero la possibilità di emergere da un punto di vista sociale e di vedere riconosciuto il proprio ruolo di guida all’interno delle comunità. Dall’analisi degli statuti, degli organigrammi e dei registri dei soci dei circoli giuliani all’estero, è emerso, oltre al loro carattere interclassista, come essi siano stati spesso fondati o amministrati da imprenditori, industriali, liberi professionisti o professori universitari. Per alcuni “emigrati di successo” il circolo ha rappresentato il trampolino di lancio per l’elezione nel locale Coemit oppure per la nomina a Cavaliere del lavoro o comunque per veder riconosciuta (o semplicemente conosciuta) la propria storia di vita e di lavoro all’estero (Nota 31).
Nel secondo dopoguerra si assistette alla proliferazione di questo tipo di associazioni. Nel 1952, data di fondazione ad Udine dell’Ente Friuli nel mondo, erano operanti sette circoli friulani e giuliani in Argentina, uno a Montevideo, due negli Stati Uniti ed uno a Toronto; entro il 1970 sorgeranno almeno altri trentotto circoli aderenti alla sola Efm in dieci paesi diversi, europei ed extraeuropei (Nota 32). Negli anni successivi, anche per l’impulso diretto della Regione, i circoli friulani e giuliani, nonché quelli dei cittadini italiani di lingua slovena, saranno sull’ordine delle centinaia. 

 

I segretariati regionali di emigrazione, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e le associazioni di contestazione: iniziative, strumenti, retoriche

Noi siamo un popolo disperso che nome non ha […]. Lo stesso Segretariato di Udine dovrebbe intensificare il collegamento d’ogni colonia con le altre colonie, e di tutte le colonie con la nostra patria (Nota 33).

La grande novità dell’età repubblicana fu la nascita di associazioni di emigrazione aventi sede in Italia e legate direttamente ai governi locali quali appunto l’Ente Friuli nel mondo, i Giuliani nel mondo o l’Unione emigrati sloveni del Friuli-Venezia Giulia. Esse vengono chiamate in un primo momento “segretariati” o “patronati”, ma ciò che conta è la novità dei loro obiettivi: creare delle federazioni nazionali dei sodalizi di corregionali all’estero; mettere in contatto tra loro le varie federazioni anche per avviare iniziative comuni; incentivare la nascita di nuovi circoli ed associazioni di corregionali nei vari paesi di emigrazione e contattare direttamente quelli esistenti per uno scambio reciproco di informazioni; prestare assistenza ai rimpatriati; comunicare all’estero le iniziative dei comuni, delle province e delle regioni di riferimento. L’ultima funzione elencata, quella di “rappresentanza istituzionale” è stata forse la più importante anche perché la conduzione di una vera e propria “politica estera” da parte degli enti locali era fortemente avversata dagli organi della Repubblica Italiana, che considerava propria esclusiva prerogativa il contatto diretto con gli espatriati. È nostra convinzione che, nel caso della Regione Friuli Venezia-Giulia, tali paure siano state ulteriormente amplificate dalla sua delicata posizione di confine, da sempre generatrice di inquietudini (Nota 34). Essa, al contrario di altre regioni, non si dotò mai di un assessorato ad hoc, ma si affidò sempre ai segretariati. In modo piuttosto simile, quasi tutte le regioni italiane, attraverso le associazioni di emigrazione costituite nei capoluoghi e soprattutto con il coinvolgimento dei sodalizi di corregionali all’estero, costruiranno dei veri e propri network di dimensioni mondiali.
L’Ente Friuli nel mondo (Efm) fu fondato ad Udine nel 1952 e può essere considerato il primo “moderno” segretariato di emigrazione regionale nato in Italia. Le istituzioni coinvolte nella sua fondazione furono, da quanto emerso dalla poca e contraddittoria documentazione a disposizione, la Società filologica friulana, la Camera di commercio di Udine, le Province di Gorizia ed Udine (fino al 1968 comprendente anche Pordenone), i circoli friulani di New York e Buenos Aires (fondati rispettivamente nel 1929 e nel 1927) ed alcuni comuni (novantasei comuni aderenti nel 1956) (Nota 35). Pur essendo impossibile stabilire da quale di queste istituzioni sia partita l’iniziativa di costituire l’Ente, nei suoi primi anni di attività il bilancio fu quasi totalmente coperto dalla Provincia di Udine, mentre dal 1970 (fino ad oggi) sarà coperto della Regione. È interessante notare come fin da subito furono coinvolti nell’Efm gruppi e personaggi legati all’autonomismo friulano ed alla nascita (almeno sulla Carta costituzionale) della Regione autonoma a statuto speciale (Nota 36), quali lo scrittore e giornalista di orientamento socialista Chino Ermacora (1894-1957), primo direttore del bollettino Friuli nel Mondo e il deputato della Democrazia Cristiana Tiziano Tessitori (1895-1973), primo presidente dell’Efm, fondatore nel 1947 con lo stesso Chino Ermacora e Pier Paolo Pasolini del Movimento popolare friulano per l’autonomia regionale e primo firmatario dell’emendamento per la Regione autonoma all’Assemblea costituente. Molti dei consiglieri di amministrazione dell’Efm degli anni Cinquanta assumeranno importanti cariche politiche nella Regione Fvg; allo stesso modo, alcuni funzionari e membri del Consiglio e della Giunta regionale diventeranno dirigenti e soci attivi dell’Associazione giuliani nel mondo dopo la sua fondazione nel 1970, in uno scambio continuo di personale, competenze ed esperienze.
Sotto la guida dello stesso gruppo dirigente, la formazione e la lenta nascita della Regione Fvg come istituzione è stata quindi parallela alla costruzione ed alla rappresentazione della comunità immaginata dei “corregionali all’estero”, anche attraverso la retorica della comune appartenenza ed identità di espatriati e “rimasti”. Allo stesso modo, tra gli emigrati, si era diffusa fin da prima della sua nascita una forte aspettativa nei confronti della Regione ed in particolare sulle sua potenzialità di rappresentanza dei “corregionali all’estero”.
L’Efm prese subito i contatti con i vari circoli friulani e giuliani per coinvolgerli nella propria attività, dando anche, come visto, l’impulso alla fondazione di nuovi sodalizi. Nei primi mesi di attività dell’Efm, ad Udine ed all’estero, furono presentati progetti, attribuite identità, ed utilizzate retoriche che saranno una costante nel lungo periodo per le attività dei vari segretariati e della Regione, nonché un modello per i progetti delle altre regioni e dello Stato. L’Efm tentò innanzi tutto di “censire” i corregionali all’estero, per contattarli, coinvolgerli e metterli a conoscenza delle varie iniziative, ma anche per disporre di una vera e propria anagrafe. A tal proposito collaborarono non solo i circoli, ma anche le autorità scolastiche, gli insegnanti e gli studenti della Regione: «nessuno infatti è più adatto di questi per creare un corpus degli assenti. Sarà poi molto significativo, ed anche educativo, che gli stessi alunni segnino, con la necessaria diligenza, tali indirizzi: dei padri, dei fratelli, degli altri parenti» (Nota 37). Volutamente ed esplicitamente non furono coinvolti i consolati. Nonostante ciò tale tipo di iniziative qualche volta non furono bene accolte dagli emigrati, in quanto viste come una violazione della propria privacy o come un tentativo del fisco italiano di recuperare somme arretrate. Da entrambe le sponde si giocò quindi molto sulla nostalgia e sulla rappresentazione dei friulani come una comunità separata con il dovere di organizzarsi in una diaspora, di sviluppare una coscienza di gruppo, un senso di empatia e corresponsabilità, di recuperare e tramandare una propria presunta identità originaria costantemente proclamata come in pericolo di estinzione, di ricostruire e trasmettere una memoria collettiva delle radici. Allo stesso modo gli espatriati indicavano ai “rimasti” il dovere di non dimenticare l’emigrazione regionale. Una delle retoriche più durature e di maggior successo fu l’esaltazione della cucina tipica come simbolo di identificazione etnica, che però rappresentava anche dei precisi interessi economici: gli  emigrati ed i loro discendenti furono sempre indicati esplicitamente come potenziali consumatori dei prodotti alimentari ed artigianali tipici del Friuli, nonché come potenziali turisti. «Mangiare o bere ciò che viene dai nostri paesi ha un sapore che non piace soltanto al palato più di ogni altro cibo o bevanda, ma che, direi quasi, investe tutti noi stessi» (Nota 38). Tuttavia, pur nelle loro ambiguità, le identità regionali o sub-regionali più o meno connotate politicamente, veicolate all’estero da Udine e Trieste, o espresse dagli stessi emigrati, furono raramente messe esplicitamente in opposizione o in alternativa a quella nazionale italiana. Lo stesso vale anche per i cittadini italiani di lingua slovena emigrati, che, pur avendo contatti con le autorità diplomatiche e culturali jugoslave, ribadirono sempre il proprio status di minoranza linguistica dello stato italiano, anche promuovendo un “revival etnico transnazionale” ante litteram (Nota 39). Come vedremo, le identità subnazionali emerse all’estero sono state probabilmente un veicolo di recupero e ridefinizione su nuove basi dell’identità nazionale.
Già nel corso degli anni Cinquanta emerse, infine, l’importanza del tema dell’informazione, forse la chiave di volta di tutta la “regionalizzazione” dell’emigrazione nei cinquant’anni successivi la fine della Seconda guerra mondiale. «Va bene un giornalino di importazione e d’esportazione di notizie. Quando me ne capita uno da Udine, io lo leggo due e tre volte, come le lettere di mio padre e di mia madre» (Nota 40), avrebbe detto un emigrato friulano a Detroit nel 1952. L’Efm e gli altri segretariati, tentarono di superare la dimensione paesana della “diaspora” sfruttando anche gli sviluppi della tecnologia e delle comunicazioni di massa: non solo il bollettino Friuli nel Mondo (che pochi anni dopo l’inizio delle pubblicazioni era presente in 78 Stati, con un tiratura di 25.000 copie (Nota 41)) ma anche i documentari e le trasmissioni radio per l’estero prodotte in (e dalla) Regione e diffuse nei vari circoli fino a tempi molto recenti. Va sottolineato come si sia sempre cercato di costruire un legame ed uno scambio di informazioni e notizie “a doppio senso”. Da una parte, esse servivano per definire ed incentivare l’eventuale rientro degli espatriati, anche per i bisogni delle imprese del territorio; dagli emigrati si attendevano invece informazioni sulle possibilità di lavoro e/o investimento all’estero. Va dato atto che la Regione Fvg attraverso i segretariati, a differenza della Repubblica, è riuscita ad attuare fin dall’inizio uno scambio reciproco con gli emigrati e ad instaurare, per quanto possibile, una dialettica democratica.
Nel 1964 nacque ufficialmente la Regione autonoma a statuto speciale; alle prime elezioni partecipò un’ampia rappresentanza di emigrati, provenienti in particolare dalla Svizzera, che nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta era divenuta la principale meta dei lavoratori friulani impiegati all’estero (Nota 42). Nonostante l’entusiasmo iniziale, nel corso della prima legislatura (1964-1968) furono portate avanti ben poche iniziative istituzionali specifiche per l’emigrazione. Semplicemente, si riteneva che gli interventi della Regione in campo economico contribuissero a creare nuova occupazione e che di questa ne beneficiassero tutti, emigrati e non. Nel periodo compreso tra il 1968 ed il 1970 invece, il quadro dell’associazionismo, della rappresentanza degli emigrati e della politica regionale cambiò notevolmente. Nacquero dei nuovi segretariati: l’associazione Pal Friul (Pf), legata al movimento autonomista friulano; l’Unione emigrati sloveni del Friuli-Venezia Giulia (Ues); l’Ente ragionale Acli per i lavoratori emigrati (Eraple); l’Associazione lavoratori emigrati del Friuli-Venezia Giulia (Alef) legata alla Confederazione generale italiana del lavoro. Queste quattro associazioni, connotate tendenzialmente “a sinistra” ed ognuna con i propri referenti nel Consiglio regionale, coinvolsero soprattutto gli operai ed i circoli già attivi in Svizzera, dove la Ues ebbe tra l’altro la sua sede per molti anni. Esse si presentavano come una novità rispetto all’impostazione dell’Efm e della nascitura Agm, delle quali, tra l’altro, contestavano la presunta retorica “folkloristica” tendente a veicolare quello che oggi sarebbe definito “essenzialismo culturale” (Nota 43). Nel 1971 il bollettino della Ues Emigrant, sul quale scrivevano anche esponenti delle altre associazioni, definì il segretariato di Udine come «strumento di regime» e quello di Trieste come «sedicenti emigrati “giuliani”, sorti dal nulla nel momento della spartizione dei posti» (Nota 44). Oltre al forte legame con la Confederazione elvetica, queste nuove realtà furono connotate da un tipo di linguaggio mutuato soprattutto dalla contestazione studentesca ed operaia del 1968-69, movimenti nei quali, per altro, esse si identificavano esplicitamente e con i quali condividevano il gusto per la provocazione, per l’iperbole dialettica e l’ironia. Nel marzo del 1969 le quattro associazioni “di contestazione” organizzarono a Friburgo la Prima conferenza dei friulani all’estero, coinvolgendo anche alcuni circoli aderenti all’Efm (Nota 45). Anche su impulso di tutto questo slancio “dal basso”, la Regione promosse, sulla base di quanto fatto dall’Efm fin dal 1952, una serie di iniziative che caratterizzarono tutti gli anni Settanta ed Ottanta.
Innanzi tutto, nello stesso 1969 fu organizzata ad Udine la prima di quattro Conferenze regionali dell’emigrazione, convocate sempre in coincidenza di congiunture particolari nella politica regionale o nella vita delle comunità all’estero. Subito dopo la Conferenza del 1969 fu infatti emanata la prima legge regionale organica in materia di emigrazione, la legge regionale 24/1970 Istituzione della Consulta regionale dell’emigrazione e provvidenze a favore dei lavoratori emigrati e delle loro famiglie. Essa era centrata sugli interventi di assistenza al rimpatrio, un fenomeno che in tutta Italia cominciava ad assumere dimensioni di massa. Negli anni Settanta, beneficiarono ufficialmente degli specifici contributi regionali (per il viaggio, prima assistenza, mutui agevolati, inserimento scolastico, riqualificazione professionale ecc.) un numero di rimpatriati pari a circa il 25% di quelli rilevati dall’Istat (Nota 46). La successiva legge regionale, la n. 51 del 1980 intitolata Riforma degli interventi regionali in materia di emigrazione, raccoglieva anche alcune indicazioni emerse nella Conferenza dell’anno precedente quale quella della già citata Giulietta Tonini. Questa legge metteva al centro le seconde generazioni, per le quali, attraverso i segretariati ed i circoli, furono organizzati e finanziati dei progetti specifici. Tra questi i soggiorni in Regione per i giovani, i progetti di studio post laurea presso le Università di Udine e di Trieste, gli stage lavorativi, ed una serie di attività culturali (anche di alto livello) svolte direttamente all’estero quali le mostre, le conferenze, i concerti e soprattutto i corsi di lingua italiana per i giovani. Tale versante di intervento, che moltiplicò l’investimento finanziario della Regione in materia, si sviluppò soprattutto a partire dalla metà degli anni Ottanta, quando, dopo la caduta dei regimi autoritari in Argentina, Uruguay e Brasile, moltissimi figli e nipoti di emigrati cercarono e trovarono un contatto con la terra di origine di nonni o genitori, come emerso anche nella Terza conferenza regionale dell’emigrazione del 1985. Alcuni di questi, divenuti cittadini italiani nei primi anni Novanta, si trasferirono in Italia (Nota 47). 

 

Conclusione: la Repubblica transnazionale delle regioni

Organizzata dalla Municipalità di Rosario, dell’Ente turistico comunale e dall’Associazione delle collettività straniere, la Festa delle collettività è ancora oggi una manifestazione folcloristica e culinaria nella quale, dopo la caduta della dittatura nel 1983, hanno trovato spazio le associazioni etniche della multiculturale città argentina. Nel 1991 italiani e spagnoli parteciparono alla Festa delle collettività divisi per regioni e associazioni subnazionali: Familia Veneta, Friulana, Abruzzese, Piemontese, Calabrese, Campani nel mondo, Giuliani nel Mondo, Centro Laziale, Lombardo, Toscano, per l’Italia; Andalusi, Catalani, Galiziani, Associazione Navarra e Castiglia per la Spagna. Le altre etnie presenti nella città, risultato di network migratori differenti, parteciparono invece rappresentate ognuna da un’unica associazione: portoghesi, tedeschi, olandesi, jugoslavi, irlandesi, brasiliani, ecc. La Camera di commercio di Trieste, le Aziende di soggiorno e turismo di Gorizia e Trieste ed il quotidiano Il Piccolo contribuirono all’allestimento di uno stand comune di giuliani e friulani. I dirigenti dell’allora attivissimo Circolo giuliano, formato quasi interamente da ragazzi figli o nipoti di emigrati, comunicarono successivamente a Trieste che la Fiera delle collettività era stata una buona occasione per «fare tantissimi nuovi soci giuliani». Nelle fotografie inviate a corredo del resoconto, essi si esibivano con le magliette del Columbus Centre e del Circolo giuliano di Toronto, souvenir di una visita ai corregionali di seconda generazione residenti in Canada (Nota 48).
Dopo il disastro del fascismo e le sue conseguenze di lungo periodo sulle vite, sull’identità dei lavoratori italiani all’estero e sulla loro relazione con le società di accoglienza, e quarant’anni dopo la fondazione dell’Ente Friuli nel mondo, la riorganizzazione su base regionale dei lavoratori espatriati poteva dirsi per buona parte compiuta. Il gruppo che gli organi diplomatici continuavano a chiamare gli “italiani all’estero” appare, in riferimento a quel periodo, piuttosto una composita “Repubblica transnazionale delle regioni” che continuava a mantenere un forte legame con la madrepatria intesa come Stato nazionale soprattutto grazie alla mediazione degli enti amministrativi intermedi (Nota 49). Pur essendo questa che abbiamo descritto un’esperienza in continuo cambiamento e che probabilmente è già giunta al termine nelle forme in cui si è espressa fino al recente passato, è nostra convinzione che è sul terreno preparato dalle regioni, che si è prevalentemente dispiegata negli ultimi vent’anni la rammemorazione ed il recupero delle comunità all’estero da parte della Repubblica italiana, così come la costruzione di network autenticamente nazionali che sembrano stiano sovrapponendosi a quelli centrati sui territori e sulle identità locali-regionali.

 

NOTE:

Nota 1 È una frase pronunciata dall’allora giovanissima Giulietta Tonini (emigrata di seconda generazione e membro della sezione giovanile del Fogolâr Furlan di Montreal), Atti della Seconda Conferenza Regionale dell’Emigrazione. Udine, 28, 29, 30 giugno 1979, Ufficio stampa e pubbliche relazioni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1979. Torna al testo

Nota 2 L’impossibilità di trattare le partenze dall’Italia come un unico fenomeno, anche limitatamente ad una stessa epoca, è la tesi centrale (che si evince anche dal titolo), di D. Gabaccia, Emigranti: le diaspore degli Italiani dal Medioevo a oggi, Einaudi, Torino 2003. Torna al testo

Nota 3 Sui vantaggi degli studi condotti sulla scala paesana, cioè per l’approccio definito village outward si veda S. Baily, Transnazionalismo e diaspora italiana in America Latina, in M. Tirabassi (a cura di), Itinera. Paradigmi delle migrazioni italiane, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2005. Torna al testo

Nota 4 L. Gambi, Le regioni italiane come problema storico, in «Quaderni Storici», 34 (1977). Chi scrive ha discusso il problema della scala spaziale della ricerca storica sulle migrazioni al seminario “Paesani. Microcosmi dell’emigrazione italiana” organizzato dal Museo storico del Trentino il 6 dicembre 2012, con una relazione intitolata [r]egioni e [R]egioni migratorie. Identità, pratiche, politiche e memorie transnazionali, atti in corso di pubblicazione.  Torna al testo

Nota 5 Per questo tipo di analisi, che non esclude la possibilità di mettere in rilievo ulteriori articolazioni interne alle regioni stesse, si veda E. Sori (a cura di), Le Marche fuori dalle Marche. Migrazioni interne ed emigrazione all’estero tra XVIII e XX secolo, in «Quaderni di Proposte e Ricerche», 24 (1998). Torna al testo

Nota 6 Ad esempio è stata quasi sempre privilegiata una trattazione separata tra il Friuli “storico” (corrispondente al medievale Patriarcato di Aquileia) e la Venezia Giulia (i cui confini viceversa non sono mai ben definiti). Si confrontino ad esempio M. Ermacora, L’emigrazione dal Friuli. Acquisizioni storiografiche e orientamenti della ricerca, in «Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana», 6 (2010) e F. Ceccotti, Mobilità dei confini e modelli migratori: il caso della Venezia Giulia, in «Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana», 2011 (www.asei.eu). Va tuttavia specificato che entrambe le narrazioni storiche, quella friulana e quella giuliana, spesso considerate reciprocamente incommensurabili, presentano ciascuna ulteriori articolazioni e dicotomie interne: all’interno di ognuna delle due aree si sono rilevate, ad esempio, forti difformità di comportamento migratorio tra la montagna, la pianura e la costa, e tra gli italofoni e gli slavofoni. La diversità delle due esperienze del Friuli-Venezia Giulia, a volte dichiarata a priori e con scarso spirito critico, ha impedito di vedere analogie e punti di contatto tra le due zone. Per la problematica epistemologica relativa all’uso dei confini dei vecchi stati italiani si veda l’introduzione di P. Corti (a cura di), Modelli di emigrazione regionale dell’Italia centro-settentrionale, in «Archivio storico dell’Emigrazione italiana», 2 (2006). Torna al testo

Nota 7 Si vedano E. Franzina, Il concetto storico di “regione emigratoria”: il caso veneto, in F. Andreucci, A. Pescarolo (a cura di), Gli spazi del potere. Aree, regioni, Stati: le coordinate territoriali della storia contemporanea, La Casa di Usher, Firenze 1989 e G. Pizzorusso, Le radici di ancien regime delle migrazioni contemporanee: un quadro regionale, in M. Sanfilippo (a cura di), Emigrazione e storia d’Italia, Pellegrini Editore, Cosenza 2003. Per un’analisi particolarmente riuscita di “regione migratoria” si veda V. Cappelli, Regioni migratorie e regioni politico- amministrative. L’emigrazione verso le Americhe da un territorio di frontiera calabro-lucano-campano, in «Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana», 2007 (www.asei.eu).In questo saggio si identifica una “regione migratoria” composta dal Cilento, dalla Val d’Agri e dal Pollino, cioè un territorio continuo che si affaccia sul Tirreno, formato da parti delle attuali province di Salerno, Potenza e Cosenza, e quindi delle regioni Calabria, Campania e Basilicata. Torna al testo

Nota 8 Sulla “dimenticanza” dei connazionali all’estero e la successiva “rammemorazione” selettiva si vedano M. Colucci Storia o memoria? L’emigrazione italiana tra ricerca storica, uso pubblico e valorizzazione culturale, in «Studi Emigrazione», 167 (2007) e R. Sala L’emigrazione nella memoria storica italiana. Una riflessione critica, in «Studi Emigrazione», 183 (2011). Sul tema delle politiche regionali per l’emigrazione, poco trattato, si vedano tuttavia alcune eccezioni: L. Garavini, Politiche regionali per l’emigrazione. Un’analisi comparativa delle Consulte, in «Studi Emigrazione», 165 (2007); V. Arignoli, G. Ortu, L. Sandrirocco, Le regioni per gli italiani nel mondo, Filef, Roma 2000 e soprattutto l’importantissimo saggio in lingua inglese di R. Harney, Undoing the Risorgimento: emigrants from Italy and the politics of reigonalism, in B. Ramirez, P. Anctil (a cura di), If one were to write a history… Selected writings of Robert F. Harney, Multicultural History Society of Ontario, Toronto 1991. Torna al testo

Nota 9 Comunicazione dell’Ambasciata italiana in Canada al Ministero del lavoro ed al Ministero degli affari esteri del 31.3.1952, in Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero del lavoro e della previdenza sociale (d’ora in poi MINLAV), b. 447 Canada, fasc. Emigrazione nel Canadà. Richiesta di manodopera generica e specializzata anni 1947-57. Torna al testo

Nota 10 F. Romero, Emigrazione e integrazione europea, 1945-1973, Edizioni Lavoro, Roma 1991; M. Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa 1945-1957, Donzelli, Roma 2008; Id., Istituzioni ed emigrazione nell’Italia del secondo dopoguerra, in «Altreitalie», 36-37 (2008); S. Rinauro, Il cammino della speranza: l’emigrazione clandestina degli Italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi, Torino 2009; A. De Clementi, Il prezzo della ricostruzione. L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Laterza, Roma-Bari 2010. Torna al testo

Nota 11 M. Colucci, Lavoro in movimento, cit., p. 119. Torna al testo

Nora 12 Ivi, p. 61. Torna al testo

Nota 13 Tali paradossi, soprattutto quello dell’emigrazione clandestina, sono ben documentati ed interpretati da un punto di vista storico da S. Rinauro, Il cammino della speranza, cit. Torna al testo

Nota 14 Per l’emigrazione dei cittadini italiani di lingua slovena della Venezia Giulia durante e dopo il fascismo si veda P. Purini, Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975, Kappa Vu, Udine 2010. Per gli sloveni della Provincia di Udine si veda l’intervento di Adriano Martinig dell’Unione emigrati sloveni del Friuli-Venezia Giulia in Atti della Terza Conferenza Regionale dell’Emigrazione. Grado, 27, 28, 29 settembre 1985, Ufficio stampa e pubbliche relazioni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1985. Egli segnala come, dopo il 1951, alcuni comuni sloveni della Provincia di Udine abbiano subito un calo della popolazione superiore al 50% (contro un media provinciale del 12,3%) anche, a suo parere, a causa della politica. Per la precedenza accordata agli esuli istriani nell’emigrazione si veda la legge del 4.3.1952, Assistenza a favore dei profughi; per le difficoltà nella sua attuazione concreta si veda la lettera di protesta di un gruppo di «giuliani fedeli alla patria! Veri democristiani!» a De Gasperi del 2.9.1952 e la lettera del Ministro del lavoro al Presidente del consiglio del 3.2.1955 in cui si spiega come «lo stato di lunga disoccupazione e di permanenza nei campi non è rappresentato [sic!] in pratica un elemento positivo nei confronti delle Commissioni di selezione straniere»; entrambi i documenti in ACS, MINLAV, b. 457 Cime, fasc. Profughi. Torna al testo

Nota 15 ACS, MINLAV, b. 448 Canada, fasc. 1947-1963. Torna al testo

Nota 16 Si veda come esempio la relazione dell’Uplmo di Udine del 1950 in ACS, MINLAV, b. 15 Attività degli Urlmo, fasc. 6F-Udine. Torna al testo

Nota 17 Comunicazione del Mae al Minlav del 16.8.1946, e relazione della Legazione italiana a Berna al Mae del 28.11.1947, ACS, MINLAV, b. 484 Svizzera, fasc. Richiesta manodopera. Torna al testo

Nota 18 Comunicazione dell’Ambasciata italiana di Berna al Minlav del 10.04.1954, ivi. Torna al testo

Nota 19 La letteratura sull’argomento è vasta. Si veda ad esempio R.J. Vecoli, «Whiteness Studies» e il colore degli italoamericani, in M. Tirabassi (a cura di), Itinera. Paradigmi, cit. Torna al testo

Nota 20 Comunicazione del Servizio Emigrazione del Ministero del Lavoro al Ministro del 26.3.1954, ACS, MINLAV, b. 457 Cime, fasc. Generale. Torna al testo

Nota 21 Relazione 1951, ACS, MINLAV, b. 15 Attività degli Urlmo, fasc. 6A-Venezia. Torna al testo

Nota 22 È questa la testimonianza dell’emigrato Antonio Boniciolli, riportato in V. Facchinetti, Storie fuori dalla storia: ricordi ed emozioni di emigrati giuliano-dalmati in Australia, Lint, Trieste 2001, p. 126. È importante sottolineare che tale lavoro di recupero della memoria fu portato avanti dalla giornalista triestina con il contributo economico degli enti locali e con l’aiuto materiale dei circoli giuliani. Torna al testo

Nota 23 Testimonianza dell’emigrato Manlio Bertogna, ivi, p. 194. Torna al testo

Nota 24 R.J. Vecoli, Negli Stati Uniti, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana, Donzelli, Roma 2001-2002, vol. 2, pp. 80-81; M. Pretelli, La via fascista alla democrazia americana. Cultura e propaganda nelle comunità italo-americane, Sette Città, Viterbo 2012, pp. 92 e 99-100. Torna al testo

Nota 25 Questa informazione è ricavata dal sito del consolato italiano di Monaco di Baviera: http://www.comites-monaco.de/index_it.html. Torna al testo

Nota 26 Per i casi da noi esaminati, fa eccezione il circolo giuliano Trieste Club Limited di Sydney, chiuso dalla polizia nel 1975 per vendita abusiva di alcolici e scommesse clandestine, G. Cresciani, Trieste goes to Australia, Padana Press, Lindfield 2011, p. 141. Torna al testo

Nota 27 Si veda il verbale della Terza commissione Rapporti fra Stato e Regioni in materia di emigrazione, in Atti della Seconda Conferenza Regionale, cit. Torna al testo

Nota 28 È questa una delle “tesi forti” argomentate in D. Gabaccia, Emigranti, cit. Torna al testo

Nota 29 La bibliografia sulle comunità italiane all’estero, la loro stampa, le loro istituzioni ed i loro sodalizi è amplissima, ma le analisi si interrompono tendenzialmente al 1945, con l’eccezione di A. Bernasconi, Le associazioni italiane nel secondo dopoguerra: nuove funzioni per nuovi immigrati? in G. Rosoli (a cura di), Identità degli Italiani in Argentina, Cser, Roma 1993 e M. Colucci, L’associazionismo di emigrazione nell’Italia Repubblicana, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione, cit. Sul periodo precedente il 1945 si vedano, oltre agli altri saggi nella stessa opera collettanea, ivi, gli studi di Matteo Pretelli, e, per il caso argentino del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento (dove più attivo era l’associazionismo italiano e più cospicuo il capitale sociale investito), F. Devoto, Storia degli Italiani in Argentina, Donzelli, Roma 2007, con particolare riferimento al capitolo 3. Torna al testo

Nota 30 Ibidem. Torna al testo

Nota 31 Questi elementi sono emersi consultando il materiale dell’Archivio dell’Associazione giuliani nel Mondo. Torna al testo

Nota 32 L’elenco è ricavato confrontando le fonti a disposizione con Annuario dei Fogolârs Furlan nel mondo, Ente Friuli nel mondo, Udine 2011. Torna al testo

Nota 33 In un club di Detroit, si gridò: Viva il Friuli! Confidenze dell’ambasciatore degli emigranti, in «Friuli nel mondo. Giornale degli emigrati-Fnm», 1 (1952). Torna al testo

Nota 34 Una buona analisi di lungo periodo delle paure presenti nell’immaginario nazionale e legate al confine orientale italiano, è quella di M. Verginella, Antislavismo, razzismo di frontiera?, in G. Leghissa, Il postcoloniale in Italia, in «Aut Aut», 349 (2011). Torna al testo

Nota 35 L. De Cillia, Gli enti locali e l’emigrazione in Friuli, in Emigrazione e questione sociale in Friuli nel Secondo Dopoguerra, in «Storia Contemporanea in Friuli - Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione», numero monografico, 17 (1986). Si confronti questo articolo, che utilizza prevalentemente documenti prodotti dalla Provincia di Udine (alcuni dei quali anche pubblicati integralmente) con i primi numeri dello stesso bollettino «Friuli nel Mondo». Torna al testo

Nota 36 Sull’autonomismo friulano e sui suoi legami con la tematica dell’emigrazione, si rimanda a P. Roseano, Identità friulana. Così è e così l’anno prodotta i miti, i parroci, le elite locali, Istituto di sociologia internazionale, Gorizia 1999. Torna al testo

Nota 37 Come è accolto “Friuli nel Mondo”, in «Fnm», 3 (1953). Torna al testo

Nota 38 In un club di Detroit, cit. Torna al testo

Nota 39 Si veda l’autobiografia di uno dei fondatori della Ues, scritta e pubblicata in italiano con il contributo regionale: D. Del Medico, Cioccolata salata, Tipografia Juliagraf, Premariacco (Ud) 2007. Torna al testo

Nota 40 Ibidem. Torna al testo

Nota 41 L. De Cillia, Gli enti locali, cit., p. 74. Torna al testo

Nota 42 G. Dassi, La partecipazione degli emigranti alla prima consultazione elettorale regionale del Friuli-Venezia Giulia, in Emigrazione e questione sociale, cit. Torna al testo

Nota 43 Si veda a titolo di esempio il giudizio in D. Del Medico, Cioccolata salata, cit. Torna al testo

Nota 44 Una voce nella consulta regionale, in «Emigrant», seconda serie, 1 (1971). Torna al testo

Nota 45 Si veda il resoconto di Evaristo Revalan della Pal Friul di Losanna in Atti della Prima Conferenza Regionale dell’Emigrazione, Ufficio stampa e pubbliche relazioni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Trieste 1969. Torna al testo

Nota 46 Si incrocino i dati presentati nel dattiloscritto Fondo regionale dell’emigrazione 1980, archivio del Servizio corregionali all’estero della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Udine 1980 con quelli dell’Istat. Torna al testo

Nota 47 Sul fenomeno, piuttosto rilevante per la nostra ricerca in quanto esito finale di un processo di lungo periodo, si veda J.P. Grossutti, I “rientri” in Friuli da Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela (1989-1994), Arti grafiche friulane, Udine 1997 e G. Bramuglia, M. Santillo, Un ritorno rinviato: discendenti di italiani in Argentina cercano la via del ritorno in Europa, in «Altreitalie», 24 (2002). Torna al testo

Nota 48 Archivio Associazione giuliani nel mondo, fondo Argentina, b. 9 Circoli Giuliani Di Mar Del Plata, Olovarria, Rosario, Salta, Tucuman, Zarate, Mendoza, fasc. Rosario. Torna al testo

Nota 49 Si veda R. Harney, Undoing the Risorgimento, cit. Il prematuramente scomparso storico canadese ha a nostro avviso sottovalutato la funzione di trasmissione e mantenimento dell’italianità in seguito alla (ri)costruzione delle identità regionali all’estero. Torna al testo

 

Questo saggio si cita: A. Marzi, «Siamo canadesi solo per nascita, però abbiamo il bisogno di sentirci friulani»: la regionalizzazione dell'emigrazione dall'Italia nel secondo dopoguerra e la Repubblica transnazionale delle regioni, in «Percorsi Storici», 1 (2013) [http://www.percorsistorici.it/numeri/numero-1/titolo-e-indice/saggi/alessio-marzi-siamo-canadesi-solo-per-la-nascita]

Questo saggio è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

 

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