Francisco Giordano, Via Codivilla. Il ponte sull’Àposa

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Francisco Giordano

Via Codivilla. Il ponte sull’Àposa

Il territorio pedecollinare posto a ridosso dei viali di circonvallazione fra porta Castiglione e porta San Mamolo è caratterizzato dal colle di San Michele in Bosco, dal complesso conventuale dei frati minori osservanti della Santissima Annunziata, dalle aree militari, fra cui il lotto dismesso della ex-Staveco e quello delle ex-officine Rizzoli. Questo luogo è diviso longitudinalmente in due parti dalla via Alessandro Codivilla (Bologna, 1861-1912) che prende il suo attuale nome dal chirurgo, direttore dell’Istituto ortopedico Rizzoli dal 1889 e titolare dal 1907 della cattedra annessa all’istituto stesso.
Mentre l’area a sud di quest’ultima strada fa parte del parco recentemente recuperato, la zona compresa fra i viali e la via Codivilla è poco conosciuta, una sorta di territorio interdetto ed allo stesso tempo protetto da forti manomissioni per più di un secolo a causa della sua quasi totale destinazione militare, ma anche poco studiato dal punto di vista storico-architettonico.
La via Codivilla, in origine denominata via Panoramica, fu creata fra il 1854 ed il 1857 sul lungo declivio che dalla sommità del colle di San Michele in Bosco degrada fino alla via di San Mamolo realizzando un nuovo, suggestivo ed agevole accesso al soprastante convento, divenuto in quegli anni villa legatizia. Qui soggiornò Papa Pio IX nel 1857 durante la sua visita a Bologna e il pontefice percorse questa strada più volte, come raccontano le cronache coeve.
Oggi lungo la via, in prossimità del giardino Remo Scoto, un breve tratto di pavimentazione realizzata con masselli di granito interrompe la lunga striscia in asfalto. Questa impronta ricorda l’antica identità del luogo: il passaggio trasversale del torrente Àposa. È un puntuale segno di memoria storica, ma anche e soprattutto morfologica. Il tratto di territorio è infatti corrispondente al bacino del corso d’acqua che ha origine a Paderno, scende lungo la valle di Roncrio e separa il colle di San Michele da quello più occidentale dell’Osservanza. Se si rivolge lo sguardo verso le colline si vede come in questo punto vi sia una depressione del terreno che corrisponde al passaggio del torrente che ora risulta però sotterraneo e pertanto non visibile.
I blocchi di granito a terra, grigi nel tratto viario e rosa nelle parti più esterne, mostrano ed identificano anche il manufatto che consente alla via Codivilla di superare il torrente: un possente ponte ad arcata unica, tamponato a valle con un muro di notevoli proporzioni che riveste il dislivello fra il sottostante piazzale (già delle Officine Rizzoli) e la quota stradale. E proprio nel lato nord della strada possiamo ancora vedere i resti dell’unico superstite parapetto modanato in muratura, coronato da lastre di arenaria e comprendente una sorta di panca con cui terminava il ponte. Da questo punto ci si poteva affacciare sul panorama urbano e sul paesaggio, il quale comprendeva anche il corso dell’Àposa che era ad una decina di metri più in basso (evidenziato recentemente anche nella pavimentazione del giardinetto sottostante). Per questo suo connotato, all’inizio del secolo scorso, sembra che il nostro ponte divenisse tristemente famoso come “ponte dei suicidi” e il Pascoli potrebbe riferirsi allo stesso ponte ed alla sua triste denominazione nella poesia del 20 novembre 1907 intitolata il Ponte sull’Aposa (Canti di Castelvecchio, Appendice, Diario autunnale):

Aposa trista! Il povero al tuo ponte
sosta, e non altri. Siede sul sedile,
né guarda: non a valle non a monte:
non alle torri lunghe e sdutte, che oggi
sfumano in grigio, non a quelle file
d'alti cipressi tra i castagni roggi:
ascolta, a capo chino, ad occhi bassi,
te che laggiù brontoli cupa, e passi.

A te vengono gli uomini infelici,
Aposa trista! E nella solitaria
notte a qualcuno tristi cose dici.
T’ascolta a lungo. E poi, quando una foglia
secca di platano, a un brivido d’aria,
sembra un fruscio di gonna su la soglia:
ecco, quell’uomo non è più: dirupa...
tu passi, e dopo un po’ brontoli cupa.

Aposa trista! E l’Aposa risponde:
- Vien l’usignolo, a marzo, tra le acace!
Al gorgoglìo delle mie picciole onde
sta prima attento, a lungo impara, e tace.
Ma poi di canto m’empie le due sponde;
e il canto suo già mio singulto fu.
Canta al suo nido, al nido suo di fronde,
di quelle fronde che cadono giù...

Il notevole dislivello fra la strada ed il terreno a valle è palese anche dalla sottostante via Santissima Annunziata, da dove si può vedere il muraglione facente parte del ponte, che termina agli estremi con due robusti contrafforti che contengono e rafforzano la struttura. Con la costruzione del ponte e della strada, progettati dall’ingegner professor Enrico Brunetti per sostituire la più ripida ed antica via del Listone, iniziò quel lento processo di totale occultamento del torrente in quest’area, che ha cancellato definitivamente la sua presenza e che ha drasticamente modificato anche la morfologia del luogo. Un processo di trasformazione che è stato assai ampio nel centro urbano, con sventramenti e tombamenti che hanno annullato anche la possibilità di distinguere la presenza di un aspetto fondamentale della storia di Bologna: la rete idrica della città, costituita attorno ai tre principali corsi d’acqua, l’Àposa, il Savena ed il Reno, che per secoli era stata al centro di ogni aspetto della vita economica, dall’agricoltura, all’industria, ai traffici che dipendevano dall’energia idraulica e dalle vie navigabili. Sprovvista di un diretto collegamento con un fiume, Bologna mantenne, come Milano, una relazione assai stretta con l’acqua ed i canali che, come noto, hanno contribuito decisamente al benessere ed allo sviluppo economico della città, determinandone inoltre le vicende urbanistiche.
La Bologna “città d’acqua” è stata modificata ed occultata definitivamente fra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento con veri e propri misfatti urbanistici che hanno stravolto la realtà urbana. È stato coperto quanto restava dei canali e del porto, si sono nascoste con quinte murarie tutte quelle aperture che consentivano la vista dell’acqua, dimenticando questo aspetto del passato che era prima forza motrice per le fabbriche e mulini disseminati lungo la città e poi mezzo di comunicazione per il commercio e per il trasporto dei passeggeri. Una pianificazione urbanistica che ha annullato un’antica tipicità urbana, ritenuta superata e superflua.
In questi ultimi anni tale particolare aspetto della città è riemerso lentamente dall’oblio grazie a concreti interventi di tutela e riscoperta di alcuni tasselli di quanto resta di quell’articolato sistema di vie fluviali che caratterizzavano il paesaggio urbano, via via sepolto dalle esigenze di mobilità e di igiene. Da qualche tempo le iniziative riguardanti il sistema idrografico bolognese si sono moltiplicate con un numero consistente di approfonditi studi storici, alcune significative mostre ed interventi di tipo ambientale, architettonico ed urbanistico (Nota 1) . In questo contesto va collocata la vera e propria “riscoperta” dell’Àposa da parte della cittadinanza, avvenuta nell’anno 2000 grazie alla realizzazione di nuove strutture che hanno consentito l'accesso al cunicolo sotterraneo nel centro urbano (Nota 2).
Le esplorazioni nel condotto hanno così permesso di recente lo studio della parte più interessante del ponte di via Codivilla che è quella che ora risulta invisibile, cioè quella interna e sotterranea. L’inconsueto profilo interno della volta del ponte è del tipoparabolico, rinforzato da sei arconi a tutto sesto di cui due alle estremità molto più larghi rispetto ai quattro centrali. La lunghezza interna del ponte è di circa 22,50 metri, l’altezza – al centro della volta – è di circa 7,50 metri e la sua larghezza totale è di circa 5,50 metri.
Le ricognizioni sotterranee, a supporto delle ricerche archivistiche, hanno evidenziato il riutilizzo di questo straordinario manufatto come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale (Nota 3). Infatti, grazie a questi studi, è stato evidenziato come il condotto che costituisce il corso sotterraneo del torrente Àposa nei pressi della collina di San Michele in Bosco sia stato adattato in quegli anni a questa funzione. A poche decine di metri uno dall’altro, attraverso opere murarie e strutture in legno, furono creati due ricoveri, uno per le Officine dell’Istituto ortopedico Rizzoli e l’altro, per il 6° Reggimento Autieri (arma dei trasporti e materiali) alloggiato nella caserma Santissima Annunziata. Il rifugio più grande stava proprio all’interno del ponte di via Codivilla che fu anche protetto con vari accorgimenti, fra cui due terrapieni a monte ed a valle che coprivano il forte dislivello rispetto alla strada. Di queste sovrastrutture resta ancora quella a sud che costituisce in parte il terreno scosceso del giardino Scoto adiacente alla via Codivilla.
I rifugi furono realizzati fra la fine del 1942 e gli inizi del 1944, quando la necessità di un ricovero sicuro era impellente. E così si cercarono i siti che si reputavano più opportuni, basandosi anche sul criterio della rapidità di realizzazione ed allestimento. E proprio in questo contesto si collocano i due suddetti rifugi che sono stati individuati grazie ad una scoperta d’archivio, poi verificata ed approfondita in loco. Di questi rifugi non resta nessuna indicazione visibile, come se ne vedono ancora in altri luoghi analoghi; non vi sono cioè indizi che possano indicare o farci ipotizzare la loro presenza. È stata dunque necessaria una ricerca d’archivio per reperire i primi documenti che sono stati sufficienti a fornirci i dati per il riconoscimento in loco dei rifugi; una ricerca che ci ha portato poi ad approfondire la storia di questi luoghi e dei tragici fatti di cui furono protagonisti grazie a successivi ritrovamenti di ulteriori inedite fonti documentarie.
La riscoperta dei rifugi di via Codivilla aggiunge un nuovo piccolo, ma interessante, tassello alla conoscenza del passato, che fa parte di un capitolo drammatico della storia della città di Bologna e che per questo non va dimenticato.

 

NOTE:

Nota 1 F. Giordano, A. Zanotti,La riscoperta dell’acqua “che fa passaggio pel mezo della città”, in «Il Carrobbio», 34 (2008), pp. 13-22. Torna al testo

Nota 2 F. Giordano, Alla scoperta del torrente Aposa. Scale d’accesso in Piazza Minghetti e Piazza San Martino, in: «INARCOS», Bologna, 618 (2001), pp. 173-180. Torna al testo

Nota 3 F. Giordano, M. Brunelli, Aposa segreto. I rifugi antiaerei, Bologna Sotterranea - Amici delle Acque e dei Sotterranei di Bologna, Bologna 2012. Torna al testo

 

Questo contributo si cita: F. Giordano, Via Codivilla. Il ponte sull’Àposa, in «Percorsi Storici», 1 (2013) [http://www.percorsistorici.it/numeri/numero-1/titolo-e-indice/rubriche/francisco-giordano-via-codivilla-il-ponte-sull-aposa]

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