Roberta Mira, Geografia e storia della Resistenza delle donne a Bologna. Un progetto di ricerca e divulgazione storica dell'Anpi provinciale di Bologna e del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell'Università di Bologna

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Roberta Mira

Geografia e storia della Resistenza delle donne a Bologna

Un progetto di ricerca e divulgazione storica dell'Anpi provinciale di Bologna e del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell'Università di Bologna


Nell'ambito delle iniziative per il 70° anniversario della Resistenza e della Liberazione, il comitato provinciale di Bologna dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia - Anpi e il Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà dell'Ateneo bolognese stanno portando avanti un importante progetto dedicato ai luoghi e alle forme della Resistenza femminile a Bologna, dal titolo Le donne della Resistenza bolognese.
Il progetto si avvale del sostegno del Comune di Bologna – in particolare del Settore Agenda digitale – e di quello della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di contributi di singole sezioni Anpi, enti e soggetti privati, e vede il coinvolgimento di associazioni operanti sul territorio. Il coordinamento scientifico è affidato alla professoressa Dianella Gagliani, docente di storia contemporanea all'Università di Bologna, affiancata da Mauria Bergonzini, responsabile del Coordinamento donne dell'Anpi di Bologna; la ricerca è condotta da Roberta Mira e Simona Salustri dell'Università di Bologna.
Si tratta di un progetto di ricerca e divulgazione, che intende "segnare" i luoghi in cui le donne attive nel movimento partigiano hanno compiuto azioni militari e civili, manifestato, protestato, offerto assistenza, rischiato e pagato con la vita alla pari degli uomini: dunque "resistito". L'obiettivo è quello di valorizzare, far conoscere e conservare la memoria della piena e diffusa partecipazione delle donne all'antifascismo e alla Resistenza in Italia, e nello specifico a Bologna, della loro forza e del loro attivismo, del loro essere protagoniste – troppo spesso dimenticate – della Resistenza. Il mezzo è la realizzazione di una serie di percorsi che tocchino i luoghi della presenza femminile e vadano a costituire un museo diffuso, in cui saranno evidenziate non solo le individualità, ma anche, e soprattutto, le forme collettive di lotta messe in campo. Si punta a rappresentare l'ampio spettro di colori, anime e sensibilità che le donne di diversa estrazione politica e sociale (dalle azioniste, alle ebree, alle cattoliche, alle comuniste; dalle operaie, alle braccianti, alle insegnanti, alle infermiere) portarono all'interno della Resistenza, battendosi in armi nelle file dei partigiani e dando vita a tutte le forme della Resistenza civile che tanta parte fu della Resistenza e dell'opposizione alla guerra, al fascismo e al nazismo. Con il termine Resistenza civile si intendono atti di opposizione non armata, sviluppati in connessione con la lotta partigiana armata, o in autonomia, e tesi ad impedire o ostacolare l'occupazione tedesca e i suoi obiettivi e le attività della Repubblica sociale; tra questi atti, di cui le donne furono spesso organizzatrici, animatrici e protagoniste, figurano manifestazioni, scioperi, disobbedienza, assistenza a prigionieri, a perseguitati politici e razziali e a militari sbandati, varie forme di sabotaggio, isolamento del nemico, propaganda (Nota 1).
Due termini appaiono centrali per il progetto: luoghi e memoria. Fra questi due termini vi è un nesso simbolico, riassunto nell’espressione luoghi di memoria, sviluppata dallo studioso francese Pierre Nora e per l’Italia da Mario Isnenghi (Nota 2). Un luogo di memoria è nella definizione di Nora «una unità significativa, d’ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavorio del tempo ha reso un elemento simbolico del patrimonio memoriale di una qualche comunità» (Nota 3).
Si comprende immediatamente l’espressione se si pensa ad un luogo fisico nel quale è accaduto un determinato accadimento storico; luogo della memoria, tuttavia, può anche essere non un luogo fisico, ma un luogo simbolico o ideale, può cioè anche non essere affatto un luogo, ma, per esempio, un avvenimento, un oggetto, un personaggio, una canzone; basti pensare a oggetti come la Vespa o la 600 o, per citare il tema alla base del progetto che qui presentiamo, alla data del 25 aprile (Nota 4).
Ogni luogo può avere più significati in quanto può rimandare ad una sola o a più storie di cui è stato teatro nel corso del tempo; può essere importante o meno per singoli individui o per gruppi e collettività; può essere ricordato e celebrato o dimenticato totalmente.
È chiaro che un luogo di memoria si presta a veicolare differenti messaggi e a diverse letture, in dipendenza di quello che si vuole ricordare, di come lo si vuole ricordare, della collocazione, dell’uso pubblico, delle forme di vivere e far vivere il luogo. I luoghi di memoria ci dicono quindi alcune cose, o molte cose, non solo sul fatto o le persone che ricordano, ma anche sulle intenzioni di chi li ha progettati e realizzati, delle amministrazioni pubbliche o dei soggetti privati che li hanno promossi, nonché sul grado di identificazione e appartenenza che la collettività attribuisce loro.
Bologna, che sin dall’Unità d’Italia si è mostrata sensibile e attenta verso il passato cittadino e nazionale – intitolando strade ed erigendo monumenti –, ha i suoi luoghi di memoria di diverso tipo, a partire da quelli nei quali il luogo coincide con l’avvenimento a cui il luogo stesso rimanda, come Piazza 8 agosto che ricorda l’insurrezione della città contro gli austriaci nel 1848 e la ricorda nel modo più tradizionale con l’intitolazione della Piazza antistante la Montagnola al centro degli scontri del 1848 e con il monumento al Popolano; o come la stazione centrale, teatro della tragica strage del 2 agosto 1980, dove la sala d’attesa in cui fu collocata la bomba è rimasta a ricoprire la sua funzione, ma uno squarcio nella parete, una lapide e l’orologio fermo sull’ora dell’esplosione ricordano l’attentato di matrice fascista. E vi sono anche luoghi fisici che non hanno un legame diretto con l’avvenimento di cui sono diventati contenitore o simbolo: è il caso del Museo per la memoria di Ustica posto in via Saliceto dove è stato ricostruito l’areo DC 9 dell’Itavia abbattuto e distrutto sulla sua rotta Bologna-Palermo il 27 giugno 1980.
Accanto a questi luoghi di memoria ve ne sono altri, più o meno simbolici, che ricordano personaggi e avvenimenti del passato: pensiamo a monumenti, cippi, lapidi e all’intitolazione di strade e altri luoghi. A Bologna si trovano monumenti e strade dedicati a personaggi del Risorgimento nazionale e locale, altri che ricordano la I guerra mondiale; in anni più vicini a noi troviamo strade intitolate a vittime della mafia o del terrorismo.
Per quanto riguarda la Resistenza Bologna e la sua provincia, come del resto l’intera regione Emilia Romagna, hanno mostrato una certa sensibilità individuando strade, piazze, giardini, ecc. da intitolare a figure della Resistenza locale e nazionale, dell’antifascismo, della persecuzione politica e razziale.
A Bologna città l’intitolazione di vie ai caduti partigiani ebbe un inizio spontaneo con la posa da parte della cittadinanza di cartelli recanti i nomi di figure della Resistenza, spesso sui luoghi della loro uccisione da parte dei fascisti o dei nazisti, come nel caso di Giovanni Casoni, assassinato in via Begatto nei pressi della sua abitazione il 14 novembre 1944. La volontà di preservare per il centro storico i nomi antichi delle strade di Bologna fece poi sì che il nome di Casoni fosse dato nel 1955 a una via che congiunge via Ferrarese a via Stalingrado.
La maggior parte dei toponimi legati alla Resistenza fu intitolata tra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Sessanta, nuove intitolazioni si ebbero anche a metà anni Settanta e poi più sporadicamente fino ad oggi. Gran parte di essi si trovano nei quartieri Reno, Saragozza, San Vitale e Navile, ma sono presenti in buon numero anche a Borgo Panigale, Savena, San Donato, Porto, Santo Stefano.
In città oltre 60 sono i toponimi che ricordano città martiri o medaglia al valore per gli avvenimenti che le hanno riguardate durante la Seconda guerra mondiale e la Resistenza; vittime civili e partigiane, come ad esempio via Caduti di Casteldebole o via Vittime dei Lager nazisti; avvenimenti precisi, come via 21 aprile 1945; i partigiani in generale, come nel caso di via Brigate partigiane o di via Volontari della libertà; singole brigate (via Brigata Bolero); oppure vi sono toponimi celebrativi della nascita della Repubblica (via della Repubblica) e della Costituzione (piazza della Costituzione).
Almeno 170 sono le strade, i giardini, le piazze, i viali intestati a partigiani, antifascisti, membri della Costituente, militari uccisi dai tedeschi, perseguitati razziali e politici deportati, sia bolognesi che di altra provenienza.
Va rilevato però che in totale a Bologna città, su circa 2.000 toponimi, quelli dedicati alla Resistenza e all’antifascismo sono circa il 12%, non una percentuale altissima, dunque, e la stragrande maggioranza di essi riguarda uomini. Se contiamo i nomi femminili scopriamo che i luoghi e le vie intitolati a donne sono appena 52 nell’intera città di Bologna, escluse le sante (12 + una chiesa), e di queste 52 solo una decina sono antifasciste, partigiane o perseguitate dal fascismo (Nota 5).
Accanto alla toponomastica altri segni testimoniano la sensibilità di Bologna verso la Resistenza. La città è disseminata di lapidi e cippi dedicati a stragi, eccidi o uccisioni singole, collocati spesso sul luogo delle uccisioni o nei pressi, come nel caso di Stenio Polischi, il cui corpo fu esposto al pubblico dai fascisti che lo impiccarono in via Venezian: mentre la lapide che ne ricorda la morte è collocata appunto in via Venezian, il viale che porta il nome di Stenio Polischi si trova all’interno dei giardini Margherita.
Sin dal dicembre 1947, la commissione toponomastica del Comune di Bologna, presieduta dall’allora sindaco Dozza, segnalò l’opportunità di effettuare un censimento per individuare le figure della Resistenza che i cittadini chiedevano fossero ricordate, con lo scopo di porre delle lapidi sulle pareti delle abitazioni o dei luoghi di morte per commemorarli (Nota 6).
Lapidi e cippi commemorativi posti nel corso del tempo a Bologna ci danno una sorta di mappa, o geografia, di alcuni degli avvenimenti legati alla Resistenza: segnatamente i luoghi di esecuzione, esposizione pubblica o ritrovamento dei corpi di antifascisti e partigiani uccisi da nazisti e uomini della Rsi. Più raramente essi segnalano le abitazioni in cui vissero partigiane e partigiani: è il caso del piccolo monumento che sorge in via Pontevecchio davanti al cosiddetto Casermone, un palazzo dove vivevano diverse famiglie di antifascisti, e che ricorda i nomi di chi di loro fu ucciso. Anche in questo campo però la presenza maschile sovrasta quella femminile, non fosse altro che per la più numerosa partecipazione in armi alla Resistenza degli uomini e quindi per la più alta percentuale di caduti maschi che vengono ricordati nelle lapidi e nei cippi, con poche eccezioni come quella di Irma Bandiera.
Infine abbiamo i grandi monumenti (Nota 7e mi limito a citarne tre significativi per la Resistenza femminile, a partire dal sacrario dei caduti partigiani in Piazza Nettuno. Esso è stato collocato sul luogo dove sorse spontaneamente grazie alla volontà dei cittadini – in modo particolare delle donne – che nei giorni immediatamente successivi alla liberazione della città appoggiarono al muro di Palazzo d’Accursio fiori e immagini dei loro parenti caduti nella Resistenza. Il luogo non fu scelto casualmente: in quell’angolo di Piazza Nettuno, infatti, i fascisti spesso eseguivano fucilazioni pubbliche o esponevano il corpo dei nemici uccisi per dimostrare la propria forza e terrorizzare gli avversari e la popolazione; quell’angolo era stato ribattezzato dai fascisti, con una macabra ironia, “luogo di ristoro per i partigiani”. Pertanto il sacrario poteva sorgere solo in quel punto, anche qui facendo coincidere luogo della storia e luogo della memoria pur ribaltandone il significato. Nel sacrario nella sua forma attuale compaiono i nomi e, dove possibile, i volti di 165 donne che persero la vita durante la Resistenza su un totale di 2.059 partigiani caduti; nelle lapidi poste nella parte inferiore del sacrario sono indicate alcune cifre relative alle formazioni partigiane di Bologna, ai feriti, agli arrestati, ai deportati, ai fucilati, alle medaglie d’oro e d’argento concesse: qui le donne riconosciute tra le file partigiane sono quantificate in 2.212.
Cito poi il monumento alle 128 partigiane posto nel giardino di Villa Spada, realizzato nel 1975 dallo studio Città Nuova (degli architetti Letizia Gelli Mazzuccato, Giampaolo Mazzuccato e Umberto Maccaferri) con la collaborazione delle scuole di Bologna, delle associazioni e delle fabbriche della zona. Il monumento, una composizione di più elementi disseminati nel giardino di Villa Spada, è esplicitamente dedicato alle donne e quindi merita la nostra più grande attenzione. Commemora 128 partigiane della provincia di Bologna cadute durante la Resistenza attraverso 128 mattoni ognuno dei quali riporta il nome di una partigiana.  
Ricorda le donne della Resistenza anche la statua della partigiana di Luciano Minguzzi, realizzata, con quella del partigiano, nell’immediato post-Liberazione, ricavando il bronzo dalla statua equestre di Mussolini che era stata posta sulla torre dello stadio in epoca fascista. Inizialmente le statue erano collocate nel giardino della Montagnola, davanti a quella che allora era la sede dell’Anpi di Bologna, l’ex padiglione della Direttissima (attualmente scuola Lea-Giaccaglia Betti) e nel 1973 furono spostate a Porta Lame, luogo della battaglia del 7 novembre 1944.
Villa Spada e la partigiana di Minguzzi rappresentano degnamente le donne della Resistenza, ma si tratta di una piccola minoranza nel panorama generale dei monumenti, dedicati in prevalenza ai combattenti maschi.
Dobbiamo sottolineare che toponomastica, lapidi, cippi, e monumenti tendenzialmente ricordano i caduti e le cadute nel 1943-1945, non i partigiani e le partigiane in vita, né personaggi legati alla Resistenza sopravvissuti a quella stagione. Le statue di Minguzzi sono un’eccezione, giacché raffigurano il partigiano e la partigiana vivi e per giunta la donna porta una cartuccera sulla spalla: è cioè vista come una combattente, cosa che rende conto non solo della presenza delle donne nella Resistenza, ma di una loro presenza attiva al pari di quella maschile.
Con il progetto Le donne della Resistenza bolognese ci proponiamo di recuperare alla memoria, dando loro rilievo, non solo le figure delle donne cadute nella lotta partigiana, ma anche le storie di vita e di Resistenza delle donne – dalle più note alle più minute – che hanno avuto per scenario il territorio bolognese: oggetto del lavoro sono dunque le azioni quotidiane, le scelte, le motivazioni, le attività di singole e di gruppi di donne nel farsi della Resistenza; il lavoro e il museo diffuso prendono in considerazione non solo le partigiane riconosciute ufficialmente come tali, ma anche quelle donne che furono partigiane senza ottenere la qualifica a fine guerra. Vogliamo perseguire tale obiettivo attraverso il legame luogo-memoria e più precisamente luogo-evento-donne protagoniste-memoria, dando vita a nuovi luoghi di memoria per il territorio di Bologna.
Concentreremo la nostra attenzione sui luoghi fisici, sui punti del territorio in cui le donne hanno vissuto, hanno lavorato, hanno organizzato e attuato le loro forme di Resistenza. I luoghi fisici – abitazioni, basi partigiane, ospedali, piazze, fabbriche, e così via – saranno individuati su una mappa, andando a formare una “cartina geografica” della Resistenza femminile, e saranno i punti di partenza per raccontare gli eventi e la storia delle donne protagoniste.
Il nesso persone-evento-luogo, nell’era dell’immagine, costituisce un modo coinvolgente ed efficace per far emergere l’ampiezza, la complessità e l’originalità della partecipazione delle donne di diversa età e di diversa estrazione politica, sociale, culturale, alla stagione resistenziale.
Si tratta di un modo concreto per riportare alla luce un patrimonio di vite e di storie della nostra città che rischia di perdere vigore a causa della progressiva e naturale scomparsa dei testimoni e per tutelare la memoria, ampliare la conoscenza della storia e mettere in evidenza alcune delle forme e dei metodi tipici della Resistenza delle donne.
L’obiettivo ultimo, come si è detto più sopra, è la realizzazione di un museo diffuso, costituito da alcuni percorsi significativi per la Resistenza femminile. Il museo diffuso consente di raccontare la città e il territorio su base tematica, valorizzandone particolari aspetti caratteristici e distintivi. Una modalità partecipata per ritrovare le tracce della storia nel tessuto cittadino, offrendo al pubblico l’opportunità di cogliere lo stretto rapporto fra storia e territorio, fra memoria e storia, fra passato e presente. Intendiamo quindi valorizzare una parte della storia bolognese, ma con una diffusione molto più ampia rispetto al contesto locale, grazie all’uso di internet. Il museo vuole anche essere uno strumento al servizio del turismo storico-culturale nell’area di Bologna, oltre che degli studenti e dei docenti che potranno usufruirne per percorsi e approfondimenti didattici.
Sono stati individuati otto percorsi, relativi a partigiane e staffette; scioperi e manifestazioni; Gruppi di difesa della donna; reti di assistenza cattoliche; reti di assistenza ebraiche; stampa clandestina; assistenza ai militari sbandati; servizio sanitario.
Tali percorsi saranno visitabili in maniera virtuale attraverso un sito internet, realizzato appositamente per il progetto dallo studio Quarto Canale di Giuliana Cattini, che al momento in cui chiudiamo questo contributo è in versione “demo”. Il sito sarà visibile al pubblico a breve, sia pure sotto forma di work in progress, e verrà via via arricchito di contenuti con il proseguimento e il completamento del lavoro di ricerca. L’idea è quella di dare immediata visibilità al progetto e di rendere fruibile dagli utenti una parte dei contenuti, così da interagire con tutti coloro i quali sono interessati e con i semplici curiosi della rete.
L’individuazione dei luoghi e la creazione dei percorsi sono basate su un’ampia ricerca storico-archivistica, volta a reperire e sistematizzare il materiale esistente sulla Resistenza delle donne a Bologna e a raccogliere ulteriore documentazione: si tratta di testimonianze edite e inedite,  interviste audio e video, materiale fotografico, documenti d’archivio, lettere, materiale a stampa, storiografia, memorialistica da cui emergono luoghi, persone, eventi, attività.
Collegandosi al sito www.donnedellaresistenzabolognese.it il visitatore del museo diffuso accede al cuore del progetto, una mappa, sulla quale, selezionando il percorso prescelto, compaiono uno a uno i segni indicatori dei luoghi delle donne partigiane.

 

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Cliccando su un segno indicatore si apre la scheda relativa al luogo, corredata di immagini, e dal testo descrittivo si può entrare nelle schede relative alle donne protagoniste del luogo. Per ogni donna si riportano una breve biografia e una descrizione dell’attività resistenziale.

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Poiché i singoli luoghi e i percorsi sono spesso collegati tra loro è possibile navigare all’interno del sito, spostandosi da un punto all’altro e “incontrando” più donne; inoltre è possibile collegarsi a siti esterni – pensiamo a quello della Certosa di Bologna – per informarsi su personaggi e avvenimenti citati nelle schede del sito che non sono ricompresi nel sito stesso perché non sono donne o non hanno donne per protagoniste.
Accanto alla scheda di ogni donna sono presenti collegamenti a file audio, video, testo, se esistenti e reperiti, ed eventuali collegamenti a siti esterni; inoltre ogni scheda di luogo e di donna è accompagnata da un elenco di fonti, utili per l’elaborazione della scheda stessa e per eventuali approfondimenti da parte del visitatore.
Ogni utente, registrandosi al sito, avrà la possibilità di creare percorsi specifici secondo i propri interessi, collegando tra loro punti appartenenti a diversi percorsi.
Vediamo più nel dettaglio come funzionerà il sito e che cosa conterrà attraverso alcuni esempi.
Selezionando il percorso Assistenza sanitaria e scegliendo il simbolo sulla mappa corrispondente all’Ospedale Sant’Orsola si accede alla scheda dedicata al policlinico universitario Sant’Orsola nel 1943-1945. Il testo riassume le attività svolte all’interno dell’ospedale a favore della Resistenza dal personale medico e infermieristico e dagli inservienti.

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In rosso compaiono i nomi delle donne protagoniste del luogo, per le quali sono presenti le relative schede biografiche. Se, per esempio, si legge la biografia di Stella Tozzi, allora infermiera al Sant’Orsola e poi partigiana stabilmente inserita nella 7ª brigata Gap, si trovano riferimenti ad altri luoghi e/o avvenimenti che la hanno vista come protagonista. È il caso dell’infermeria partigiana di via Andrea Costa – dove Stella Tozzi assistette, tra gli altri, i partigiani feriti nella battaglie di Porta Lame e della Bolognina del novembre 1944 –,  anch’essa inserita all’interno del sito e parte del percorso dedicato all’assistenza sanitaria: per accedere alla scheda relativa è sufficiente cliccare su via Andrea Costa 77 nella biografia della Tozzi.

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È anche possibile passare da un percorso all’altro, nel caso una delle donne sia legata a percorsi diversi o un luogo sia stato sede di diverse attività.
Partendo ancora dal percorso Assistenza sanitaria in vicolo Bianco 2 si incontra la figura di Liliana Alvisi, medico pediatra, antifascista sin da giovanissima – complice l’ambiente familiare –, iscritta al Partito comunista, attiva nelle rete resistenziale formatasi all’interno dell’ambiente medico-ospedaliero di Bologna e contemporaneamente nei Gruppi di difesa della donna (Gdd).
Ai Gdd, organizzazione prettamente femminile collegata ai Comitati di liberazione nazionale, che puntava a raccogliere donne di diversa estrazione sociale, culturale e politica – non solo le combattenti nelle formazioni partigiane, ma anche tutte le donne impegnate nell’opposizione e nella Resistenza civile – e che rappresentò per molte donne la via d’accesso alla Resistenza divenendo una struttura portante dello stesso movimento antifascista e partigiano, è dedicato un apposito percorso che tocca i luoghi bolognesi dei Gruppi di difesa, ripercorrendone la storia. Dalla biografia di Liliana Alvisi, dunque – ma è solo un esempio –, il visitatore del museo diffuso potrà spostarsi dal percorso Assistenza sanitaria a quello Gruppi di difesa della donna. Qui troverà indicati, fra gli altri luoghi, l’abitazione di Antonietta Stracciari, in località Sostegnino lungo il canale Navile, dove Antonietta, come membro dei Gdd, aveva impiantato un centro di deposito e smistamento di vestiti, stampa clandestina, materiali vari, armi e munizioni per i partigiani; via Ugo Bassi, via Marconi e via Azzo Gardino, tappe della grande manifestazione del 3 marzo 1945 organizzata dai Gruppi di difesa della donna contro il pagamento in sale per le spie e i delatori da parte di fascisti e nazisti; il monumento a Garibaldi di via Indipendenza, dove la dirigente dei Gdd Penelope Veronesi tenne un discorso per chiedere la pace il 16 aprile 1945; e potrà fare la conoscenza di donne come Diana Franceschi, Bruna Bettini, Vittorina Tarozzi, Novella Corazza e tante altre.
Allo scopo di rendere visitabili anche fisicamente i luoghi delle donne della Resistenza bolognese abbiamo pensato alla realizzazione di un’app per tablet e smartphone – che si chiamerà A spasso con DeBoRa, dove DeBoRa è acronimo di Donne per la Resistenza a Bologna ed è idealmente il nome di una partigiana che accompagna il visitatore sui luoghi.
L’app consentirà di portare con sé la mappa e i contenuti in versione ridotta e tascabile e di leggere le descrizioni da app o collegandosi al sito sul web, per la versione integrale, mentre ci si trova fisicamente suoi luoghi.
L’Anpi e il gruppo di lavoro auspicano di potere in futuro realizzare dei veri e propri percorsi fisici suoi luoghi delle donne resistenti bolognesi, apponendo una segnaletica – da concordare con le istituzioni competenti – che riporti alcune informazioni sintetiche e che, mediante un codice Quick-Read (QR Code) permetta l’accesso al sito internet via smartphone e tablet.
In questo modo non solo le persone interessate a conoscere questa storia, che partiranno dal sito e arriveranno ai luoghi e alle donne protagoniste, entreranno in contatto con la Resistenza femminile bolognese, ma anche i turisti, i visitatori e i cittadini trovandosi in un punto in cui è presente la segnaletica fisica potranno incuriosirsi e, prendendo le mosse da un cartello e partendo direttamente dal luogo fisico, andare sul sito e scoprire l’intero museo diffuso che il progetto mette a disposizione.
Da parte delle coordinatrici e delle ricercatrici, oltre che dell’Anpi, vi è infine piena disponibilità ad attivare sinergie e collaborazioni con istituzioni, scuole, biblioteche, altre associazioni ed enti di varia natura (culturale, sociale, ricreativa...) interessati a sviluppare percorsi collegati al progetto.

 

NOTE

Nota 1 J. Sémelin, Senz’armi di fronte a Hitler. La Resistenza civile in Europa 1939-1943, Sonda, Torino 1993 (ed. or. 1989); A. Bravo, Resistenza civile, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, Einaudi, Torino 2000, pp. 268-282; A. Bravo, A. M. Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari (nuova edizione 2000; I ed. 1995); D. Gagliani, Resistenza alla guerra, diritti universali, diritti delle donne, in D. Gagliani (a cura di), Guerra Resistenza Politica. Storie di donne, Aliberti, Reggio Emilia 2006, pp. 21-44. Torna al testo

Nota 2 P. Nora (dir.), Les lieux de mémoire, 3 voll., Gallimard, Paris 1997; M. Isnenghi, (a cura di), I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 2010 (nuova ed.; I ed. 1996; Id (a cura di), I luoghi della memoria. Strutture ed eventi dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 2010 (nuova ed.; I ed. 1997); Id (a cura di), I luoghi della memoria. Personaggi e date dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 1997. Torna al testo

Nota 3 P. Nora, Comment écrire l’histoire de France?, in Id. (dir.), Les lieux de mémoire, Quarto Gallimard, Paris 1997 (ed. in 3 voll.), vol. 2, p. 2226. Torna al testo

Nota 4 Cfr. M. Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, 3 voll. cit. Torna al testo

Nota 5 M. Fanti, Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica e di storia della toponomastica urbana, 2 voll., Istituto per la storia di Bologna, Bologna 2000 (ed. riveduta e aggiornata; I ed. 1974); Ars (Archivio regionale delle strade), Provincia di Bologna, Comune di Bologna, scaricabile dal sito della Regione Emilia Romagna http://servizissiir.regione.emilia-romagna.it/ARS/. Torna al testo

Nota 6 M. Fanti, Le vie di Bologna, cit., vol. I, pp. 35-36. Torna al testo

Nota 7 P. Dogliani, Luoghi della memoria e monumenti, in B. Dalla Casa, A. Preti (a cura di), Bologna in guerra 1940-1945, FrancoAngeli, Milano 1995, pp. 461-475; P. Dogliani, Monumenti alla Resistenza. Bologna e il suo territorio, e P. Dogliani, E. Guerra, E. Lorenzini, Il monumento come documento. Un percorso di ricerca per una mostra storico-didattica, entrambi in O. Piraccini, G. Serpe, A. Sibilia (a cura di), La premiata Resistenza. Concorsi d’arte nel dopoguerra in Emilia-Romagna, Grafis, Bologna 1995, rispettivamente pp. 21-36 e 99-114. Torna al testo

 

Questo contributo si cita R. Mira, Geografia e storia della Resistenza delle donne a Bologna. Un progetto di ricerca e divulgazione storica dell'Anpi provinciale di Bologna e del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell'Università di Bologna, in «Percorsi Storici», 2 (2014)

 

Questo contributo è coperto da licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia

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