Silvana Vialli, Ho scelto la prigionia
Silvana Vialli
Ho scelto la prigionia
Come partigiano e come membro del CLN ho il piacere di dirvi per primo, da combattente a combattente, la parola di saluto e di elogio che noi tutti, della lotta nei monti e nelle città, sempre tenemmo in serbo per voi nel nostro cuore. Compagni prigionieri in Germania “GRAZIE!”. Grazie per la fede che aveste in noi e nell’Italia, grazie di aver sofferto e maledetto, ma di aver sempre respinto con sdegno le lusinghe e avere sopportato con fierezza le minacce con le quali dei traditori volevano indurvi a tradire.
Fratelli, che sarebbe stato di noi e della nostra Patria se voi, piegati dalle sofferenze, esasperati ed avviliti aveste ceduto e vi foste lasciati condurre in Italia per combattere contro di noi, fratelli contro fratelli?
La vostra lotta fu dura quanto la nostra, a volte più della nostra: noi sosteneva lo spirito della lotta aperta, voi circondava il silenzio, le false voci, le notizie di casa, l’inattività. Sapevamo tutto questo in Italia, noi, ma sapevamo che non avreste tradito. Mai! Grazie! O compagni, nostra è stata la vostra Vittoria, vostra è la nostra, ed ora tornate a fronte alta in Italia dove altro lavoro, altre battaglie, altre vittorie vi attendono. (Nota 1)
Questo scritto, battuto a macchina con i caratteri un po’ smangiucchiati su un foglio consumato mi fu inviato da Alberto Giulini, fratello del maestro Carlo Maria Giulini, una grande persona che ho avuto il piacere di conoscere, ufficiale ex internato militare e reduce dalla campagna di Russia. L’ho sempre tenuta nel mio cuore e ora mi sembra il modo migliore per inziare un ricordo di nostro padre e di tutti gli Imi (Internati militari italiani).
Dopo l’8 settembre del 1943, i soldati italiani si trovarono a fronteggiare l’ex alleato tedesco. Così oltre 750.000 di loro furono deportati nei lager nazisti. Di questi 650.000, rimasero prigionieri rifiutandosi di collaborare con le forze nazifasciste. Oltre 50.000 non tornarono più.
Questa pagina della seconda guerra mondiale è stata a lungo trascurata e dimenticata.
Nostro padre Vittorio Vialli fu uno di quei soldati e riuscì a scattare più di 400 foto clandestine nei vari campi d’internamento in Polonia e in Germania, un diario a immagini, quasi cinematografico, dal momento della cattura, avvenuta a Corinto l’8 settembre 1943, alla liberazione effettuata dagli inglesi nel campo di Fallingbostel il 16 aprile del 1945. Queste foto rimasero nel cassetto per tanti anni, alcuni rullini miracolosamente scampati a perquisizioni, finiti addirittura in autoclave, solo sviluppati, ma non stampati.
Alla fine degli anni Novanta, quando finalmente la Memoria si stava risvegliando, veniva pubblicato dopo quasi 40 anni di oblio, il bellissimo libro L’altra Resistenza (Nota 2) di Alessandro Natta (Einaudi, 1997). Poco prima Enrico Deaglio, scriveva sulla «Stampa» un grande ed esauriente articolo sul tema degli Imi che finiva così: «quante storie si possono ancora raccontare; quanto poco sappiamo della nostra storia, di quella che hanno vissuto i nostri genitori e i nostri nonni. È veramente uno strano luogo l’Italia, sospesa in una memoria non memoria...»
Mio fratello Bruno ed io abbiamo imparato a conoscere meglio nostro padre dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1983. Certo sapevamo delle foto, le avevamo viste, ma lui non ne parlava volentieri e noi non abbiamo voluto approfondire l’argomento forse per rispetto nei suoi confronti o forse perché non era il momento anche per noi.
Nel 1975 insieme a nostra madre abbiamo convinto papà a riprendere in mano le foto, a ricostruire il viaggio con tutte le didascalie e uscì un primo libro per Forni Editore che ebbe poca tiratura e distribuzione. Nel 1982 l’Anei (Associazione nazionale ex internati) stampò un secondo libro, molto più curato, sempre intitolato Ho scelto la prigionia, la resistenza dei soldati italiani nei lager nazisti 1943-1945 con prefazione di Sandro Pertini, scritti di Ferruccio Parri e Raffaele Cadorna.
Questo volume, non in vendita, fu distribuito solo in biblioteche e associazioni varie, ma qualcosa incominciò piano piano a muoversi solo negli anni Novanta quando donammo le foto di Vittorio all’Istituto Parri Emilia-Romagna di Bologna.
Era il momento giusto: incominciò un tacito passaparola, storici che desideravano far riaffiorare la vicenda degli Imi, figli e nipoti che scoprivano diari, disegni, fotografie "dimenticati" nei cassetti dai loro padri, nonni, parenti che non ne avevano voluto più parlare, desiderando solo dimenticare e rimuovere ciò che era accaduto.
Fu come aprire un pentolone bollente, le foto cominciarono a girare, a essere studiate, ci sono arrivate lettere, documenti, racconti, libri, sono stati disegnati fumetti, abbiamo incontrato molte persone e continuiamo ancora a incontrarne.
Ci sono state mostre, documentari, musei che hanno esposto le foto, le hanno studiate e in Germania sono sorti centri di documentazione importanti e molto esaurienti sull’argomento, centri in cui si fa ricerca e soprattutto didattica e le foto sono risultate molto preziose.
Concludo con le parole di Vittorio scritte nella prefazione del suo libro:
Gli IMI appresero, dopo la guerra, fatti che prima ignoravano o solamente intuivano in maniera molto vaga, moltissimi dei quali colpirono a morte milioni e milioni di poveri innocenti indifesi, fatti agghiaccianti ed impensabili per orrore ed efferatezza. Per quanto effetti e conseguenze delle guerre siano stati in ogni epoca terribili, non era possibile immaginare le tragedie immani dei campi di sterminio, le camere a gas, i forni crematori, la soluzione finale, gli innumerevoli assassinii in massa, freddamente effettuati dagli hitleriani con burocratica efficienza. Del pari non è possibile dimenticare che, di 67.000 prigionieri italiani in Unione Sovietica, i rimpatriati, dopo anni di segregazione senza notizie furono appena 11.000. Né si possono scordare le durissime condizioni degli italiani nei campi di concentramento francesi del Nord Africa e nemmeno le interminabili detenzioni in India... Questo, e ovviamente non solo questo, ha inevitabilmente ridimensionato nel cuore degli ex IMI le prime valutazioni fatte della propria vicenda... ce ne sono state di ben più tragiche, purtroppo. Ma, pur non essendo stata la più dura, essa rimane non di meno un capitolo molto triste da iscrivere nella storia contemporanea.
Una vicenda da non dimenticare, non per sollecitare o rinfocolare l’odio, sia chiaro, ma per fare umanamente comprendere, a chi dall’esperienza altrui vuole imparare qualcosa, i guai che possono nascere dall’intolleranza, dal fanatismo e dalla smodata demagogia. Speriamo bene...
Per vedere le foto e approfondire l’argomento, in https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Vialli troverete la biografia di Vittorio e vari link a cui accedere.
NOTE:
Nota 1 Stampato su «Picco e Pala» periodico del Campo degli ex internati di Leherte (Hannover), saluto dei partigiani italiani. Torna al testo
Nota 2 Alessando Natta scrisse questo libro nel 1954, ma nessuno lo volle pubblicare. Natta fu internato negli stessi campi di Vialli, Sandbostel e Wietzendorf. Torna al testo