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Mattia Vitiello

Le politiche di emigrazione e la costruzione dello Stato unitario italiano

 

L’unificazione, l’emigrazione e le politiche: i termini della questione e la metodologia di analisi

Negli ultimi anni c’è stata una significativa ripresa di interesse delle scienze sociali per la dimensione storica degli aspetti politici e istituzionali dei movimenti migratori, tra cui le politiche migratorie (Nota 1). Solitamente però queste vengono analizzate dal punto di vista dei paesi di arrivo, per cui finiscono per essere quasi sempre storie delle politiche di immigrazione. Questo lavoro si propone di invertire quello che la storica Green ha definito il «paradigma dell’immigrazione» (Nota 2) e di indagare la nascita e la configurazione delle politiche migratorie dal punto di vista delle partenze. In particolare, qui si vuole ricostruire la storia delle politiche di emigrazione adottate dall’Italia dal 1861 al 1919.
Per la tradizione storiografica italiana, ovviamente, questo approccio non rappresenta una novità. Infatti, questo lavoro può poggiare la sua analisi sulla lunga e feconda tradizione dell’indagine storica italiana nello studio intorno all’emigrazione di questo periodo. A cominciare dal saggio seminale di Francesco Coletti scritto in occasione del 50° anniversario dell’Unità d’Italia (Nota 3). Una tradizione che negli ultimi anni è stata rinverdita e innovata da indagini storiche di grande interesse (Nota 4). Infine, occorre aggiungere che nell’ultimo decennio la ricerca storica ha cominciato ad indagare l’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra (Nota 5), colmando una lacuna (Nota 6) dovuta sia alla vicinanza nel tempo dei fatti che alla recente accessibilità degli archivi dedicati a questo fenomeno (Nota 7). Tuttavia, risulta ancora poco indagato il nesso tra emigrazione e politiche (Nota 8) poiché questo è ritenuto, come sostiene Sori, un «tema di per sé poco consistente, dal momento che governi e legislazione fecero ben poco per incidere su quantità, qualità, epoca, provenienza, destinazione e conseguenze dei flussi di espatrio» (Nota 9).
Nella convinzione che le politiche migratorie, come ha mostrato la letteratura più recente citata in precedenza, abbiano un ruolo consistente nell’influenzare i flussi migratori, questo lavoro intende approcciare la questione delle politiche di emigrazione rapportandole con l’emigrazione, con il dibattito politico e con la situazione socio-economica dell’Italia post Unitaria. Le domande di ricerca riguardano il rapporto che la classe dirigente del nuovo Regno ha intessuto con le partenze, cercando di capire come questa ha percepito il fenomeno migratorio, se ha facilitato o ostacolato le partenze e, infine, quali regolamentazioni ha messo in opera (Nota 10).
A questo punto è bene precisare i contorni dei fenomeni oggetto di questa investigazione. In primo luogo, qui sono considerate le emigrazioni internazionali per lavoro che nella storia unitaria dell’Italia hanno avuto un’incidenza significativamente prevalente. Inoltre, l’emigrazione è intesa come un “fatto sociale totale”, in cui ogni elemento del sistema economico, sociale, politico e culturale risulta essere coinvolto in tale esperienza umana (Nota 11). Per cui, attraverso lo studio di questo singolo fenomeno è possibile risalire al modo in cui si strutturava la società italiana dopo l’Unità.
Per quanto riguarda le politiche, l’analisi è stata limitata all’insieme delle norme e delle disposizioni che si prefiggono di regolare le migrazioni come qui intese, cioè le politiche di emigrazione. Nella determinazione dei meccanismi di selezione delle partenze concorrono sia fattori di tipo economico sia più propriamente fattori politici. Naturalmente questi ultimi non riguardano solamente fattori di politica interna agli stati nazionali, ma anche delle considerazioni di politica estera, soprattutto in quei contesti geografici in cui i processi di integrazione regionale sono più avanzati. Dunque, così come l’emigrazione costituisce un osservatorio di rilievo per l’analisi dei processi di costruzione dell’Italia unita, dall’analisi delle politiche migratorie è possibile ricostruire la visione e l’orientamento del nuovo Stato italiano non solo nei confronti dell’emigrazione ma anche della «questione sociale». Insomma, se l’emigrazione informa su quello che è avvenuto nella società italiana all’epoca della grande emigrazione europea, le politiche di emigrazione informano su come la classe politica italiana ha letto questo fenomeno e sulla sua interdipendenza con la costruzione del nuovo Stato unitario.
Per quanto riguarda l’unificazione dell’Italia, qui non si allude solamente all’unione di tutti gli Stati italiani preunitari nel nuovo Stato denominato Regno d’Italia. Accanto a questa dimensione più propriamente politico-territoriale, vanno considerati anche gli altri ambiti interessati dal processo di unificazione, quali quello amministrativo, finanziario, economico e dei rapporti del nuovo Stato con la società, in particolare la legittimazione politica e sociale del nuovo Regno italiano (Nota 12). La complessità di questo processo e lo squilibrio socio-economico esistente tra le diverse regioni d’Italia, hanno conferito all’unificazione esiti e tempi differenziati (Nota 13), per cui mentre l’unificazione territoriale poteva dirsi conclusa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia, per molti anni ancora continueranno a persistere le altre questioni attinenti all’unificazione italiana, quale ad esempio quella meridionale che rappresenta a tutt’oggi la questione nazionale      (Nota 14).In questo lavoro sono considerate in primo luogo le ricadute dell’unificazione sulla questione sociale che per quegli anni assumeva prevalentemente le forme della questione agraria, a cui l’emigrazione di massa era intrecciata (Nota 15). Dunque, è valido indagare il rapporto tra il processo di costruzione nazionale e l’emigrazione italiana. In particolare, l’interrogativo verte sul come le politiche di emigrazione sono state influenzate dal processo di costruzione dello Stato unitario e sul ruolo della legislazione emigratoria nella costruzione del nuovo Stato unitario.
La problematica oggetto della ricerca così come i suoi interrogativi di fondo, sono stati affrontati ricorrendo a un approccio ispirato a quello della sociologia storica intesa come analisi dei processi in cui far convergere l’analisi storica e quella sociologica. Seguendo Sewell che propone all’analisi sociale di «riconoscere e integrare nel suo arsenale teorico le complesse temporalità sociali degli eventi» proprie dell’analisi storica (Nota 16). Per ottenere ciò, egli raccomanda alla sociologia di assumere il concetto di eventi come «centrale per le concezioni storiche della temporalità, definiti come avvenimenti che trasformano le strutture» (Nota 17). Da qui la sua proposta di una sociologia degli eventi capace di integrare i tre tipi di temporalità: quella del tempo lungo, propria della struttura; quella del medio periodo, corrispondente alla congiuntura; infine quella del breve periodo, cioè degli eventi. A questi tre tipi corrispondono «tre registri causali: le condizioni strutturali preesistenti; le condizioni congiunturali e le azioni strategiche degli attori» (Nota 18). In questo quadro teorico, gli eventi sono intesi come azioni sociali, in cui le scelte possibili sono condizionate dalle scelte precedenti. In altri termini, le azioni degli individui originano una catena di eventi dipendenti gli uni dagli altri. Questa sequenza di eventi interdipendenti concorre alla creazione della struttura, alla determinazione dei suoi cambiamenti oppure alla sua riproduzione. Per incorporare la temporalità dell’analisi storica, l’analisi sociale dunque deve essere in grado di ricostruire la cronologia degli eventi cioè la loro precisa sequenza, contestualizzandoli e caricandoli dei loro significati culturali.
Per la ricostruzione della cronologia degli eventi, in questo caso le partenze dall’Italia e la produzione normativa sull’emigrazione, sono state utilizzate le fonti statistiche sull’emigrazione. Inoltre, per meglio combinare i vari registri causali e i ritmi temporali, sono state utilizzate delle tecniche di analisi descrittive ed esplorative dei dati inserite in una cornice esplicativa più ampia, in modo da includere l’emigrazione degli italiani nel contesto storico della costruzione dello Stato unitario, nella convinzione che «una soddisfacente spiegazione evenemenziale di un processo sociale sarà molto più simile a una storia o a una narrazione ben costruita che non a una legge della fisica» (Nota 19).
Secondo il quadro analitico scelto, per il nostro lavoro di analisi si tratta di capire, in primo luogo, come e perché il processo di costruzione dello Stato italiano struttura il fenomeno emigratorio; infine, come e perché le politiche migratorie e l’emigrazione stessa, influenzino la costruzione dello Stato italiano.

 

Le partenze dall’Italia prima e dopo l’Unità

Le prime rilevazioni statistiche affidabili dell’emigrazione italiana datano dal 1876. Ciò non significa che prima di allora non si sono avuti significativi movimenti migratori, anche oltre Penisola, degli italiani. Anzi, essi hanno cominciato a spostarsi molto prima che l’Italia diventasse uno Stato nazionale (Nota 20). L’emigrazione per gli Italiani è un’esperienza che ha origini molto antiche e che ha segnato profondamente il suo sviluppo sociale ed economico. Essa comincia ad affermarsi nelle regioni settentrionali nella seconda metà del XVII secolo, per poi consolidarsi definitivamente nel secolo seguente, assumendo le forme dell’emigrazione temporanea, soprattutto per motivi di lavoro e per commercio ambulante (Nota 21). In prima battuta, si diresse verso i paesi confinanti. La vicinanza di queste mete favoriva la temporaneità dell’emigrazione, anche perché esse offrivano delle occasioni lavorative caratterizzate dalla stagionalità, soprattutto nell’edilizia e nell’agricoltura, conferendo ai percorsi migratori degli italiani uno spiccato carattere rotatorio (Nota 22). Questi flussi erano composti perlopiù da giovani che, in attesa di poter sostituire le classi adulte e proprietarie, impegnavano un percorso migratorio temporaneo (Nota 23). Dunque, l’emigrazione riguardava solamente una fase specifica del ciclo di vita e agiva soprattutto come correttivo dell’equilibrio tra risorse e consumi familiari (Nota 24). Queste prime esperienze aprirono la strada alle successive ondate migratorie, conferendo a queste ultime una particolare stabilità. Al riguardo, occorre sottolineare l’importante ruolo giocato all’interno dei movimenti migratori italiani, da due regioni orientali come il Veneto e il Friuli, e una occidentale come la Liguria. Le prime due, restarono le regioni italiane con il più alto tasso migratorio per tutto il periodo storico preso in esame, e rappresentarono anche le regioni pioniere dell’emigrazione italiana verso l’America Latina, mentre la seconda costituisce l’avanguardia dell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti (Nota 25). Dunque, il Regno sabaudo, nucleo costituente del futuro Regno d’Italia, conosceva bene l’emigrazione dei propri sudditi e aveva verso di essa un atteggiamento di notevole apertura, dato che ne traeva non pochi benefici (Nota 26).
Comunque, il 1876 a detta di molti studiosi rappresenta non solo il punto di svolta statistico dell’emigrazione italiana, ma anche l’inizio della sua transizione verso i caratteri propri dell’emigrazione europea di massa (Nota 27), come si vede nel grafico 1.

 

Grafico 1 - Partenze e ritorni in Italia (1876-1987)

Fonte: Sommario delle serie storiche dell'Istat, Roma 2011.

 

In primo luogo, si può rilevare che l’Italia presenta una tendenza strutturale all’emigrazione. In accordo con Emilio Franzina, dalla dinamica delle partenze possiamo isolare due cicli ben definiti, a loro volta distinguibili in fasi distinte (Nota 28). Il primo ciclo corre dal 1876 fino alla prima metà degli anni Venti del XX secolo, e il secondo che si sviluppa – dopo la pausa interbellica – tra il 1946 e la seconda metà degli anni Settanta. Per quanto riguarda le fasi, dal 1861 fino all’anno della prima rilevazione statistica ufficiale, i flussi in uscita si possono ancora considerare come espressione del precedente sistema migratorio, segnato dalla preponderanza delle mete europee, dalla temporaneità e dalla bassa intensità dei flussi.
Tra il 1876 e il 1887 si delinea la nuova emigrazione italiana con un aumento costante delle partenze, in cui le destinazioni extraeuropee assumevano valori sempre più significativi. In questi anni l’emigrazione è fortemente localizzata nel Nord Italia: Veneto, Lombardia, Liguria e Piemonte. Dal 1888 al 1901 emerge in maniera evidente l’esodo dalle campagne, e l’emigrazione permanente diviene prevalente su quella temporanea, assumendo il carattere di massa. Durante gli anni che vanno dal 1902 al 1926, l’emigrazione si diffonde per tutto il territorio italiano. Queste tre fasi formano il momento ascendente del primo ciclo migratorio, in cui si registra una crescita esponenziale delle partenze.
Il periodo successivo, compreso tra il 1926 al 1945, segna la chiusura del primo ciclo migratorio italiano, in cui il riflusso delle partenze è dovuto alla chiusura delle porte di ingresso più che alle restrizioni delle uscite adottate dalle politiche fasciste.
Gli anni dal 1946 al 1960 sono gli anni della ripresa dell’emigrazione italiana con nuove destinazioni e nuovi caratteri. Essi segnano l’avvio del secondo ciclo migratorio italiano che nella fase successiva, dal 1960 al 1973, registra un decremento e la relativa stabilizzazione dell’emigrazione come trend strutturale italiano. In realtà, in questi anni c’è stata una progressiva sostituzione dell’emigrazione con le migrazioni interne grazie all’ormai matura industrializzazione delle regioni settentrionali che offre valide mete alternative agli emigranti delle regioni meridionali (Nota 29). In seguito, fino agli anni Novanta, si consuma la fase di transizione dell’Italia da paese di emigrazione a paese di prevalente immigrazione con emigrazione ricorrente (Nota 30).
L’Italia nei suoi primi 150 anni di vita unitaria ha dunque sperimentato tutte le possibili forme di mobilità territoriale, passando in poco più di un secolo da paese di emigrazione di massa a paese di immigrazione di massa. Inoltre, nel corso del tempo ai movimenti migratori internazionali si sono affiancati significativi e intensi flussi migratori interni (Nota 31).
Accanto alla mobilità territoriale, l’Italia ha parimenti sperimentato le diverse forme di regolazione dei movimenti migratori, elaborando significativi apparati giuridici regolanti l’emigrazione prima e l’immigrazione poi, come illustrato nel prospetto seguente (Nota 32).

 

Prospetto 1 - Le principali fasi della storia delle politiche migratorie italiane (1861-2012)

1861-1927

Dal laissez partir alla nascita e l’ascesa del diritto italiano dell’emigrazione

1927-1945

La chiusura delle porte e la proibizione dell’emigrazione

1945-1975

La ripresa dell’emigrazione e la tutela del lavoratore italiano all’estero

1975-1986

La transizione da paese di emigrazione a paese di immigrazione e la 1° legge sull’immigrazione

1986 -

Paese di immigrazione, le 2e generazioni e le nuove politiche migratorie

Fonte: Ns. elaborazione

 
In questa sede limiteremo l’analisi delle politiche migratorie relative al periodo storico definito dal primo ciclo migratorio. Il secondo prospetto presenta un quadro sintetico della cronologia dello sviluppo delle politiche migratorie per questo periodo storico.

 

Prospetto 2 - Le procedure e i mezzi per il governo dell’emigrazione (1861-1919)

1861-1873

Prevale il liberismo verso le partenze

1873-1888

Il precario compromesso tra la libertà e l’inibizione dell’emigrazione attraverso l’uso delle circolari

1888-1901

Dal controllo e il contenimento della 1a legge alla tutela dell’emigrazione della 2a legge

1901-1919

Il Testo Unico dell’emigrazione come Codice dell’emigrazione

Fonte: Ns. elaborazione.

 

Le due cronologie, quella degli eventi emigratori e quella delle codifiche normative, serviranno da linee guida per l’analisi. In particolare, la suddivisione del primo periodo della cronologia delle politiche di emigrazione, corrispondente al primo ciclo migratorio, consente l’individuazione dei meccanismi processuali alla base della conformazione e dello sviluppo delle politiche emigratorie italiane, e la rilevazione del ruolo del processo di unificazione nella strutturazione dei flussi emigratori.

 

L’ascesa dell’emigrazione: dal liberismo delle partenze al contenimento dell’emigrazione (1861-1888)

All’indomani dell’Unità d’Italia, alla classe politica del nuovo Stato non si poneva tanto la questione sul come legiferare in tema di emigrazione, quanto piuttosto il dibattito politico era centrato sul perché legiferare. Oggi questa può sembrare una domanda retorica, ma all’epoca non era per niente scontata se si tiene conto che legiferare sulla mobilità delle persone implicava un’interferenza dello Stato nella sfera delle libertà individuali, di cui la libertà di spostamento costituiva una parte essenziale e che all’epoca non si riusciva a scorgerne con nettezza l’utilità.
L’atteggiamento di laissez-faire maturato dalla classe dirigente piemontese, che negli anni aveva acquisito una certa familiarità col fenomeno migratorio e un documentato riconoscimento dei suoi vantaggi, nei confronti dell’emigrazione ha dominato la vita politica italiana per molti anni ancora dopo il compimento dell’Unità d’Italia.
Dal 1861 fino alla promulgazione della prima legge sull’emigrazione, questa era regolata principalmente tramite circolari dal Ministero dell’Interno (Nota 33). In generale servivano da riferimento due dispostivi legislativi: la legge del 13 novembre 1857 sul rilascio dei passaporti, la cui validità fu estesa al Regno d’Italia dopo l’unificazione; e gli articoli 65 della legge dell’unificazione amministrativa del Regno d’Italia e 64 della legge di Pubblica sicurezza del 20 marzo 1865.
All’epoca «l’emigrazione, a simiglianza di ogni altra attività collettiva, si esplicava sotto la disciplina generale di Pubblica sicurezza» (Nota 34). Dunque essa era considerata alla stregua di una semplice operazione commerciale tra due parti, con riserva dello Stato di intervenire se e solo se nel caso in cui i patti non fossero stati osservati e i contraenti avessero sollecitato tale intervento.
Come spiegazione di questo relativo vuoto legislativo, si possono citare due ordini di motivazioni. Da un lato, contava la perdurante bassa intensità dei flussi migratori in uscita che si muovevano ancora lungo le vecchie direttrici e con le tradizionali modalità delle migrazioni antecedenti allo Stato italiano. L’emigrazione dunque non assumeva un carattere emergente e anzi concorreva nel mantenimento del delicato equilibrio tra l’eccedenza della forza lavoro nelle campagne italiane e la domanda di lavoro agricolo fortemente concentrata in determinati periodi dell’anno. Dal lato opposto, il governo si trovava ad affrontare diverse e più pressanti questioni nella costruzione dello Stato unitario, per cui l’emigrazione non figurava in cima all’agenda politica di quegli anni. Innanzitutto, l’unificazione dell’Italia non era ancora completa in quanto mancavano Roma e Venezia. Sia la destra moderata, allora al governo, che lo schieramento democratico, assegnavano la netta priorità politica alla loro conquista. In particolare, i democratici, «un coacervo di elementi popolari e di ceto medio tenuti insieme dall’obiettivo dell’Unità nazionale» (Nota 35), ritenevano prioritaria la questione romana rispetto a tutte  le altre questioni di politica interna. Pertanto, tendevano a sottrarsi alla questione della costruzione del nuovo Stato unitario, subordinando ogni iniziativa politica al completamento dell’Unità d’Italia. Questo relativo disinteresse nei confronti delle questioni politiche interne, concorreva a rafforzare l’egemonia politica e culturale della destra moderata nel parlamento italiano. Inoltre, il predominio dell’ispirazione liberale nelle questioni di politica interna e di quella liberista in economia anche nella Sinistra rafforzarono la tendenza a concentrare l’azione di governo sulle questioni dell’unificazione amministrativa e del risanamento del bilancio dello Stato.
La circolare del 18 gennaio 1873, in cui esplicitamente si sollecitavano le autorità ad impedire l’emigrazione artificiale generata dagli agenti e a frenare con ogni mezzo quella lecita e spontanea, chiude la fase in cui l’atteggiamento del governo nei confronti delle partenze era improntato al laissez-faire, per aprire una nuova fase incentrata sulla condanna dell’emigrazione e sul tentativo di frenarla (Nota 36).
Sia gli agrari che il governo italiano concordavano sulla natura artificiale dell’emigrazione, negandone la natura sociale. In sostanza, essi imputavano agli interessi degli agenti di emigrazione l’aumento delle partenze degli italiani. La distinzione tra un’emigrazione spontanea o libera, e una artificiale dovuta all’azione degli agenti che illudevano e ingannavano gli italiani con false promesse di futuro benessere, apriva le porte all’intervento regolativo dello Stato a motivo di una maggiore tutela dell’emigrante.
A esso si contrapponevano gli armatori e gli agenti di emigrazione che in nome della libertà di emigrazione, reclamavano la liberalizzazione degli espatri. Gli animatori di questo fronte sono soprattutto gli armatori genovesi, ai quali l’emigrazione forniva una valida alternativa economica in un momento di forte crisi, consentendo il finanziamento dell’innovazione tecnologica della flottiglia non sovvenzionata (Nota 37).
Dalla succitata circolare in poi, la politica di emigrazione italiana risultò dal tentativo, non sempre riuscito, di trovare una mediazione tra gli interessi degli agrari che richiedevano un intervento statale per frenare l’emigrazione, e quelli delle compagnie di navigazione e delle agenzie di emigrazione che contestavano ogni intervento regolativo in nome della libertà di emigrare e di commercio.
Non potendo cancellare il diritto di emigrare, il governo concentrò il suo intervento regolatore sulle operazioni di arruolamento delle agenzie di emigrazione e sulle compagnie di navigazione che trasportavano gli emigranti, attraverso l’uso delle circolari. Anche se occorre sottolineare, che queste ultime hanno sempre avuto una scarsa applicazione (Nota 38).
Al fondamento della richiesta di un intervento inibitorio del governo c’era che l’emigrazione – come già illustrato nel paragrafo precedente – cominciava ad assumere un carattere emergente, cioè non solo cresceva il numero delle partenze ma si diffondevano anche in zone precedentemente non toccate dal fenomeno.
La diffusione del modo di produzione capitalistico e della modernizzazione della produzione nelle campagne italiane, fino a quegli anni aveva seguito un percorso proprio, centrato sulla creazione di un vasto semiproletariato, la cui pluriattività garantiva la pura sussistenza e nascondeva la cronica sottoccupazione agricola. La tradizionale emigrazione circolare e/o temporanea degli italiani era funzionale a questo tipo di percorso, in quanto rientrava nello schema delle pluriattività. Tutto ciò consentiva sostanzialmente un relativo contenimento dei salari agricoli a tutto vantaggio dei possidenti terrieri. Per questo motivo le partenze non erano considerate particolarmente influenti fin a quando si concentravano nelle zone agricole più povere e/o riguardavano esclusivamente alcuni componenti familiari. Questo particolare equilibrio si rompe in seguito alla crisi dell’agricoltura italiana che provoca una forte accelerazione del processo di proletarizzazione nelle campagne italiane, da cui consegue un significativo aumento dell’emigrazione.
Accanto alla montante emigrazione, inoltre, la classe dirigente del nuovo Regno si trovava ad affrontare anche la crescita degli scioperi e dei moti di protesta che col passare del tempo perdevano in spontaneità e sporadicità per acquisire un grado maggiore di organizzazione e di consapevolezza politica. Questi conflitti nascono e si sviluppano con maggiore virulenza proprio nelle campagne delle regioni settentrionali più ricche. I protagonisti di questi conflitti sono principalmente braccianti e contadini che costituiranno il nucleo fondante del movimento socialista e sindacale italiano (Nota 39). Questi sommovimenti inducevano nella classe politica italiana una crescente sensibilità nei confronti della questione sociale, non fosse altro che per il timore di un insostenibile aumento dei conflitti sociali.
Queste preoccupazioni colpivano soprattutto gli agrari meridionali e quelli delle regioni settentrionali, dalle cui campagne continua a partire il maggiore contingente di emigranti. In questi anni si formò pertanto un vasto fronte “padronale” che invitava il governo italiano ad abbandonare la linea dello Stato neutro per assumere una linea interventista in direzione di un maggiore controllo delle partenze, fino a richiedere la proibizione dell’emigrazione (Nota 40). Il blocco della destra storica al governo però aveva sempre rifiutato di proibire l’emigrazione negandone il carattere di emergente questione nazionale. In questo caso l’ostacolo principale all’intervento governativo era senza dubbio rappresentato dal credo liberista che ne ispirava l’azione.
Dalla seconda metà degli anni Settanta del XIX secolo, il liberismo e la figura politica dello Stato neutro subiscono una profonda crisi, proprio a causa della montante questione sociale. E fu proprio con il passaggio della Sinistra al governo che si intensificò l’azione governativa sull’emigrazione attraverso la produzione di numerose circolari, espressioni del compromesso raggiunto tra possidenti terrieri e nuovo governo, nell’intento di limitare l’azione degli agenti e delle agenzie di emigrazione senza però proibire l’emigrazione.
Nella pratica queste disposizioni non ebbero alcuna efficacia, anzi come sottolineava Grossi, «in difetto di una legge che punisse seriamente le agenzie non autorizzate […] l’emigrazione continuò a crescere e continuarono a crescere le male arti degli agenti. Era manifesto che a regolare siffatta materia occorreva una legge» (Nota 41). Furono presentati vari progetti di legge che per vari motivi non riuscirono mai a passare l’esame delle Camere, fino alla proposta Crispi – De Zerbi che divenne legge il 30 dicembre 1888.

 

La nazionalizzazione dell’emigrazione e il diritto dell’emigrazione (1888-1919)

Unico merito di questa legge fu quello di segnare il primo passo verso il riconoscimento di un diritto speciale dell’emigrazione con l’istituzione del contratto di partenza o di emigrazione, e di una commissione provinciale di arbitri per dirimere le controversie inerenti a questi contratti   (Nota 42). Per il resto, si limitava a disciplinare le attività delle agenzie e degli agenti di emigrazione. Le ondate migratorie degli anni successivi inficiarono i presupposti di questa legge rispetto alla loro presunta natura “artificiale”, cioè indotta, e al ruolo istigatore delle agenzie di emigrazione. Pertanto, essa si rivelò completamente inadeguata ad affrontare le problematiche connesse alla tutela dell’emigrante, improntata come era a una logica poliziesca di controllo e di repressione. L’inefficacia di questa legge comportò una ripresa dell’uso delle circolari per affrontare i problemi che lasciava insoluti.
In definitiva, erano aumentati sia gli effetti spinta, che cominciarono a diffondersi anche nelle regioni meridionali, sia la forza di attrazione delle mete migratorie, grazie all’apertura del mercato del lavoro degli USA e alla sua crescente domanda di lavoro. L’emigrazione italiana assunse il carattere di massa e ascese al rango di questione nazionale. Ormai agli occhi di tutti gli osservatori, l’emigrazione risultava generata dalle condizioni di vita nelle zone di partenza e dai bassi salari, e a nulla valeva tentare di limitarla ma era meglio tutelarla. Nella classe dirigente e nella società italiana cominciava ad affermarsi l’idea dell’emigrazione come un fenomeno strutturale e necessario, ancorché doloroso, inaugurando una nuova fase in cui l’emigrazione era da incoraggiare e tutelare.
A tale scopo, la legge n. 23 del 31 gennaio 1901 indicava il nuovo indirizzo da seguire per la produzione delle politiche di emigrazione, a cominciare dal trasferimento delle competenze in materia di emigrazione dal Ministero degli interni a quello degli Affari esteri, alla cui dipendenza venne posta una nuova organizzazione amministrativa – il Commissariato generale dell’emigrazione – a cui erano demandate tutte le incombenze relative all’emigrazione che fino a quel momento erano state suddivise fra i vari ministeri.
Con l’approvazione di questa legge, cominciò un periodo caratterizzato da una notevole attività legislativa sull’emigrazione che si chiuse nel 1919 con l’emanazione del «Testo Unico dei provvedimenti sull'emigrazione e sulla tutela giuridica degli emigranti» raggruppante tutte le normative vigenti. Con questo provvedimento si affermava il diritto dell’emigrazione.
Tra la ponderosa produzione legislativa di questi anni, occorre citare le norme che fissarono i caratteri peculiari del percorso italiano verso il diritto dell’emigrazione: la legge n. 24 del febbraio 1901 per la tutela delle rimesse e dei risparmi degli emigranti italiani all'estero; la legge n. 538 del luglio 1910 sugli organi amministrativi del servizio emigrazione; la legge n. 1075 dell’agosto del 1913 sulla tutela giuridica degli emigranti. Inoltre, parallelamente alla legislazione nazionale, con la stipula del primo accordo bilaterale nel 1904 con la Francia, le autorità italiane inaugurarono una nuova linea di condotta per la tutela dei propri emigranti, centrando il proprio operato sulla difesa degli interessi propri dello Stato attraverso la tutela dei lavoratori emigrati all’estero (Nota 43).
Per meglio perseguire questi obiettivi, la legge n. 538 del 1910 conferì maggiori poteri al Commissariato generale per l’emigrazione, ora in grado di intervenire nei paesi esteri in modo più incisivo al fine di garantire una maggiore tutela dell’emigrante in virtù del principio, finalmente affermato in modo esplicito, della libertà di espatrio per motivi di lavoro. Insieme alla legge n. 1075 del 1913, questi interventi legislativi fornirono un corpus normativo organico che rendeva il contratto di lavoro dell’emigrante l’oggetto della tutela statale, che recepiva gli accordi bilaterali stipulati dall’Italia in materia di tutela dei lavoratori italiani emigrati.
Un’ultima importante considerazione deve essere fatta in merito alla questione della cittadinanza degli Italiani emigrati che esemplifica la relazione che lo Stato italiano intrattenne con questi ultimi.  I problemi posti dalla moltiplicazione dei doppi cittadini de facto nei Paesi in cui era praticato il principio dello jus soli in materia di cittadinanza, imposero al governo italiano un cambiamento di orientamento nei confronti della normativa in materia di cittadinanza contenuta nel Codice civile del 1865 palesemente inadeguate di fronte al nuovo fenomeno (Nota 44). In particolare, la legge n. 23 del 31 gennaio 1901 con l’articolo 35 abrogava il terzo comma dell’articolo 11 del Codice civile in cui si stabiliva che «La cittadinanza si perde da colui che senza permesso del Governo, abbia accettato impiego da uno Stato estero, o sia entrato al servizio militare di potenza estera», mentre l’articolo 36 regolava favorevolmente il riacquisto della cittadinanza perduta (Nota 45).
Negli anni seguenti la questione della cittadinanza degli emigranti italiani assunse una crescente valenza politica per cui alla genuina motivazione di ottemperare al dovere di tutelare i cittadini emigrati, si sovrapponevano interessi politici di tipo nazionalistico che intravedevano negli emigranti un corpo politico da mobilitare in difesa degli interessi italiani (Nota 46). La pubblicistica italiana dell’epoca aveva già collegato la soluzione del problema emigratorio con l’espansione coloniale (Nota 47). Questo nesso rimarrà sotterraneo per tutti gli anni seguenti per poi riaffiorare insieme alle velleità imperialistiche di Crispi e Sonnino, utilizzandolo come giustificazione per le guerre di conquista di nuovi territori verso cui indirizzare l’emigrazione (Nota 48). In questo senso il nazionalismo italiano ebbe sempre una finalità di integrazione delle classi popolari nello Stato italiano, subordinando i problemi di politica interna, cioè la questione sociale, all’espansione coloniale (Nota 49). Il mito dell’Italia “grande proletaria” dove il numero è considerato come fattore di potenza, pensava all’emigrazione come una forma di colonizzazione (Nota 50). Dunque, verso la fine del regime liberale cominciava a diffondersi la retorica dell’emigrazione come uno strumento della politica coloniale italiana, la quale sarà poi ripresa e sviluppata dal regime fascista (Nota 51), inserita però in un quadro di progressiva restrizione del diritto di emigrare e dell’emigrazione.

 

L’unificazione, l’emigrazione e le politiche: evidenze e ipotesi esplicative 

L’emigrazione è un fenomeno ricorrente nella storia italiana, frutto della particolare strutturazione dell’economia e della società di questo Paese. Una strutturazione improntata nei suoi termini fondamentali su un profondo dualismo e su una persistente incapacità del sistema produttivo di impiegare pienamente l’offerta di lavoro. Queste caratteristiche strutturali hanno sicuramente le loro radici nell’Italia pre-unitaria, ma il processo di unificazione ha determinato una loro diversa strutturazione, cosi come il boom economico e la democrazia italiana della seconda metà del XX secolo hanno individuato un nuovo ciclo migratorio e un ruolo inedito per questo Paese all’interno del sistema migratorio europeo.
In rapporto alle politiche di emigrazione adottate dall’Italia, una prima evidenza che si può trarre è che esse sono il frutto di un’elaborazione lenta, non orientata su di uno schema ideale e nemmeno influenzata da un sistema straniero che potesse imporsi come esempio. In definitiva è stata un’elaborazione nata dall’esperienza, basata su un approccio pragmatico. Dove i problemi venivano affrontati man mano che si presentavano, e alla legislazione precedente si aggiungeva sempre qualche elemento nuovo.
Intervenendo nella regolazione di uno scambio economico, per come era vista all’epoca l’emigrazione, lo Stato italiano creava di fatto le condizioni per elaborare e legittimare ulteriori interventi sia nel campo dell’economia che della società. In questo senso si può affermare che lo sviluppo della legislazione migratoria lungo la direttrice della tutela dell’emigrante, inteso come lavoratore, stimola e rafforza l’emergente legislazione sociale sui diritti dei lavoratori. Da qui possiamo trarre la seconda evidenza, la legislazione migratoria rappresenta una delle forme primordiali e, insieme, il nucleo della prima fase dell’evoluzione della legislazione sociale italiana.
Questa fase può essere intesa come la vicenda originaria dell’intervento dello Stato italiano nei rapporti tra cittadini, in cui però esso persegue ancora una logica di ordine pubblico. Vale a dire, in Italia in questo primo periodo, lo Stato liberale interviene per correggere quelle condizioni di grave e sostanziale disparità tra i soggetti dello scambio economico che, provocando il malcontento dell’opinione pubblica, potrebbero essere pericolose per lo stesso ordine pubblico. Lo Stato italiano, abbandonando la posizione di neutralità, si determinò a intervenire a tutela degli emigranti, dapprima sporadicamente e in modo paternalistico, e poi sempre più incisivamente, riconoscendone i diritti sociali ed economici in quanto lavoratori.
Questi stessi problemi si erano posti in anticipo in altri Paesi europei, e avevano portato a una legislazione dell’emigrazione ben precisa. Ad esempio, per l’Inghilterra l’emigrazione ha rappresentato sia la principale porta di ingresso per l’intervento statale in campo sociale che il principale veicolo dello sviluppo burocratico dello Stato, attraverso l’istituzione e la crescita dell’ufficio denominato Emigration service (Nota 52).
Pertanto, possiamo ipotizzare che l’unificazione dell’Italia, in quanto evento motore della costruzione del nuovo Stato nazionale, ha rappresentato anche l’innesco di una nuova strutturazione del fenomeno migratorio italiano, in cui esso ha acquisito un carattere nazionale, di massa e una natura durevole. Inoltre, la lunga sequenza degli eventi costituenti il processo di unificazione ha creato anche l’occasione per l’avvio dell’azione politica sull’emigrazione italiana e di una sua progressiva politicizzazione, attraverso sia la formazione di politiche che di senso politico. Le scelte fatte in termini di politiche migratorie devono pertanto essere lette all’interno di questo quadro e alla luce della cultura politica allora egemone.
Le scelte di natura autoritaria fatte in politica economica e in riguardo all’uniformità legislativa e amministrativa italiana, modellate sulle istituzioni proprie del Regno di Sardegna, furono assunte in base alla predominante ragione di stato dell’Italia post-unitaria, cioè la sopravvivenza politica del nuovo Stato rispetto alle preesistenti e nuove forze centrifughe (Nota 53). Queste decisioni erano peraltro legittimate dalla concezione, condivisa dal blocco politico egemone del Regno di Sardegna, dell’Italia non sabauda come "arretrata" e "immatura" sia politicamente che economicamente. Pertanto, in una prima fase, il modo liberale di governo doveva essere imposto dall’alto con un atteggiamento quasi pedagogico (Nota 54).
 Questo blocco politico, fondato sul liberismo economico e il liberalismo politico, incontrò il consenso degli agrari meridionali, il cui liberismo aveva già preso corpo nel Regno delle Due Sicilie (Nota 55) e, secondo Mori, questo giacobinismo liberista che, esaltato prima e dopo l’Unità, come il versante economico della più nobile ed avvincente battaglia per la libertà e l’indipendenza, non poteva non tornare gradito alla borghesia industriale del nord Europa: sulle quali non a caso puntò tante carte la fredda, consapevole diplomazia cavouriana (Nota 56).
Dunque, il blocco moderato egemone nasce e si consolida in Piemonte e nell’Italia meridionale già durante il Risorgimento, e si salda nelle sue componenti territoriali dopo l’Unità d’Italia, cementate dalla comune ideologia liberista, almeno fino a quando le ragioni di scambio favoriranno le esportazioni agricole italiane.
D’altro canto, l’unificazione aveva richiesto e richiedeva ingenti investimenti che potevano essere sostenuti solamente ricorrendo all’intervento di capitali esteri, e il bilancio di pareggio costituiva la garanzia dei prestiti e la remunerazione dei capitali investiti (Nota 57), per cui l’adozione delle tariffe doganali piemontesi del 1851, ben si prestava al rafforzamento dei rapporti diplomatici con le maggiori potenze europee, quali Francia e Inghilterra. Questa integrazione dell’Italia nel sistema europeo, subalterna dal punto di vista politico e periferica da quello economico, assegnava all’Italia il ruolo di economia fornitrice di derrate agricole e prodotti semilavorati, beneficiando la rendita fondiaria e gli interessi mercantili e rafforzando il blocco economico dominante. Inoltre, essa portò l’Italia a gravitare intorno al nascente mercato del lavoro mondiale, centrato sull’economia atlantica.
Le scelte di politica economica intraprese dall’unificazione in poi, anche se consentirono il conseguimento del pareggio di bilancio, ebbero significative ripercussioni sulla società rurale italiana, contribuendo alla riduzione dell’area del semiproletariato agricolo e della relativa sottoccupazione. A queste si aggiunsero gli effetti, ancora più profondi e poderosi, della crisi manifestatasi intorno agli Anni Settanta del XIX secolo. Ciò contribuì ad acuire ulteriormente il problema occupazionale nelle campagne italiane. Ma l’ingresso dell’Italia nello spazio migratorio atlantico aveva aperto le porte del continente americano anche ai contadini italiani espulsi dalle campagne, cosicché questi alla necessità di partire poterono associare il sapere dove andare per ripristinare le perdute condizioni di vita.
Per le prime ondate migratorie degli Italiani, prevalsero i fattori di espulsione nella guida dei flussi verso l’America, in quanto i contadini italiani attraverso l’emigrazione cercavano di recuperare quello che avevano perso, cioè la terra.
Così come l’emigrazione dei contadini, le conseguenze della crisi e delle scelte di politica economica, suscitarono diffusi conflitti sociali con cui il blocco governativo fu costretto a misurarsi. L’incontenibile rivelazione della questione sociale e la caduta verticale dei prezzi agricoli spinsero il blocco economico egemone alla conversione verso il protezionismo e alla richiesta dell’intervento pubblico. Ma così come il protezionismo non aveva risolto i problemi delle campagne italiane, soprattutto di quelle meridionali, anche la risposta paternalistica all’emigrazione non aveva sortito effetti sui flussi in uscita, anzi all’accresciuta pressione migratoria si aggiunse la nuova forza di attrazione del continente americano. Gli emigranti italiani cominciarono a partire richiamati dall’incessante bisogno di manodopera delle imprese nord americane, acuito dall’esaurirsi delle tradizionali aree di partenza europee, quali Germania, Inghilterra e Penisola Scandinava.
Da questo momento in poi l’emigrazione italiana si autoalimenta, cioè acquisisce una forza autopropulsiva in base alla quale, una volta avviate, le partenze tendono a persistere col passare del tempo, anche quando cominciano a mutare le condizioni che le hanno generate. In altri termini, l’emigrazione italiana tende a trasformarsi in movimento sociale. In questo modo, l’esodo di massa degli Italiani diviene una questione nazionale e ascende al rango di questione sociale. In un’Italia nata da un incrocio di “dissimiglianze”, l’emigrazione costituisce la prima esperienza nazionale e popolare, intorno alla quale si formarono le prime organizzazioni a carattere politico, di ispirazione socialista (Umanitaria) e cattolica (Associazione di Patronato di San Raffaele, Opera Bonomelli), di intervento sociale per l’assistenza agli emigranti.
Secondo Degl’Innocenti, Il carattere fortemente pragmatico dell’intervento di ispirazione socialista per l’emigrazione italiana rivestì un’importanza determinante per la formazione e lo sviluppo del movimento operaio italiano, nonché il suo apporto fu decisivo per l’elaborazione di una legislazione più adeguata alla tutela dell’emigrante (Nota 58). Per i cattolici, invece, l’intervento in questo campo manifestava la disponibilità dei conciliatoristi alla partecipazione politica e a dialogare con lo Stato italiano (Nota 59).
In ultima analisi, è possibile ipotizzare che il contributo dell’emigrazione italiana e dell’azione politica e sociale su di essa, alla costruzione dello Stato unitario, sia rintracciabile nell’allargamento della sua base sociale; in un sostanziale contributo alla nazionalizzazione delle masse contadine; nell’occasione offerta al nuovo Stato di estensione delle sfere di intervento nella società e nell’economia.     

 
 
NOTE:

Nota 1 A. Fahrmeir, O. Faron, P. Weil, Migration control in the north Atlantic world, Berghan Books, Oxford 2005; D. Kanstroom, Deportation nation. Outsiders in American history, Harvard University Press, London 2007; C. Rosenberg, Policing Paris. The origins of modern immigration control between the wars, Cornell University Press, London 2006; P. Rygiel, Le Bon grain et l’ivraie. La sélection des migrants en Occident 1880-1939, Éditions Publibook, Paris 2008; S. Sassen, Migranti, coloni, rifugiati. Dalla migrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano 1999 (I ed. 1996); J. Torpey, The invention of the passport. Surveillance, citizenship and the state, Cambridge University Press, Cambridge 2000; A. Zolberg, A nation by design. Immigration policy in the fashioning of America, Harvard University Press, London 2006. Torna al testo

Nota 2 N. L. Green, The Politics of Exit: Reversing the Immigration Paradigm, in «The Journal of Modern History», 2 (2005). Torna al testo

Nota 3 F. Coletti, Dell’emigrazione italiana in Cinquanta anni di storia italiana, Hoepli, Milano 1912. Inoltre, si ricordano: R. F. Foerster, The Italian emigration of our times, Arno Press, New York 1919; E. Franzina, La grande emigrazione: l’esodo dei rurali dal Veneto durante il secolo 19, Marsilio, Venezia 1976; G. Rosoli, Un Secolo di emigrazione italiana, 1876-1976, Centro Studi Emigrazione, Roma 1978; E. Sori, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Il Mulino, Bologna 1979. Per quanto riguarda la riflessione sulle politiche e il dibattito sull’emigrazione, si devono citare: il numero speciale della rivista «Il Ponte» Emigrazione. Cento anni 26 milioni, 30, (1974); C. Furno, L’evoluzione sociale delle leggi italiane sull’emigrazione, Tipografia Multa paucis, Varese 1958;  F. Manzotti, La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita (fino alla prima guerra mondiale), Milano, Società editrice Dante Alighieri, Milano 1962; G. Dore, La democrazia italiana e l’emigrazione in America, Morcelliana, Brescia 1964; A. Filipuzzi, Il dibattito sull’emigrazione. Polemiche nazionali e stampa veneta (1861- 1914), Le Monnier, Firenze 1976; Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia: 1868/1975. Storia e documenti, 2 voll., Vallecchi, Firenze 1978. Torna al testo 

Nota 4 P. Bevilacqua, E. Franzina, A. De Clementi, Storia dell’emigrazione italiana, 2 voll., Donzelli, Roma 2002; P. Corti, M. Sanfilippo (a cura di), Migrazioni, Annale 24, Storia d’Italia, Einaudi, Torino 2009; P. Corti, M. Sanfilippo, L’Italia e le migrazioni, Laterza, Roma 2012. Torna al testo

Nota 5 M. Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa, 1945-57, Donzelli, Roma 2008; S. Rinauro, Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi, Torino 2009; A. De Clementi, Il prezzo della ricostruzione: l’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Laterza, Roma 2010. Torna al testo

Nota 6 A. De Clementi, Il prezzo della ricostruzione, cit., p. 2. Torna al testo

Nota 7 E. Sori, Migranti. Recenti ricerche sulla storia dell’emigrazione italiana, in «Società e Storia», 127 (2010). Torna al testo 

Nota 8 Fanno eccezione: M. R. Ostuni, Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista, in P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, Storia dell’emigrazione italiana, cit.; C. Bonifazi, Dall’emigrazione assistita alla gestione dell’immigrazione: le politiche migratorie dell’Italia repubblicana, dai vecchi ai nuovi scenari del fenomeno, in «Popolazione e storia», 1 (2005); E. Sori, La politica emigratoria italiana, 1860-1973, ivi, 1 (2003). Torna al testo

Nota 9 A. Martellini, Cinque domande sulla storiografia dell’emigrazione a Emilio Franzina e a Ercole Sori, in «Storia e problemi contemporanei», 34 (2003), p. 19. Si deve però segnalare che lo stesso Sori in questa intervista lamenta la mancanza di studi aventi come fonte le carte del Commissariato generale dell’emigrazione. Torna al testo

Nota 10 Per questi aspetti, in particolare per l’atteggiamento del nuovo Stato italiano, si fa riferimento alle proposte interpretative dei lavori pioneristici di R. F. Foerster, The Italian emigration of our times, cit., pp. 445-501, e F. Manzotti, La polemica sull’emigrazione nell’Italia unita, cit. Inoltre, per gli strumenti utili alla valutazione del ruolo delle politiche migratorie nella costruzione dello Stato, si fa riferimento in particolare al primo capitolo del volume di A. Zolberg, A nation by design, cit., pp. 1-23. Torna al testo       

Nota 11 A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, p. 390. Torna al testo

Nota 12 A. Caracciolo, Stato e società civile. Problemi dell’unificazione italiana, Einaudi, Torino 1977. Torna al testo

Nota 13 G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. 5, La costruzione dello Stato unitario, 1860-1871, Feltrinelli, Milano 1969. Torna al testo

Nota 14 L. Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d’Italia, Venezia, Marsilio 1989; M. L. Salvadori, Il mito del buongoverno: la questione meridionale da Cavour a Gramsci, Einaudi, Torino 1963; S. Cafiero, Questione meridionale e unità nazionale: 1861-1995, Carocci, Roma 1999; S. Lupo, L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile, Donzelli, Roma 2011; P. Macry, Unità a Mezzogiorno. Come l’Italia ha messo assieme i pezzi, Il Mulino, Bologna 2012. Torna al testo

Nota 15 E. Sereni, Il capitalismo nelle campagne, Einaudi, Torino 1975. Torna al testo

Nota 16 W. H. jr. Sewell , Logiche della storia: eventi, strutture e cultura, Bruno Mondadori, Milano 2008 (ed. or. 2005) p.19. Torna al testo

Nota 17 Ibidem. Torna al testo 

Nota 18 G. Vicarelli, Azione, struttura ed eventi. Un itinerario nella Sociologia storica, in «Stato e Mercato», 3 (2000). Torna al testo

Nota 19 W. H. jr. Sewell, Logiche della storia, cit., p. 59. Torna al testo

Nota 20 P. Audenino, M. Tirabassi, Migrazioni italiane. Storia e storie dall’ancien régime ad oggi, Bruno Mondadori, Milano 2008. Per una visione completa della produzione storiografica sul fenomeno si consulti: M. Sanfilippo, Problemi di storiografia dell’emigrazione italiana, Sette Città, Viterbo nuova edizione ampliata 2005 (I ed. 2002). Torna al testo

Nota 21 K. J. Bade, L’Europa in movimento, Laterza, Roma 2001, p. 27. Torna al testo

Nota 22 G. Pizzorusso, Migrazioni di lavoro: la penisola italiana in età moderna, in P. Corti, M. Sanfilippo (a cura di), Migrazioni, cit. Torna al testo

Nota 23 G. Levi, E. Fasano, M. Della Pina, Movimenti migratori in Italia nell’età Moderna, in «Bollettino di Demografia storica», 12 (1990), p. 21. Torna al testo

Nota 24 Ivi, p. 22. Torna al testo

Nota 25 E. Franzina, Gli italiani al Nuovo Mondo: l’emigrazione italiana in America, 1492-1942, A. Mondadori, Milano 1995, p. 8. Purtroppo in questa sede non si può affrontare la questione della dimensione regionale dell’emigrazione italiana che rappresenta un aspetto fondamentale per una sua completa comprensione. A tale proposito, si consultino i numeri monografici dell’«Archivio storico dell’emigrazione italiana», Modelli di emigrazione regionale dall’Italia centro-settentrionale, 2 (2006); Modelli di emigrazione regionale dall’Italia centro-meridionale, 3 (2007).Torna al testo

Nota 26 M. M. Blasetti, Il Regno di Sardegna e l’emigrazione verso le Americhe (1849-1861), in «Rassegna storica del Risorgimento», 71 (1984). Torna al testo

Nota 27 E. Franzina, La grande emigrazione, cit.; F. Bonelli, Emigrazione e rivoluzione industriale, in «Bollettino di Demografia storica», 12 (1990); M. Sanfilippo, Dall’età napoleonica al secondo dopoguerra,ivi, 13 (1990). Torna al testo

Nota 28 E. Franzina, La grande emigrazione, cit., p. 17. Torna al testo

Nota 29 F. Ramella, Le migrazioni interne. Itinerari geografici e percorsi sociali, in P. Corti, M. Sanfilippo (a cura di), Migrazioni, cit. Torna al testo

Nota 30 E. Pugliese, L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Il Mulino, Bologna, 2006 (I ed. 2002). Torna al testo

Nota 31 C. Bonifazi, F. Heins, Ancora migranti: la nuova mobilità degli italiani, in P. Corti, M. Sanfilippo (a cura di), Migrazioni, cit. Torna al testo

Nota 32 Anche Ercole Sori propone una suddivisione in fasi della cronologia delle politiche migratorie italiane, E. Sori, La politica emigratoria italiana, cit., pp. 163-164. Torna al testo

Nota 33 Sulla materia potevano intervenire anche il Ministero della Marina e Ministero dell’agricoltura, commercio e industria ma, anche se a volte avevano luogo dei conflitti di competenza tra i vari organi, il Ministero dell’Interno restava quello largamente predominante. Torna al testo

Nota 34 A. Celestino, Italiani per il mondo: politica nazionale dell’emigrazione, Alpes, Milano 1927, p. 53. Torna al testo

Nota 35 G. Carocci, Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, Feltrinelli, Milano 1998, p. 28. Torna al testo

Nota 36 R. F. Foerster, The Italian emigration of our times, cit., p. 474. Torna al testo

Nota 37 A. Annino, La politica migratoria dello stato postunitario, in «Il Ponte», 11-12 (1974), p. 1236. Torna al testo

Nota 38 C. Douki , Les maires de l’Italie à l’épreuve de l’émigration: le cas des campagnes lucquoises, in «Mélanges de l’Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée», 106 (1994). Torna al testo

Nota 39 G. Crainz, Padania: il mondo dei braccianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Donzelli editore, Roma 1994. Torna al testo

Nota 40 Marchese di Cosentino (1874), Delle perdite morali e materiali cagionate all’Italia dall’emigrazione, Roma 1974 p. 14. Torna al testo

Nota 41 V. Grossi, Emigrazione in V. E. Orlando(a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, vol. 4, parte 2, Società Editrice Libraria, Milano, 1905, p. 174. Torna al testo

Nota 42 C. Furno, L’ evoluzione sociale delle leggi italiane sull’emigrazione, cit., p. 24. Torna al testo

Nota 43 G. Rosoli, La politica migratoria italiana dall’Unità al fascismo, in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», 32 (1998), p. 59. Torna al testo

Nota 44 Id., La crise des relations entre l’Italie et le Brésil: la grande naturalisation (1889-1896), in «Revue européenne de migrations internationales», 2 (1986), p. 71. Torna al testo

Nota 45 C. Festa, L’emigrazione nella legislazione comparata, Tipografia Moderna, Castrocaro 1904, pp. 415-416. Torna al testo

Nota 46 G. Tintori, Cittadinanza e politiche di emigrazione nell’Italia liberale e fascista, in G. Zincone (a cura di), Familismo legale. Come non diventare italiani, Laterza, Roma 2006, p. 81. Torna al testo

Nota 47 L. Carpi, Delle colonie e della emigrazione italiana all’estero, Editrice Lombarda, Milano 1878. Torna al testo

Nota 48 E. Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia, vol. IV, Dall'Unità a oggi, tomo 3, Einaudi, Torino 1976, p. 1750. Torna al testo

Nota 49 G. Carocci, Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, cit., p. 100 Torna al testo

Nota 50 Z. Ciuffoletti, L’emigrazione nella storia d’Italia dal 1868 al 1914, vol. 1,in Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia, cit., p. 466. Torna al testo

Nota 51 E. Franzina, M. Sanfilippo, Il fascismo e gli emigrati. La parabola dei fasci italiani all’estero 1920-1943, Laterza Roma 2003. Torna al testo

Nota 52 P. Dunkley, Emigration and state 1803-1842: the nineteenth-century revolution in government reconsidered, in «Historical Journal», 2 (1980). Torna al testo

Nota 53 C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia, Laterza, Bari 1991. Torna al testo

Nota 54 R. Romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, Il Mulino, Bologna 1988. Torna al testo

Nota 55 M. Romani, Storia economica d’Italia nel XIX secolo, Il Mulino, Bologna 1982. Torna al testo

Nota 56 G. Mori, Processo d’industrializzazione e storia d’Italia, in «Belfagor», 6 (1974), p. 621. Torna al testo

Nota 57 V. Castronovo, Storia economica d’Italia: dall’Ottocento ai giorni nostri, Einaudi, Torino 2006, p.41. Torna al testo

Nota 58 M. Degl’Innocenti, Emigrazione e politica dei socialisti dalla fine del secolo all’età giolittiana, in «Il Ponte», Emigrazione. Cento anni 26 milioni, 30 (1974), pp. 1299-1301. Torna al testo

Nota 59 O. Confessore, Il dibattito sull’emigrazione nelle pagine della «Rassegna nazionale», in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», 32 (1998), p. 87. Torna al testo

 

Questo saggio si cita: M. Vitiello, Le politiche di emigrazione e la costruzione dello Stato unitario italiano, in «Percorsi Storici», 1 (2013) [http://www.percorsistorici.it/numeri/numero-1/titolo-e-indice/saggi/mattia-vitiello-le-politiche-di-emigrazione-e-la-costruzione-dello-stato-unitario-italiano]

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